La casa giapponese è per me una fonte infinita di ispirazione. La filosofia orientale e in particolare l’architettura giapponese tradizionale, è molto vicina alla mia idea di abitare naturale. Oggi vi propongo quindi un “tour” nella casa tradizionale giapponese, tra tatami, stanze del tè e pannelli divisori scorrevoli.
Caratteristiche della casa tradizionale giapponese
Nella casa giapponese tradizionale il telaio ligneo portante poggia a terra a mezzo di brevi palafitte, le pareti esterne e i pannelli divisori interni non sono portanti. Da questa breve descrizione deduciamo la caratteristica di temporaneità che ha la casa giapponese: «oggetto lievemente e temporaneamente appoggiato sul terreno, ma facilmente smontabile e trasportabile altrove»[1].
Già questa temporaneità, così opposta alla visione occidentale, può aiutarci a capire come per gli orientali “abitare” sia un qualcosa di transitorio, e le loro costruzioni siano per questo motivo più leggere, flessibili e trasformabili.
Per usare le parole di Francesca Chiorino, le case giapponesi sono case “fragili, transitorie e intensamente umane”!
L’ingresso
Se esaminiamo la pianta di una casa tradizionale borghese dell’800, possiamo dedurre alcune caratteristiche importanti sul modo dell’abitare e del vivere uno spazio della cultura giapponese.
L’ingresso avviene quasi sempre mediante un cancello esterno e poi, attraversato il giardino, ci si trova davanti alla porta di casa. Se invece il giardino è più ristretto o manca del tutto, la porta di casa può dare direttamente sulla strada. All’interno della casa, un primo ambiente (genkan), si trova a livello della strada al quale ci si accede con le scarpe. Questo spazio rappresenta il passaggio dal mondo esterno (pericoloso, impuro, sporco) a quello interno (dominio della sicurezza, pulizia e purità rituale). Passaggio enfatizzato dalla differenza altimetrica tra quest’ultimo e lo spazio dell’abitazione vera e propria, corrispondente all’altezza dei pilastrini su cui poggia la casa, e dal passaggio da materiali del mondo esterno (pietra, laterizio o cemento del genkan) a quelli nobili della casa (legno, tatami).
«L’atto di “salire” in casa è così significativo che uno dei primi saluti rivolti all’ospite non è “prego entrate”, bensì “prego salite” (o-agari-nasai): molti elementi fanno pensare che in tempi remoti questo “salite” fosse davvero impegnativo e si riferisse al superamento di un metro e più di dislivello»[2].
A questo proposito potete leggere qui, un articolo che ho scritto sulla stanza del tè, in particolare le case del tè di Teronobu Fujimori, e il loro essere sospese!
Semplicità e percezione dello spazio
«Quando si entra in una casa, la prima cosa che colpisce sono le dimensioni minuscole delle stanze. […] Inoltre sono visibili dappertutto elementi strutturali scoperti: pilastri, sostegni, traverse e così via in legno massiccio»[3].
Una delle caratteristiche principali di una casa giapponese è la totale semplicità, «l’assenza quasi assoluta di mobili, la precarietà dei pannelli divisori tra stanza e stanza, le differenze tra le varie superfici sulle quali ci si muove»[4].
L’architettura di una casa giapponese e la sua semplicità nelle forme ma anche nell’arredo, si basa su una diversa concezione che gli orientali hanno del vuoto, inteso non come mancanza o aspetto negativo ma come un’altra parte del pieno. In particolare un aspetto a mio avviso fondamentale è proprio il loro considerare il vuoto né una parte del pieno, né qualcosa di separato dal pieno, ma una sua “funzione costitutiva”. Se volete approfondire il tema del vuoto vi consiglio la lettura di questo articolo di Ilaria Vasdeki che ritrovate qui.
Oltre alla semplicità, l’intera estetica della casa giapponese è fondata sul fatto che il punto di vista privilegiato non si trova all’altezza dell’uomo, bensì a circa un metro da terra, altezza degli occhi di una persona seduta. Questo aspetto pone in risalto l’importanza dello stare seduti, del percepire lo spazio da terra. Infatti se analizziamo la terminologia giapponese per indicare l’atto di sedersi, si hanno diversi termini: agura wo kaku (sedersi a gambe incrociate comodamente), suwaru (sedersi a gambe raccolte, più formalmente), za-suru (più formale ancora), zazen (atto di sedersi con le gambe strettamente incrociate, per la meditazione).
E questo influisce molto l’aspetto architettonico della casa giapponese, dove l’esterno, la natura, è sempre presente all’interno delle case attraverso visuali che sono possibili grazie ai pannelli scorrevoli o aperture che collegano visivamente la casa con la natura che la circonda.
Flessibilità
Proprio le caratteristiche strutturali della casa giapponese fanno sì che la sua caratteristica principale sia la flessibilità. Infatti «l’interno della casa giapponese ha partizioni assai meno rigide di quelle che ci sono abituali; e questo perché le pareti non sono portanti. Portante è solo il telaio di legno dell’edificio»[5].
Inoltre nella casa giapponese con la sua quasi totale assenza di mobili e arredi, lo spazio, le attività e le relazioni diventano gli elementi più importanti. Tutto questo riporta di conseguenza al tema della flessibilità e totale adattabilità delle stanze giapponesi: «nella casa tradizionale giapponese non si vedono letti in quanto qualsiasi stanza a tatami della casa può servire come stanza da letto – come può servire per mangiare. In teoria le stanze sono a destinazione neutra, sono “uno spazio” che di volta in volta viene adattato all’uso più opportuno»[6].
Gerarchicità
Interessante infine l’uso di pavimenti diversi, che invece definisce una certa gerarchicità nella casa giapponese. Ovvero la differenziazione della pavimentazione a seconda della funzione e dell’uso di scarpe, pantofole, calzari specifici per i bagni, i geta per il giardino, calzini (o meglio scalzi) per i tatami.
Un esempio dalla tradizione giapponese
La villa imperiale di Katsura_La zona della cerimonia del tè del Gepparo.
I cambiamenti della natura, il passaggio del tempo, il riconoscere un valore maggiore alle qualità effimere piuttosto che a quelle legate alla permanenza, che viene riassunto nel termine utsuroi, “momento in cui la natura si trasforma”, viene spesso tradotto nello spazio architettonico, dove ritroviamo la leggerezza mediante l’uso di superfici scorrevoli e opache degli shoji.
La villa imperiale di Katsura possiamo dire che sia uno dei massimi esempi di questo concetto, oltre ad essere uno dei modelli principali dell’architettura tradizionale giapponese. Vi riporto qui due stanze. La prima caratterizzata da pannelli scorrevoli e i tatami e dove si vede il collegamento diretto tra interno ed esterno, tra la casa e la natura.
La villa imperiale di Katsura_La stanza del tè dello Shokintei.
Nel secondo esempio, la stanza del tè, possiamo esprimere un secondo concetto: quello della bellezza e dell’asimmetria.
L’asimmetria deriva dalla filosofia Zen, secondo cui la perfezione della bellezza risiede nella sua imperfezione. La natura, la quale non è simmetrica, viene presa inoltre come modello e canone di bellezza.
Conclusioni
In questo breve viaggio attraverso la casa giapponese e alcune sue principali caratteristiche, spero abbiate trovate degli spunti interessanti per riguardare alla vostra casa con occhi diversi.
Se volete modificare alcuni angoli della vostra casa, e ri-abitarla in maniera più consapevole, o volete chiedermi qualche consiglio trovate i mie contatti qui.
Note:
[1] Fosco Moraini, Introduzione all’architettura giapponese in AA.VV. Architettura islamica e orientali, Alinea editrice, Firenze, 1986. p.154
[2] Ivi p.156
[3] Edward S. Morse, La casa giapponese, Introduzione e traduzione di Giovanna Baccini, Bur, Milano, 1994. p. 116.
[4] Fosco Moraini, Introduzione all’architettura giapponese in AA.VV. Architettura islamica e orientali, Alinea editrice, Firenze, 1986. p.156
[5] Ibidem
[6] Ibidem
Articolo tratto dalla Tesi di Laurea in Scienze dell’Architettura, PASSI IN EQUILIBRIO SUL ROJI. UN PERCORSO NELL’ARCHITETTURA GIAPPONESE CONTEMPORANEA, Chiara Baravalle, 2010.
Bibliografia:
Katsura. La villa Imperiale, Mondadori Electa, 2015
Case in Giappone, Francesca Chiorino, Mondadori Electa, 2017. Di cui possibile scaricare un estratto qui.
Immagine di copertina foto di FranckinJapan da Pixabay.
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