Ormai gli infissi in PVC sono diventati lo standard nel settore edile. Il motivo è che costano (relativamente) poco e garantiscono ottime prestazioni isolanti.
Ma anche tra gli infissi in PVC ne puoi trovare di molto costosi…perché spendere tanto per un infisso in PVC quando puoi averne uno apparentemente uguale ad un terzo?
La risposta è che gli infissi in PVC non sono uguali. La differenza di valore tra due infissi in PVC sta tutta in alcune determinate caratteristiche (oltre che nella posa in opera…ma è un altro discorso).
In questo articolo ti voglio far vedere quali sono le principali caratteristiche che devi valutare quando stai per acquistare i tuoi nuovi infissi in PVC (anche se in realtà vedrai che alcune valgono per tutte le tipologie di infissi).
Il PVC è un materiale che ha avuto una fortuna relativamente recente nel settore dei serramenti: infatti sono decenni che è in uso ma, essendo un materiale sostanzialmente molto malleabile, per molti anni è stato relegato a compiti “secondari”. Non certo per realizzare infissi robusti e durevoli.
Ma da alcuni anni la tecnologia è migliorata in modo importante e gli infissi in PVC sono diventati una scelta valida oltre che economica, tanto che ormai hanno monopolizzato il mercato del settore, con quote che superano il 40%.
E naturalmente, come per ogni cosa, esiste la versione di qualità e la versione economica degli infissi in PVC (con tutte le tonalità di grigio in mezzo).
Il fatto è che spesso vengono spacciati come di qualità infissi in PVC che non valgono nulla. Ma quasi nessuno sa quali parametri andare a vedere per capire se gli stanno proponendo qualcosa di buono per chiudere la stalla o il soggiorno di casa. E anche tra i tecnici c’è molta confusione (purtroppo non siamo tuttologhi del settore…). Così i venditori hanno gioco facile a decantare le lodi di prodotti a volte scadenti senza trovare nessun contraddittorio valido.
Nei prossimi paragrafi passeremo in rassegna quali sono questi parametri che devi valutare nella scelta dei tuoi nuovi infissi in PVC.
Dimensione del telaio e camere d’aria
I profili che formano i telai degli infissi in pvc non sono blocchi pieni di PVC, ma sono cavi e all’interno sono divisi in camere d’aria.
L’aria all’interno di queste camere è ciò che dà al PVC il suo elevato potere isolante. Però se ci fosse un’unica camera d’aria tale potere isolante sarebbe minore rispetto a quello che si ottiene con più camere d’aria.
L’aria isola meglio quando è in quiete rispetto a quando è in movimento, e con “spessori” d’aria superiori ai pochi centimetri si formano delle sorte di correnti d’aria. Si tratta dello stesso principio per cui i muri “a cassetta” con cui sono stati costruiti i tamponamenti esterni della maggior parte degli edifici fino agli anni ’80, non isolano per niente.
Così compartimentarla in più camere consente di avere aria in “quiete” e quindi di isolare meglio.
Ma il maggior isolamento dato dalla divisione in camere d’aria è solo una conseguenza e non il principale scopo della loro presenza. Infatti la motivazione della loro introduzione è principalmente per rafforzare il profilo dell’infisso.
Il PVC, come abbiamo già accennato, è un materiale non particolarmente resistente e soprattutto molto sensibile agli sbalzi termici. Pertanto era necessario rinforzarlo e il primo sistema è stato mettere questi rinforzi verticali internamente (tra poco vedremo che da soli non bastano quindi è stato aggiunto anche un altro elemento).
Un primo parametro per valutare la qualità del tuo nuovo infisso in PVC è il numero di camere d’aria: il numero minimo che puoi trovare è 5 (in realtà sarebbe 3, ma ormai quasi nessun infisso ne ha così poche) e il massimo è 7.
Però non farti ingannare: a livello di isolamento non c’è molta differenza tra un infisso a 5 o a 7 camere. Infatti si tratta di pochi millimetri di differenza tra le varie camere d’aria che hanno influenza nulla sull’incremento delle prestazioni.
C’è un secondo parametro che però è significativo e che deve essere letto in parallelo al numero delle camere d’aria: la profondità (spessore) del telaio.
Un telaio più profondo vuol dire una maggiore massa d’aria e quindi un maggiore isolamento. Però se in un profilo molto spesso ci sono poche camere d’aria le prestazioni isolanti scendono (anche quelle statiche…).
Quindi, per riassumere, la profondità di un telaio in PVC può variare da circa 70mm a circa 85mm. Il numero di camere d’aria da 5 a 7.
Un profilo da 70mm dovrebbe avere almeno 5 camere d’aria, e se ne ha di più non garantisce un maggiore isolamento.
Un profilo da 85mm dovrebbe avere 7 camere d’aria, sia per garantire un maggiore isolamento, sia per garantire più stabilità.
Classe del telaio
Questo è un aspetto che in pochissimi conoscono (anche tra i tecnici) eppure è importantissimo per determinare la qualità dell’infisso.
La classe del telaio viene determinata dalla norma UNI EN 12608 e ne esistono solo tre: A, B e C.
Ma in cosa variano tra di loro? Semplicemente nello spessore delle pareti che delimitano il telaio esternamente ed internamente.
L’immagine qui sotto con le relative tabelle penso siano abbastanza chiare a tal proposito:
Come puoi vedere le varie “pareti” che delimitano un profilo in PVC hanno spessori differenti: quelle esterne sono più spesse e quelle interne sono più sottili.
Sul mercato ormai si trovano quasi solo infissi di classe A e classe B e, sebbene la differenza tra gli spessori possa sembrare minimale, ha notevole influenza sulla resistenza meccanica dell’infisso. E di conseguenza sulla sua durata e stabilità: considera che uno dei requisiti fondamentali per le prestazioni di un infisso è la perfetta tenuta all’aria e all’acqua, delle deformazioni locali potrebbero far venire meno queste caratteristiche. E ancora peggio se tali deformazioni avvengono nelle zone dei cardini, compromettendo tutto l’infisso.
Il consiglio naturalmente è optare sempre per infissi di classe A.
Classe della mescola
Questa è una seconda classificazione data dalla norma UNI EN 12608, che per la mescola con cui sono realizzati gli infissi in PVC prevede due categorie differenti: M e S. Dove M sta per “clima moderato” e S per “clima severo”.
In questo caso bisogna fare attenzione a cosa si intende per clima moderato e per clima severo: infatti il parametro di riferimento sono la radiazione solare e la temperatura, ma vanno visti al contrario rispetto a quello che potresti pensare.
Cioè un clima severo è dove la radiazione solare e la media della temperatura massima giornaliera del mese più caldo è più elevata.
In un clima severo il primo parametro deve essere ≥ a 5 GJ/mq (GigaJoule su metro quadrato) mentre il secondo parametro deve essere ≥ a 22°.
Per farla breve l’Italia è tutta in clima severo, quindi l’infisso deve avere un profilo di tipo S.
Questa classificazione è importante perché il PVC, nella sua formulazione “pura”, è molto sensibile agli sbalzi termici…in sostanza quando fa tanto caldo si deforma (in fondo è pur sempre plastica….prova a mettere un qualsiasi giocattolo di plastica sotto il sole per quattro o cinque ore e vedrai che si deforma facilmente).
Il PVC infatti a 80° perde le sue proprietà meccaniche (significa che cominciano a deteriorarsi molto prima di raggiungere questa temperatura).
Le principali problematiche di tipo meccanico che si possono presentare sono:
Infragilimento
Riduzione di resistenza meccanica, elasticità e durezza
Formazione di stress crack
Però anche dal punto di vista estetico si possono presentare dei problemi:
Ingiallimento
Scolorimento
Sbiancamento della superficie con formazione di stress crack
Per prevenire tutta questa serie di problemi vengono inseriti nella mescola del PVC degli additivi anti UV o degli stabilizzanti UV che possono essere di vario tipo a seconda del beneficio che si vuole ottenere.
Spesso, più in passato che ora ad essere onesti, in Italia venivano venduti infissi di classe M. Si tratta di un parametro da controllare attentamente.
Rinforzi del telaio
Abbiamo già detto che il PVC è un materiale non particolarmente stabile. In particolare teme il calore, che lo fa deformare facilmente, ma anche gli urti e le sollecitazioni dovute al vento.
Ciò porta la necessità di rinforzare in qualche modo gli infissi in PVC.
La normativa chiede che vengano rispettati determinati valori di flessione massima e di resistenza agli urti che devono essere calcolati per ogni infisso.
Tralasciando calcoli complessi, abbiamo già visto che un primo modo di rinforzare i telai in PVC è quello di inserire, in senso longitudinale, dei profili di rinforzo che creano le famose camere d’aria.
Però spesso non è sufficiente, e si ricorre a sistemi di rinforzo maggiormente prestazionali: l’acciaio.
Quello che viene fatto è inserire un’anima interna al telaio fatta da profili di acciaio per garantire il raggiungimento delle prestazioni desiderate.
Questa anima è importante non solo per la stabilità del telaio in sé, ma anche per fornire un sostegno solido ai cardini delle ante: essendo ormai obbligatorio installare vetrocamere di sicurezza (ne parleremo a breve), i carichi delle ante sono molto più alti rispetto al passato. Se i cardini fossero ancorati al PVC, i telai si deformerebbero compromettendo prestazioni e durata dell’infisso.
Soluzione alternativa al rinforzo in acciaio, che sappiamo essere un materiale non isolante, è il rinforzo in fibra di vetro (o vetroresina), soluzione che garantisce migliori prestazioni termiche e buone prestazioni meccaniche.
Però per questa seconda soluzione c’è un però: cioè la differenza di prestazioni termiche è minima, mentre a livello dei cardini le prestazioni meccaniche non sono elevate e potrebbero esserci gli stessi problemi di un infisso senza nessun rinforzo.
Quindi, per riassumere, quando valuti un infisso in PVC:
Senza rinforzo: evitare
Con rinforzo in vetroresina: per infissi di piccole dimensioni
Con rinforzo in acciaio: ok
La saldatura
Un aspetto importante riguarda la saldatura dei profili in PVC. L’unione dei quattro profili che vanno a formare il telaio di un infisso in PVC avviene tramite saldatura, scaldandoli ad una temperatura di circa 350°.
La saldatura è un passaggio importante per garantire la stabilità e durata nel tempo degli infissi e anche per la qualità estetica degli stessi.
Dal punto di vista estetico, in una saldatura fatta a regola d’arte gli angoli sono perfetti, mentre in una eseguita male ci sono delle imperfezioni.
Dal punto di vista meccanico purtroppo è più difficile valutare la qualità della saldatura e l’unico strumento a disposizione è la marchiatura CE che tutti gli infissi devono avere obbligatoriamente. I test per verificare la qualità meccanica della saldatura simulano una rottura di una porzione angolare di telaio: se la rottura segue la diagonale della saldatura allora è stata fatta male (cioè è poco resistente).
Per la saldatura dei profilati si usano speciali saldatrici a una o più teste e del tipo semiautomatico o automatico. I procedimenti classici di saldatura sono tre:
con macchinari che causano la formazione di un cordolo di saldatura (cioè del materiale in eccesso) che deve essere successivamente asportato;
con macchinari che riescono a ridurre al minimo il cordolo di saldatura, che deve essere asportato con un procedimento abbastanza rapido (“unghiatura”);
con macchinari che garantiscono la totale assenza di cordolo di saldatura, e quindi senza necessità di lavorazioni successive.
Il terzo procedimento in passato garantiva saldature esteticamente perfette ma poco resistenti, quindi le più diffuse erano quelle del secondo procedimento.
Attualmente però sono stati messi a punto macchinari in grado di garantire assenza di cordoli e elevate prestazioni meccaniche.
Da qualche anno stanno anche cominciando a diffondersi tecnologie costruttive che non richiedono saldatura.
La ferramenta
Finora abbiamo visto quattro caratteristiche tipiche degli infissi in PVC.
Potremmo anche fermarci qui, ma visto che l’infisso va valutato nella sua globalità, nei prossimi paragrafi parleremo di altre tre caratteristiche che devi verificare, ma che valgono per tutte le tipologie di infissi.
Partiamo dalla ferramenta. Non ti voglio parlare del fatto che sia a scomparsa o meno, che ti permetta movimenti particolari come il vasistas o meno, che sia prodotta dal fornitore dell’infisso (cosa molta rara) o che sia dimensionata correttamente (ci sono delle formule ad esempio che dicono, in base al peso, quanti cardini siano necessari).
Mi voglio concentrare su un parametro che ritengo fondamentali per la durata dell’infisso: la resistenza alla corrosione.
Ormai la ferramenta per gli infissi è abbastanza standardizzata in quanto vi sono pochi produttori che forniscono la ferramenta per tutte le tipologie di infissi. Alcuni produttori di infissi hanno ferramenta appositamente studiata per i propri sistemi (p.e. Finstral, Inernorm, Schueco) che però sono sempre studiate e prodotte dagli stessi che producono tutta l’altra ferramenta (una delle più famose è la tedesca Winkhaus).
Il materiale con cui viene realizzata la ferramenta è principalmente acciaio abbinato a materiali plastici tipo poliammide. Per massimizzarne la durata nei climi più aggressivi sono stati studiati dei trattamenti specifici che vanno dalla classica zincatura all’utilizzo di verniciature organiche o trattamenti tricoat. Ai fini della valutazione della resistenza alla corrosione della ferramenta si fa riferimento alla norma EN 1670 che individua sei classi di resistenza in base a test in nebbia salina:
Grado 0 nessuna resistenza alla corrosione definita, no test
Grado 1 leggera resistenza: 24 h in nebbia salina
Grado 2 moderata resistenza: 48 h in nebbia salina
Grado 3 alta resistenza: 96 h in nebbia salina
Grado 4 altissima resistenza: 240 h in nebbia salina
Grado 5 eccezionale resistenza: 480 h in nebbia salina
Al termine della prova i componenti devono presentarsi esenti da visibile corrosione del substrato metallico di base.
Penso sia banale dire che un infisso economico avrà un basso grado di resistenza alla corrosione, uno di qualità avrà un alto grado di resistenza.
Le guarnizioni
Sulle guarnizioni si potrebbe scrivere un articolo intero: sono degli elementi elastici che hanno il compito di garantire la tenuta all’aria e all’acqua della finestra. Ed inoltre sono fondamentali per le prestazioni acustiche. Essendo elastiche consentono di compensare le tolleranze costruttive tra i profili del telaio e tra gli stessi e il vetrocamera.
I principali materiali di cui sono realizzate sono: PVC plasticizzato, gomme o Epm ed Epdm.
Per capire quanto siano importanti le guarnizioni di un infisso basti dire che la classificazione dei profili con cui si realizzano gli infissi deriva dalla posizione della guarnizione al lorointerno. Abbiamo due casi:
la guarnizione è posizionata nelle alette di battuta dell’infisso;
la guarnizione si trova in posizione centrale (profilo a giunto aperto).
I profili della prima tipologia sono i più diffusi e la tenuta all’aria e all’acqua è garantita dalla pressione tra telaio e battuta (fondamentali telai perfettamente planari!) e dall’elasticità della guarnizione stessa.
I profili a “giunto aperto” invece prevedono nella sostanza una guarnizione in più, in posizione centrale rispetto al telaio.
Lo scopo di tale soluzione è essere maggiormente efficace nei confronti dell’isolamento all’acqua. Infatti la battuta esterna non funziona per pressione e consente all’acqua di entrare in una camera di raccolta per poi essere fatta defluire attraverso delle apposite condotte.
Il motivo dell’efficacia di tale soluzione è che previene gli effetti della pressione del vento, che in casi particolari potrebbe far muovere l’anta e quindi far entrare l’acqua (movimenti minimi eh! Ma sufficienti…): nella camera di raccolta infatti (dove c’è la guarnizione centrale) la pressione è uguale a quella esterna, e l’acqua defluisce facilmente non creando pressioni sulla guarnizione.
Se da un lato è chiaro che gli infissi a giunto aperto (quindi con tre guarnizioni) sono più efficaci, dall’altro va valutato se sia o meno il caso di prevederli (in quanto costano di più naturalmente….): hanno senso dove ci sono venti e/o piogge molto forti (cosa purtroppo ormai sempre più frequente un po’ dappertutto).
Il vetrocamera
Dedichiamo due parole anche al vetrocamera, sebbene ne abbiamo parlato in modo approfondito in varie occasioni (vedi ad esempio questo articolo).
Il vetrocamera, come tutto l’infisso del resto, deve rispondere a precisi valori di isolamento termo-acustico. Per farlo sono composti da due o tre lastre di vetro e da una o due camere d’aria riempite di gas nobili (solitamente argon).
La differenza tra un vetrocamera a due o tre vetri è legata sia all’isolamento termico che acustico: i secondi garantiscono prestazioni nettamente superiori.
I vetrocamera devono inoltre rispondere a normative sulla sicurezza: cioè i vetri se si rompono non devono cadere e/o devono frantumarsi in piccoli pezzi non pericolosi.
Per ottenere tale risultato esistono due tipologie di vetri:
vetri stratificati, cioè formati da due vetri incollati tramite una sottile pellicola in PVB. Questi vetri rappresentano il più alto grado di sicurezza e sono obbligatoriamente utilizzati su almeno uno dei due vetri della finestra (nelle porte-finestre è preferibile usarli su entrambi i vetri). Si riconoscono perché sono descritti con due numeri uguali, un punto e un altro numero (33.1 che sta per due lastre da 3mm con interposto un foglio di PVB da o,38mm).
Questi vetri se si rompono non cadono a terra ma rimangono in posizione.
vetri temprati, in cui le lastre sono scaldate a circa 600° e poi raffreddate velocemente (tempratura). Questo processo modifica i legami chimici e rende il vetro più resistente. Inoltre se si rompe si frantuma in pezzetti molto piccoli e poco pericolosi.
I vetri possono essere sottoposti a dei trattamenti che ne migliorano le prestazioni di isolamento termico, cioè il trattamento bassoemissivo e quello selettivo.
Il trattamento bassoemissivo aiuta a migliorare le prestazioni di isolamento invernale e consiste nel rivestire uno dei lati della lastra con una pellicola agli ossidi di metallo. Questa pellicola riflette parte del calore prodotto all’interno della casa, diminuendo così le dispersioni. Solitamente il trattamento bassoemissivo è previsto su una sola lastra posizionata all’interno della camera d’aria.
Il trattamento selettivo invece consiste nel depositare degli ioni di argento sulla lastra: tali ioni riescono ad agire selettivamente sulle radiazioni solari da cui sono colpiti, facendo passare la luce e riflettendo verso l’esterno il calore. Ciò contribuisce, nei mesi estivi, a fare in modo che entri meno calore in casa. Anche in questo caso il trattamento è previsto su una sola lastra posizionata all’interno della camera d’aria.
La scelta tra i due trattamenti dipende dal clima in cui si trova la casa: nei climi freddi conviene quello bassoemissivo, in quelli caldi quello selettivo. Attenzione a non sbagliare la scelta: il selettivo limita non solo l’ingresso del calore estivo ma anche quello invernale, che invece è un contributo importante al riscaldamento che andrebbe ricercato nei climi freddi.
Da qualche tempo vengono prodotti anche vetrocamera denominati quattro stagioni, in cui cioè è presente una lastra con trattamento bassoemissivo e una con trattamento selettivo.
Altro aspetto importante di un vetrocamera è la canalina che tiene insieme e distanzia le lastre.
Per molti anni è stata realizzata in alluminio, un materiale metallico che creava un sorta di “ponte termico” in quanto non in grado di isolare. Oltre che dal punto di vista termico questa soluzione creava le condizioni per la formazione di condensa dentro il vetrocamera.
Attualmente si usano canaline di tipo plastico che risolvono tutti questi problemi. Queste canaline sono denominate “warm edge” (we).
Per leggere correttamente le caratteristiche di un vetrocamera è necessario sapere quale sia la nomenclatura utilizzata.
Quella di base si presenta così: VETRO / CAMERA / VETRO.
Per le soluzioni a tre lastre si aggiungono gli elementi necessari.
Ogni elemento è rappresentato da un numero che indica lo spessore in millimetri.
Per quanto riguarda la simbologia utilizzata per descrivere i vetri stratificati si utilizza: 3+3, 4+4, 5+5, … ad indicare lo spessore delle due lastre accoppiate. In realtà il simbolo “+” viene eliminato facendo diventare tali vetri stratificati 33, 44, 55. Nella nomenclatura viene individuato anche il tipo di pellicola in PVB adottata per unirli con il simbolo .1 (per lo spessore di 0,38), .2, etc. all’aumentare degli spessori
Ecco che la nomenclatura completa di un vetro stratificato diventa 33.1, 33.2, 44.1, ….
C’è una seconda nomenclatura con cui alcuni produttori descrivono i vetri stratificati: 6/7, 8/9, etc. Il primo numero è la somma degli spessori delle due lastre di vetro accoppiate e il secondo numero (quello dopo il simbolo / per intenderci) come lo spessore complessivo dato dalla pellicola PVB inserita. Così un vetro 6/7 è un vetro 3mm + PVB 0,38mm + 3mm (NB: se la pellicola fosse stata di 0,76mm la dicitura del vetro sarebbe stata 6/7 PVB0,76).
I vetri temprati invece solitamente vengono indicati con una “T” dopo il valore dello spessore.
I trattamenti invece vengono così rappresentati:
Bassoemissivo = BE
Selettivo = S
Bassemissivo + selettivo = 4S (quattro stagioni. Non viene sempre indicato così)
Conclusione: le caratteristiche degli infissi in PVC di alta qualità
Arrivati in fondo a questo articolo possiamo fare un riassunto di quali siano le caratteristiche che delineano un infisso in PVC di elevata qualità:
Telaio di almeno 70mm di profondità (preferibile dagli 80mm a salire)
Minimo 7 camere d’aria (con profondità dagli 80 mm in su devono essere 7)
Classe del telaio “A”
Classe della mescola “S”
Presenza di un’anima metallica (in acciaio)
Saldature fatte a regola d’arte (verifica estetica e meccanica)
Ferramenta di grado 5 di resistenza alla corrosione
Tre guarnizioni (telaio a “giunto aperto”)
Vetrocamera con vetri di sicurezza, camera d’aria riempita di gas argon e canalina warm edge
Trattamento bassoemissivo (nord Italia) o selettivo (sud Italia) o quattro stagioni (sud Italia)
Chiaramente oltre a tutte queste caratteristiche vanno visti anche due parametri fondamentali:
La trasmittanza
L’isolamento acustico
Per approfondire ti rimando a questo articolo in cui abbiamo speso qualche parola in più.
Qui ti basti sapere che la trasmittanza minima di un infisso varia a seconda delle zone climatiche. In Italia sono sei: dalla A – clima molto caldo – alla F – clima molto freddo. Per intenderci la pianura padana è in classe E.
L’isolamento acustico di un infisso di buona qualità invece parte dai 35dB a salire (difficilmente si superano in 40 dB).
Con questo abbiamo concluso la nostra panoramica sugli aspetti tecnici da valutare in un infisso in PVC (ci sarebbero molte altre cose da vedere…ma sono assolutamente inutili).
A queste devi aggiungerci i parametri estetici che sono assolutamente ed esclusivamente legati ai tuoi gusti. Mi vengono in mente le finiture (a tinta unita o effetto legno), il mono o bi-colore, la ferramenta a scomparsa o meno, la finitura delle maniglie, eventuali vetri oscurati/a specchio/etc.
Prima di arrivare a scegliere un nuovo infisso quindi sono tante le valutazioni che devi fare, devi farti fare più preventivi e devi verificare che tutti riportino le informazioni minime necessarie per fare un paragone sensato.
Con questo articolo spero di averti aiutato a fare luce su quali siano le caratteristiche tecniche che devi cercare in un infisso in PVC e, soprattutto in un periodo come quello attuale in cui ci sono troppi venditori di fuffa (spacciata per oro), di averti dato dei parametri utili per valutare correttamente quello che ti stanno proponendo.
E tu che esperienza hai avuto con gli infissi in PVC? Raccontamelo nei commenti.
Lo so già che con questo articolo mi attirerò le ire di colleghi architetti/interior desginer/geometri al suono di i committenti non sono in grado di progettare”, “già fanno di testa loro e tu gli dici queste cose!” (e peggio), e che potrei dover affrontare critiche non solo sulle intenzioni dell’articolo ma anche sui contenuti.
Però me ne frego (e tra poco ti spiego il perché) e nei prossimi paragrafi vedremo alcuni dei principi da seguire per progettare la divisione interna degli ambienti quando ristrutturi casa, quali accorgimenti devi prendere e quali stanze non devi mai dimenticarti.
Quindi in questo articolo voglio mostrarti come puoi ottenere una distribuzione perfetta degli ambienti, senza commettere errori di cui rischi di pentirti e riuscendo a ricavare tutti gli spazi di cui hai realmente bisogno (anche di quelli a cui probabilmente non pensi).
Prima di avventurarci in questo campo minato però consentimi di fare alcune premesse, così magari evitiamo qualche commento superfluo e fuori luogo.
Prima premessa: io sto parlando a te che sei un committente, ti darò alcune indicazioni di progettazione, ma questo non ti trasforma in alcun modo in un progettista. Il mio scopo è darti una guida che ti aiuti a capire le potenzialità di una casa e come adattarla alle tue esigenze, sia che si tratti della casa in cui abiti da anni, sia che si tratti di quella ereditata dalla nonna, sia che si tratti di una nuova casa di cui stai valutando l’acquisto. Ma ricordati che ad un certo punto (il prima possibile) ci vorrà un vero progettista che faccia un vero progetto, perché la materia è complessa, ci sono pacchi di norme da considerare e sono necessarie tonnellate di esperienza per risolvere problemi all’apparenza inestricabili.
Seconda premessa: quello che stai per leggere non è legge scolpita nella pietra. Parliamo di principi di buona progettazione, ma ogni casa è una storia a sé e tutto va sempre contestualizzato. Alcune delle cose che diremo sono prescrizioni di legge (nel vero senso della parola), altre sono soluzioni di buon senso che dovresti implementare, e altre ancora consigli che puoi o meno mettere in pratica ma non ti cambia la vita farlo.
L’articolo che stai per leggere è un breve estratto di uno dei bonus del mio manuale Ristruttura la tua casa in 7 passi, cioè la guida “Come si progetta una casa?”. Se ti interessa trovi tutte le informazioni sul manuale (e sui 13 bonus che ti regalo) qui:
Nei prossimi paragrafi vedremo quali sono le posizioni corrette in cui dovrebbero trovarsi la cucina, il soggiorno, i bagni, la camera da letto; vedremo quali sono gli errori da evitare assolutamente e imparerai anche a riconoscere i limiti e le potenzialità di casa tua o di quella che stai per acquistare.
Però deve esserti chiaro da subito che la divisione interna di una casa non si studia girando per la casa e dicendo “qui ci potrebbe stare il secondo bagno” e “lì potrei allargare la camera dei bambini”.
La divisione interna si progetta sempre e solo in pianta: si parte da una planimetria quotata (che devi essere in grado di leggere) dello stato di fatto. Quindi ti serve un rilievo, che puoi anche decidere di abbozzare tu con carta, matita e un metro (e qualcuno che ti aiuta…). A te basta un rilievo basilare, quelli completi puoi lasciarli tranquillamente al tecnico che svilupperà il progetto.
Non vale la planimetria catastale come rilievo: purtroppo quasi sempre ci sono delle imperfezioni e se sono corrette riportano sempre proporzioni sbagliate (oltre a non essere quotate), soprattutto se realizzate oltre venti anni fa (come la maggior parte delle planimetrie catastali). Per facilitarti il rilievo però puoi partire da una stampa della planimetria catastale, inserire le misure man mano che le prendi e ridisegnare tutto nelle giuste proporzioni su un altro foglio, magari di carta millimetrata se ti fa più comodo.
Detto del metodo manuale, se hai voglia di “sbatterti” un po’ di più, ci sono varie applicazioni, anche gratuite, che ti consentono di disegnarti la casa addirittura direttamente in 3d senza troppa fatica.
A te la scelta…l’importante è che parti da un rilievo.
Ma che informazioni devono esserci in questo rilievo?
Oltre alla posizione e alla dimensione di muri, porte e finestre, ti servono altre informazioni:
Posizione e dimensione di pilastri e muri portanti;
Posizione delle fecali;
Posizione dei contatori;
Altezza dei locali.
Una volta che hai una rappresentazione (abbastanza) corretta dell’attuale divisione interna e queste informazioni, puoi finalmente cominciare a ragionare sulla nuova divisione interna delle stanze. Vediamo alcuni principi.
Principio#1: Zona giorno e zona notte…sempre separate
Forse questo primo principio potrebbe sembrarti banale…ma da quello che vedo in giro non lo è affatto.
La prima cosa a cui pensare non è la posizione della cucina o della camera da letto, ma ottenere una buona separazione tra la zona giorno e notte.
A rischio di essere scontato:
La zona giorno è formata dagli ambienti in cui vengono svolte le principali attività durante l’arco della giornata: stiamo parlando essenzialmente di cucina, soggiorno e salotto.
La zona notte invece è formata dai luoghi dell’intimità e del riposo, quindi principalmente camere da letto e bagni.
(N.B.: i bagni, solitamente messi nella zona notte, sono degli ambienti di utilizzo continuativo, sia durante le attività diurne che notturne, però solitamente ha più senso metterli nella zona notte…tra poco ti spiego il perché)
Ci sono poi altri ambienti di servizio che possono stare indifferentemente in una o nell’altra zona e che spesso vengono incastrati nei “rimasugli” di spazio che si formano dalla divisione degli ambienti principali: ripostigli, lavanderie, depositi. Faremo alcune riflessioni anche su di loro.
La divisione tra le due zone principali è importante per motivi di privacy, di praticità e di benessere.
Pensa di avere la camera da letto che affaccia direttamente nel soggiorno e per andare in bagno devi passarci attraverso: se per ipotesi una sera tuo figlio/moglie/marito invita a casa gli amici e tu devi alzarti dal letto per andare in bagno…ti sentiresti tranquillo a farlo? Magari in pigiama?
Questo è un esempio pratico, ma la divisione tra zona giorno e zona notte è importante anche per questioni di benessere psico-fisico.
Se la zona giorno è fatta da ambienti ampi, che favoriscono la convivialità, la zona notte al contrario deve favorire l’intimità e il riposo. Quando la sera, dopo una lunga giornata, si entra nella zona notte la sensazione dovrebbe essere di lasciarsi alle spalle i problemi e il caos della giornata per rilassarsi e prepararsi al riposo.
Nella maggior parte dei casi la divisione tra queste due zone è fisica, generalmente con una porta. Questo accade specialmente negli appartamenti moderni che sono abbastanza compatti: attraverso una porta si passa dagli ampi spazi della zona giorno ad un piccolo disimpegno che distribuisce nelle stanze più raccolte della zona notte. Ma può anche non essere così e il passaggio da una zona all’altra può avvenire semplicemente attraverso un corridoio, oppure nelle case a più piani si può dedicare ogni piano ad una funzione diversa.
La risposta a questa domanda per certi versi è banale: la zona giorno tendenzialmente dovrebbe stare nei pressi dell’ingresso dell’abitazione e possibilmente in prossimità di terrazzi e balconi. La zona notte, luogo più intimo e riservato, dovrebbe invece essere posizionata in un’area più appartata, lontano dal caos della vita quotidiana.
Potremmo dire che la zona notte deve stare in fondo alla casa, nel punto più lontano rispetto all’ingresso. Infatti anche psicologicamente il fatto di dover percorrere più strada per raggiungere la propria camera da letto, di doversi allontanare dall’ingresso, dalla zona più attiva della casa, produce un effetto di progressiva calma e intimità molto piacevole.
Abbiamo già detto che la zona giorno dovrebbe essere posizionata, per quanto possibile, vicino all’ingresso e avere accesso diretto ai terrazzi. Ci sono però altri accorgimenti utili da osservare.
Dovrebbe essere orientata a sud/sud-ovest. Questo perché durante i mesi invernali possa usufruire del calore del sole per la maggior parte delle ore possibili. Questo orientamento ha anche dei risvolti psicologici: infatti la luce naturale del sole mette di buon umore e invoglia a non rimanere seduti a non fare nulla. Soprattutto nella stagione invernale, in cui le ore di luce sono poche, sfruttarle al massimo è un fattore fondamentale.
L’obiezione però può essere che, in estate, un soggiorno orientato a sud diventa un forno. Questo è vero, però ci sono modi di limitare l’ingresso del sole: tenendo le tapparelle e i balconi semi-chiusi, oppure, nel caso in cui la stanza si affacci su un terrazzo, mettendo una tenda parasole esterna. C’è da considerare anche la differente posizione del sole durante l’anno: in inverno è sempre molto basso durante tutta la giornata, quindi i raggi solari riescono ad entrare in profondità nella casa riscaldandola maggiormente, in estate invece è alto, abbassandosi solo verso sera, diminuendo così la quantità di sole che entra.
Per qualche anno ho vissuto in una casa orientata a sud, senza nessun ostacolo di fronte: in inverno il sole entrava completamente dentro le stanze, in estate di solo poche decine di centimetri.
Oltre all’orientamento è importante fare una riflessione su come devono susseguirsi gli spazi della zona giorno.
Ormai l’utilizzo di un ingresso vero e proprio, adibito solo a quella funzione, non è più molto diffuso, soprattutto se pensiamo alle dimensioni ridotte degli appartamenti moderni. Quindi spesso, entrando in un appartamento, ci troveremo già all’interno di un ambiente ampio che comprende salotto, sala da pranzo e cucina: i classici open-space.
A prescindere da quale sia la possibile soluzione, un errore da evitare assolutamente è entrare direttamente in cucina. Anzi, anche in caso di open-space, quindi con cucina a vista, è importante che questa non sia visibile dall’ingresso. Deve essere possibilmente lontana dalla porta di ingresso e possibilmente schermata. Il motivo? Hai veramente voglia di tenere sempre la cucina in perfetto ordine?
(NB: personalmente ti consiglio, se hai spazio a sufficienza, di lasciare la cucina separata da tutto il resto…)
In ogni caso quando si entra in una casa il primo ambiente in vista dovrebbe essere il salotto o il soggiorno.
Lo so che non è sempre possibile rispettare tutte queste regole…ma ti ricordo che qui stiamo cercando di delineare dei principi di base, a cui è possibile trasgredire (senza esagerare).
Le caratteristiche della zona notte
Passiamo ora alla zona notte. L’orientamento ottimale è est o nord-est e Il motivo è presto detto: la mattina il sole sorge ad est. Questo ti permetterà di usufruire del primo calore che al mattino comincia a scaldare la casa, e quindi a limitare nei mesi invernali l’accensione del riscaldamento, ma anche a beneficiare degli effetti sull’umore della luce del sole.
È vero che la sera gli ambienti della casa orientati ad est sono tendenzialmente più freddi di quelli orientati ad ovest, ma dobbiamo considerare che al momento di andare a letto veniamo dalla zona giorno, più calda, quindi siamo già noi stessi un po’ più caldi, poi ci accingiamo a coricarci sotto le coperte, quindi in un posto caldo: non è necessario tenere calda la casa fino a tardi. Al mattino invece passiamo da un posto caldo, cioè il letto, ad uno a temperatura minore, l’ambiente della camera da letto, dove probabilmente ci muoveremo lentamente ancora assonnati e dove dovremo vestirci e prepararci per la giornata. Quindi è preferibile sfruttare il calore del mattino piuttosto che quello della sera. Inoltre nei mesi invernali il sole cala presto, quindi i benefici generati dal calore del sole spesso all’ora di andare a letto sono già svaniti da un pezzo.
Detto dell’orientamento ottimale della zona notte parliamo della successione delle stanze. Vicino al suo ingresso dovrebbe esserci un bagno: in questa posizione è utile soprattutto se non vi sono servizi igienici nella zona giorno: pensa di avere degli ospiti e dovergli far attraversare tutta la casa per andare al bagno…
Altra regola che solitamente applico alla progettazione della zona notte è posizionare la camera da letto principale, quella dei padroni di casa per intenderci, nel punto più lontano e riservato della casa. Questo sia per un fatto di privacy, sia per una questione gerarchica. Essere i padroni di casa, i “capofamiglia”, è un po’ come stare al vertice di un’azienda. Occupare la camera più appartata, magari alla fine di un corridoio, significa stare più tranquilli. Nessuno può disturbarti semplicemente passando davanti alla tua porta, bisogna per forza arrivarci di proposito. Dici che è una visione un po’ vecchia dei ruoli famigliari?
Quando parliamo di spazi di servizio ci riferiamo sostanzialmente alle lavanderie e ai ripostigli.
Uno degli ambienti che non deve mai mancare in una casa è il ripostiglio. Non importa quanto piccola sia la casa, ma un ripostiglio è sempre essenziale.
Questa è una lezione che ho imparato nell’ormai lontano 2008, quando ho ristrutturato la prima casa dopo essermi trasferito a Salerno. All’epoca non avevo grande esperienza e il progetto non l’ho sviluppato io…ero un semplice collaboratore…ma decisamente distratto.
Infatti il progetto che abbiamo fatto era molto bello…ma ci siamo scordati il ripostiglio!
E ce ne siamo accorti solo a lavori ultimati…anzi se ne sono accorti i proprietari di casa: “architetto…bella la casa eh…ma non sappiamo dove mettere le cose!”
Per rimediare abbiamo dovuto inventarci un complicatissimo mobile curvo con porta scorrevole da inserire in un microscopico bagno…ma la lezione mi è servita, da allora non ho mai più commesso un errore del genere!
Anche la lavanderia è altrettanto importante…spesso viene messa nel bagno di servizio, soluzione corretta quando lo spazio è poco. Ma se è possibile dovrebbe avere almeno una piccola nicchia dedicata: basta uno spazio largo meno di 1,5m e profondo 70cm. Quello da evitare è metterla nel bagno principale, il bagno di rappresentanza dove vanno gli ospiti.
Ma dove dovrebbero trovarsi gli spazi di servizio in una casa? Abbiamo già detto che solitamente si incastrano dove c’è posto, soprattutto nei piccoli appartamenti moderni. Però, nel caso in cui la casa sia di una dimensione tale da permetterti di scegliere la posizione di questi ambienti, dovresti metterli orientati a nord, il lato più scuro e freddo, dove non batte mai il sole. È perfetto per gli ambienti di servizio, utilizzati con scarsa frequenza nell’arco della giornata, e che non necessitano di riscaldamento.
(NB: il nord è anche un orientamento ottimale per gli studi degli artisti perché garantiscono una luce neutra e uniforme durante tutta la giornata)
I PROBLEMI DA NON SOTTOVALUTARE QUANDO PROGETTI LA DIVISIONE INTERNA
Finora abbiamo dato delle regole che potrebbero far sembrare semplice progettare la distribuzione interna di una casa.
Ma progettare seguendo queste regole è un’arma a doppio taglio: da un lato semplifica la vita dando una direzione sicura da seguire, dall’altro potrebbe rendere la progettazione un incubo perché non si riesce a rispettarle in alcun modo. Solitamente i problemi che si incontrano sono tre:
La forma della casa non consente di ottimizzare la distribuzione;
Le fecali sono a vattelapesca;
Non hai gli spazi sufficienti per tutte le funzioni che vorresti infilarci dentro.
Vediamoli brevemente e capiamo cosa si può fare in questi casi.
Impossibilità di ottimizzare la distribuzione
Mi è capitato spesso di ritrovarmi di fronte ad appartamenti per i quali non era proprio possibile realizzare una divisione interna che rispettasse i principi di cui abbiamo appena parlato. E più le case sono recenti più questo problema è diffuso.
Soprattutto a partire dagli anni settanta nei condomini (ma non solo) si è assistito ad un progressivo abbandono delle buone regole del progettare, che prevede di realizzare case con forme regolari e ben distribuite, in favore della più becera speculazione edilizia da parte dei costruttori, che pur di vendere ogni millimetro di spazio, hanno creato appartamenti con forme e distribuzioni assurde e spesso invivibili.
A questo magari si sono aggiunti accorpamenti e frazionamenti di porzioni di appartamenti ed ecco che la situazione si è complicata ancora di più.
Però queste case vanno comunque ristrutturate e non ti nego che in questi casi mi diverto tantissimo a trovare la soluzione perfetta. Ma per farlo bisogna sempre trasgredire una o più delle regole che abbiamo visto.
Così alle volte può essere necessario mettere la zona giorno lontano dall’ingresso e la zona notte subito dietro il portoncino. Oppure mettere il bagno nella zona giorno, oppure rinunciare alla lavanderia a parte. Nell’ultima parte dell’articolo ti mostrerò un esempio simile.
Come abbiamo già detto non siamo di fronte a regole incise nella pietra, quindi si possono infrangere a patto di arrivare a qualche compromesso e non violare le disposizioni di legge (ne facciamo accenno tra poco). L’unica regola che ti consiglio di non trasgredire mai è rinunciare al ripostiglio.
La fecale dove sta?
Questo è un altro grande problema, soprattutto negli appartamenti datati. Infatti non è raro trovare appartamenti, anche di dimensioni generose, con un’unica fecale posizionata nell’angolo più remoto della casa.
Il problema è che tutti gli scarichi di lavandini/docce/vasche/bidet/wc/lavatrice/etc. devono orbitare nei pressi della fecale, perché le acque reflue viaggiano per gravità, cioè dall’alto verso il basso, e le tubazioni devono quindi essere sempre in pendenza per consentire un corretto deflusso…anche le tubazioni che passano sotto i pavimenti.
Se a questo aggiungi che i massetti che trovi sopra i solai, all’interno di cui dovrebbero passare i tubi di scarico, spesso non superano i 4-5 cm di spessore (quando lo scarico di un wc ha diametro minimo di 8cm per intenderci), capisci che la frittata è bella che fatta: già ti immaginavi il bagno in camera e devi rinunciarci.
Per questo individuare la fecale di una casa è essenziale (ti ricordi che lo abbiamo scritto come elemento basilare del rilievo?): spesso il progetto di una ristrutturazione si basa su elemento tecnico quale la posizione della fecale. Sembra assurdo ma è così.
Fortunatamente ci sono alcune possibili soluzioni che ti regalano un po’ di libertà in più.
Come prima cosa è possibile creare, principalmente all’interno dei bagni, delle zone rialzate (cioè inserendo un gradino) per far passare le tubazioni. Così magari si riesce a ricavare un secondo bagno dove prima non c’era e si riesce a farlo anche lontano dalla fecale.
In questo bagno ad esempio ho inserito un gradino proprio per consentire l’allaccio degli scarichi alla fecale (eravamo in un palazzo storico senza nessun massetto a terra…)
Quando si fa questa operazione però bisogna stare attenti a un aspetto: il gradino si troverà lungo tutto il percorso del tubo, quindi se ci sono porte o porte-finestre nel mezzo è un problema (a meno di rialzare tutto…).
Solitamente il gradino si fa solo nei bagni o al massimo per tratti limitati al di fuori. Anche perché rialzare ampie porzioni di casa per far passare i tubi significa aggiungere un carico significativo di massetti ai solai…la cui resistenza andrebbe verificata da uno strutturista.
Seconda soluzione sono le elettropompe (la più famosa è il Sanitrit), cioè dei sistemi che triturano e spingono all’interno dei tubi i rifiuti delle acque reflue. In questo modo i tubi possono essere di diametri inferiori, quanto quelli di un normale rubinetto (4 cm), e possono correre in orizzontale, senza pendenza. Addirittura possono essere mandati a controsoffitto.
C’è la controindicazione che queste elettropompe sono elettriche: se manca la corrente non puoi usare il bagno. È vero che sospensioni di corrente sono rare, però il loro utilizzo andrebbe fatto con parsimonia, magari per bagni secondari e non per l’unico bagno della casa.
Lo spazio non basta mai…
L’ultimo problema è legato a una richiesta comune di chi ristruttura: aggiungere una stanza o ampliare quelle esistenti. Il problema è che per farlo bisogna comprimere gli spazi esistenti, e questa cosa non si può sempre fare.
A parte i problemi tecnici di cui abbiamo parlato qui sopra, ci sono da considerare anche problemi normativi: ogni casa deve rispettare le norme igienico sanitarie che prescrivono delle dimensioni minime per ogni ambiente, dei precisi rapporti tra superfici illuminanti (le finestre per intenderci) e superfici delle stanze, delle altezze minime inderogabili, delle regole sulla posizione dei bagni, etc…
Non voglio dilungarmi eccessivamente su questo aspetto perché ho parlato approfondito delle normative igienico sanitarie in un altro articolo che trovi qui.
QUALCHE ESEMPIO
In questo articolo abbiamo visto alcune regole per progettare la distribuzione interna di una casa e gli ostacoli più comuni che si possono incontrare. In questo ultimo paragrafo voglio farti vedere qualche progetto di nuove distribuzioni interne che ho studiato per la ristrutturazione di alcuni appartamenti.
Vorrei fartele vedere non tanto perché sono progetti che reputo particolarmente belli ma perché ci sono esempi di come si possono risolvere problemi dovuti a condizioni particolari tenendo fede ai principi di cui abbiamo parlato in questo articolo.
Si tratta di ristrutturazioni non realizzate, infatti sono alcune case che ho visitato quando mi dovevo trasferire, e per le quali ho provato ad immaginarmi possibili soluzioni di ristrutturazione coi relativi costi. Quindi i progetti non sono sviluppati ma solo abbozzati. Comunque si tratta di spunti che spero potranno esserti utili.
Le mie esigenze erano semplici: soggiorno, cucina, due camere da letto, un bagno e un ripostiglio (oltre al requisito più importante: la vista mare…). La superficie per tutto ciò doveva variare tra i 65mq e gli 80mq. Vediamo le case.
Appartamento 1: zona giorno lontana o un gradino nel corridoio?
Questo è stato il primo appartamento che ho visto, e a livello di spazi rispondeva a tutti i requisiti che cercavo. Inoltre da una finestra c’era una bellissima vista diretta sul golfo di Salerno e sia gli impianti che i bagni erano appena stati rifatti.
Ma a parte i pregi c’erano alcuni difetti: la maggior parte delle finestre affacciavano in una vanella striminzita, la zona giorno si trovava tra le due camere da letto e un disimpegno era stato rialzato di 15 cm per far passare le tubazioni del secondo bagno che era stato ricavato al posto del ripostiglio (doppio errore!), presentando così un gradino in mezzo alla casa.
Ecco come si presentava quando l’ho vista:
A me questa distribuzione non piaceva proprio, così ho provato ad immaginarmi alcune soluzioni alternative trovandone due interessanti.
In questa prima ipotesi avrei aperto completamente l’area all’ingresso facendola diventare il soggiorno, e avrei invertito la cucina e una camera da letto. A livello impiantistico lo scarico della cucina si sarebbe potuto far passare lungo la parete perimetrale, con in giusti accorgimenti per superare i pilastri senza toccarli, non costituendo così un problema.
Ho anche fatto un render per capire meglio gli spazi e le finiture (e sognare un po’ in prima persona).
Sarebbe rimasto il problema del gradino di 15cm nel disimpegno della zona notte. Ma lo avrei anche accettato se non ci fossero stati altri problemi: la camera singola sarebbe stata veramente piccola…quasi un corridoio (comunque a norma)…e non ci sarebbe stato ripostiglio.
Anche se questo secondo problema sarebbe stato facilmente risolvibile (lo spazio della zona giorno è abbondante), l’idea di avere un soggiorno vista vanella non mi stuzzicava. Così ho studiato una seconda soluzione.
In questa distribuzione ho trasgredito una delle regole di cui abbiamo parlato: la zona giorno si trova in fondo alla casa, con un lungo corridoio per arrivarci. Invece la zona notte si trova vicino all’ingresso ma, nonostante la posizione, risulta essere comunque abbastanza riservata, con due camere da letto di dimensioni generose e una sorta di mini-suite per la camera principale, composta da un corridoio-guardaroba di accesso e un bagno privato.
Manca ancora il ripostiglio, ma la lunga armadiatura lungo il corridoio di ingresso, che avevo immaginato in parte a giorno e in parte chiusa, avrebbe sopperito a questo problema. E soprattutto non ci sarebbe stato nessun gradino in casa (forse nel bagno di servizio).
Appartamento 2: le potenzialità di una forma regolare
Ammetto che in questo secondo appartamento ci ho lasciato il cuore: piano alto con una vista mare spettacolare. E una forma regolare che avrebbe consentito una divisione interna efficace. Ecco come si presentava.
Tutte le stanze erano balconate, con il soggiorno e la camera rivolti a sud-est, con vista mare, e gli spazi di servizio e la seconda camera rivolti a nord-ovest, con affaccio su un cortile interno.
La casa era completamente da ristrutturare e aveva una distribuzione abbastanza classica e tutto sommato corretta, che non aveva bisogno di molte modifiche: serviva giusto un po’ di apertura in più, un secondo bagno e una zona-lavanderia. Ecco come l’avrei ristrutturata.
L’ingresso accorpato al soggiorno, la cucina, vicino all’ingresso, in un ambiente autonomo ma senza porta, giusto un varco a tutta altezza a dividerla dal soggiorno. Il secondo bagno in camera avrebbe previsto un sistema di scarico ad elettropompa per evitare gradini (la fecale stava nel bagno principale). L’unica soluzione da approfondire sarebbe stata per la lavanderia, che come vedi ho messo nel corridoio: avevo qualche dubbio di riuscire ad arrivare alla fecale senza problemi…ma purtroppo ho dovuto rinunciare a questa casa e non ho avuto modo di studiarla ulteriormente.
Anche di questa ho fatto dei render.
Appartamento 3: quando i dettagli fanno la differenza (anche nella distribuzione interna)
L’ultimo appartamento che ti faccio vedere è casa mia. Quella nuova.
Quando mi ci sono trasferito era già stata ristrutturata completamente (dal precedente proprietario), e mi sono limitato a fare alcune modifiche alle finiture che non mi piacevano: ho coperto con la resina un orribile pavimento in grès effetto legno, ho rivestito alcune pareti con listelli di legno (vero) e ho cambiato il verde brillante che era stato buttato un po’ dappertutto con un grigio antracite.
Ma non è dell’aspetto estetico che ti voglio parlare. Infatti chi ha ristrutturato la casa ha anche rivisto completamente la distribuzione interna, e la soluzione adottata è sostanzialmente corretta. Eccola.
Come vedi c’è un disimpegno di ingresso che distribuisce la zona giorno, a destra, e la zona notte, a sinistra, che sono correttamente separate.
Ci sono due camere da letto di cui la principale strutturata come una mini-suite, cioè con bagno in camera e cabina armadio, e poi c’è il bagno principale che è cieco (ma non è un problema).
Se questa distribuzione l’avesse pensata un mio cliente gli avrei fatto i complimenti. Però a mio avviso ci sono alcuni difetti (attenzione: non sto dando la colpa al tecnico…non so quanto il committente si sia infilato in mezzo alle decisioni progettuali).
1: non c’è un vero e proprio ripostiglio. Ce n’è uno piccolo a sinistra dell’ingresso, che in realtà credo fosse stato pensato come guardaroba (perfetto sia come dimensione che posizione). Io l’ho girato a ripostiglio proprio perché mi serviva…ma oggettivamente è minuscolo.
Ad onor del vero il tecnico credo si è accorto di questo problema, e infatti sopra il disimpegno della zona notte c’è un ripostiglio soppalcato. Ma è scomodo per le cose che possono servire tutti i giorni…
2: la posizione della televisione nel soggiorno non va bene. Si trova lungo la parete che confina con il vano scale (in basso a destra nel disegno). Il problema naturalmente non è la parete su cui è installata, ma la posizione in sé: dovrebbe essere centrata rispetto al divano, invece chi è seduto deve vedere la televisione di traverso…
Inoltre è stata creata una parete attrezzata in cartongesso che costringe ad avere la televisione molto in alto…una posizione che va bene quando il divano è ben distanziato dalla tv, in questo caso sta a circa 1 metro e 1/2…quindi doppio torcicollo!
Io non ci passo molto tempo davanti alla TV, ma di sicuro si poteva fare meglio.
3: non c’è uno spazio-lavanderia autonomoe la lavatrice si trova nel bagno principale. Ti ho già scritto cosa ne penso in proposito e non vorrei ripeterlo nuovamente. Credo che sarebbe stato semplice trovare lo spazio per una nicchia dedicata (con un lavatoio che manca).
4: Perché il muro tra camera e bagno è storto e il disimpegno della zona notte non rispetta nessun allineamento?
Sono due cose disturbanti. Quando si progetta una pianta bisogna cercare allineamenti e regole compositive… se mancano si finisce per fare muri storti, incastrare le cose e avere rientranze a caso.
Quindi alla fine distribuzione corretta ma migliorabile.
UNA GUIDA COMPLETA PER PROGETTARE LA TUA RISTRUTTURAZIONE
Siamo arrivati alla fine di questo articolo, spero ti averti dato alcune indicazioni utili con cui potrai cominciare a progettare veramente la tua ristrutturazione. A costo di essere ripetitivo ti ribadisco anche che non devi essere tu il progettista della tua ristrutturazione: hai bisogno di un tecnico.
Ma nessuno può e deve impedirti di immaginare come potrebbe diventare la tua casa…e il mio scopo è stato aiutarti in questo. Perché se non conosci le basi della progettazione finisci per immaginare cose irrealizzabili. E poi magari scopri che il secondo bagno non puoi metterlo dove pensavi, oppure che allargare una camera perché sta per arrivare un nuovo figlio non si può proprio fare.
Se poi stai acquistando una casa da ristrutturare è ancora più importante essere realisti per non buttare centinaia di migliaia di euro nel ce**o.
Le indicazioni che hai letto in questo articolo sono solo una piccola parte di quello che è necessario conoscere per fare una ristrutturazione efficace e a norma di legge. Un’altra parte più consistente la puoi trovare nella guida “Come si progetta una casa?” che regalo a chi acquista il manuale “Ristruttura la tua casa in 7 passi”.
Si tratta dell’unica guida completa che puoi trovare in Italia che ti accompagna attraverso tutte le tappe che devi obbligatoriamente passare quando ristrutturi una casa: ti dice quello che va fatto, quando va fatto e come va fatto.
«E’ un manuale che non può mancare ad un committente che non ha conoscenze nel campo dell’edilizia/ristrutturazioni e vuole parlare con cognizione di causa con il tecnico, le imprese di costruzione ed i fornitori, soprattutto per poter anticipare e trovare una soluzione ai problemi che sicuramente arriveranno nel corso della ristrutturazione.»
Gianni Benvenuto
Torino
E con il manuale ho preparato tredici bonus che affrontano tutti quegli aspetti che sono perenne fonte di pensieri per i committenti perché non riescono mai a trovare risposte certe: se e quale pratica edilizia fare, come sfruttare le detrazioni fiscali, qual è l’iva da applicare, come fare un quadro economico completo, come stimare in pochi minuti il costo di una ristrutturazione, cosa scrivere nei contratti con tecnici e imprese, e tanti altri aspetti essenziali…
Se vuoi approfondire trovi tutte le informazioni a questa pagina:
Uno dei problemi più comuni di chi ristruttura casa è l’aumento incontrollato dei costi durante i lavori.
Spesso la colpa viene data ai tecnici che hanno sbagliato i conti (o il progetto…), alle imprese furbe che fanno uscire lavori di cui non avevano parlato, o a imprevisti imprevedibili.
In realtà la causa dell’aumento dei costi è quasi sempre una sbagliata tenuta dei conti (o una mancata tenuta dei conti…), che porta a non considerare alcune spese facilmente prevedibili (e obbligatorie…) ma di cui le persone non sono consapevoli.
Lo strumento principe per avere sempre sott’occhio quanto ti sta costando la ristrutturazione è il quadro economico.
Ma il quadro economico di una ristrutturazione è un documento complesso, che deve essere capito e scritto nel modo giusto. Ed è un documento di cui il primo a preoccuparsi dovrebbe essere il committente dei lavori.
In questo articolo ti farò vedere come si prepara un quadro economico nel modo corretto e potrai scaricarne uno da utilizzare per la tua ristrutturazione.
In passato ho affrontato spesso sul blog il tema del budget, relativamente alla ristrutturazione di una casa. Ma non ho mai parlato in modo diretto e completo del documento principale con cui puoi stimare e tenere traccia nel modo corretto delle spese della tua ristrutturazione: il quadro economico.
Con questo articolo vorrei porre rimedio a questa mancanza.
A rischio di dire cose banali vorrei precisare cosa sia il quadro economico: stiamo parlando di un documento di sintesi in cui sono riportati tutti i principali capitoli di spesa della ristrutturazione. In realtà hai a che fare con quadri economici più o meno ogni volta che chiedi il preventivo per qualcosa: l’auto, il cellulare, le vacanze…perché quindi dedicare un intero articolo al quadro economico per la tua ristrutturazione? In fondo non basta prendere il preventivo dell’impresa?
La risposta è no: il quadro economico in campo edilizio è un documento abbastanza complesso perché le modalità con cui vengono realizzati i lavori, il modo con cui vengono contabilizzati e la quantità di figure che vengono coinvolte nel processo è enorme (anche in una piccola ristrutturazione). E c’è bisogno di uno strumento che sia in grado di tenere tutti i costi sotto controllo. Ed è indispensabile farlo dal principio della ristrutturazione, pena il rischio di sforare il budget a tua disposizione e non sapere come pagare imprese, tecnici e fornitori. Immagino tu nella tua casa ci voglia vivere e non vuoi scappare in qualche stato sudamericano per sfuggire ai creditori.
Per capire la complessità di questo documento proviamo a riassumere tutti i soggetti che in qualche modo interverranno nella tua ristrutturazione e a cui dovrai dare dei soldi:
L’impresa che fa i lavori (con i subappaltatori come gli impiantisti)
I fornitori di pavimenti e rivestimenti
I fornitori di sanitari e rubinetterie (spesso coincidono con i precedenti)
I fornitori di infissi esterni ed interni
I mobilieri
I tecnici
E sicuramente me ne sono scordato qualcuno…
Queste sono tutte voci di spesa che dovrai inserire nel tuo quadro economico. Però c’è un però: i preventivi che ti vengono fatti da (quasi) tutti sono netti, cioè non contemplano l’iva che va aggiunta a parte ma che dovrai pagare tu. Ma non basta moltiplicare tutti gli importi per l’aliquota iva generica: infatti in Italia, nel settore edile, esiste l’iva differenziata a seconda di beni e servizi. Il tema fortunatamente non ha subito variazioni da un po’ di anni, ma è comunque complicato, quindi devi prestare attenzione mentre aggiungi questa imposta. Se vuoi approfondire il tema ho scritto questo articolo un po’ di tempo fa.
Per non andare troppo per le lunghe, nella tua ristrutturazione puoi applicare due regimi iva separati. Proviamo a riassumere anche questo:
Sulle opere edili ed impiantistiche l’iva va al 10%;
Sulle forniture l’iva va al 22%;
Sulle forniture di beni significativi (se non sai cosa sono lo trovi nell’articolo che ti ho appena linkato) l’iva va al 10% fino al concorrere dell’importo necessario per installarli, sul resto va al 22%;
Sulle prestazioni tecniche (progettazione e direzione lavori) l’iva va al 22% a meno che il tecnico non aderisca al regime forfettario (senza iva)
Capisci che calcolarla correttamente non è banale…
Ma non è finita qui: non esistono mica solo le spese per i lavori/progettazioni e l’iva! Ci sono anche altre spese che dovrai sostenere e che entrano a tutto diritto nel quadro economico della tua ristrutturazione. A titolo di esempio:
Il contributo previdenziale per i tecnici (imposto per legge)
Le spese di segreteria per pratiche edilizie e catastali varie
Eventuali oneri di occupazione di suolo pubblico
Ecco: sommando tutte queste voci hai un quadro economico complessivo della tua ristrutturazione.
E già qui sarebbe abbastanza articolata come cosa….se non fosse che devi tenere conto anche delle detrazioni fiscali. Non ti devo certo spiegare in questo articolo cosa sono e come funzionano, ne ho scritto in abbondanza in passato e trovi un articolo qui.
Siccome le detrazioni fiscali ti aiutano a ridurre in modo significativo il costo della ristrutturazione (almeno sul lungo termine), penso sia fondamentale inserirle nel quadro economico. Ma per calcolare correttamente quanto puoi detrarre devi sapere quali detrazioni fiscali ci sono, quali sono i limiti di spesa e quali opere rientrano in quale detrazione. Anche qui le cose non sono affatto banali.
Attualmente sono presenti queste detrazioni fiscali che puoi sfruttare per la tua ristrutturazione:
Bonus casa
Ecobonus
Bonus arredo
Bonus verde
Superbonus (con mille limitazioni….)
Ce ne sarebbero anche altre ma solitamente non sono sfruttabili in una ristrutturazione media.
In ogni caso, come vedi, costruire correttamente il budget della tua ristrutturazione è un processo complesso. Ma non è una cosa impossibile né per la quale ci vuole una laurea in astrofisica.
Però si tratta di una cosa che devi cominciare a fare subito nella tua ristrutturazione, a partire da quando fai le prime ipotesi: sarà il tuo strumento di controllo principe.
Immagino che tu non abbia mai visto il quadro economico di una ristrutturazione, quindi potresti ritrovarti in difficoltà nell’affrontare la realizzazione del tuo.
Per questo nei prossimi paragrafi approfondiremo quanto detto fino a qui, troverai il link per scaricare un quadro economico completo di esempio e ti indicherò un paio di strumenti utili.
IL QUADRO ECONOMICO PER UNA RISTRUTTURAZIONE
In rete puoi trovare un sacco di quadri economici: si tratta di uno strumento standardizzato nell’edilizia e che viene utilizzato sia nel settore pubblico che in quello privato da decenni.
Tutti però hanno un problema: non sono costruiti sulle specifiche esigenze di una ristrutturazione. Infatti si tratta sì di documenti di sintesi dei costi, ma da un lato di eccessiva sintesi e dall’altro con informazioni superflue.
Il quadro economico-tipo di un’opera pubblica infatti è composto da due parti:
Importo lavori
Somme a disposizione
Nell’importo lavori viene semplicemente riportato il totale del costo dell’opera, desunto dal computo metrico estimativo (abbiamo parlato di questo documento in questo articolo), e l’unica distinzione che viene fatta è quella tra le somme per realizzare i lavori e quelle per la sicurezza (semplificando: i costi per l’installazione del cantiere, la formazione del personale e i dispositivi di protezione).
Ma a te questa distinzione non serve…invece ti serve un maggiore dettaglio del costo di realizzazione dei lavori, perché probabilmente affiderai le opere edili ed impiantistiche ad un’impresa ma le mattonelle del bagno te le vai a comprare per i fatti tuoi, così come gli infissi, etc.
Nelle somme a disposizione invece è messo il calderone di tutte le altre spese che concorrono a formare il costo reale dei lavori: da quelle per i tecnici, agli oneri burocratici, all’iva, a una miriade di altri costi che hanno senso solo in un appalto pubblico (spese per pubblicità, commissioni, assistenza alla d.l., incentivi, etc.).
Fermo restando che un quadro economico costruito in questo modo fornisce il costo finale e reale dei lavori in modo corretto…non lo fa secondo le tue esigenze.
Il quadro economico per una ristrutturazione può essere fatto in vari modi, ma dal mio punto di vista deve essere composto da quattro sezioni:
Sezione 1: costo di lavori, forniture, arredi e imprevisti
Sezione 2: costo delle spese tecniche
Sezione 3: costi burocratici e assimilabili
Sezione 4: detrazioni fiscali
Ma non basta, ogni sezione dovrebbe avere un ulteriore grado di dettaglio. Vediamolo.
Sezione 1: i lavori veri e propri
Nella sezione 1 trovi il costo di tutti i lavori che devono essere realizzati che possono essere suddivisi in quattro macro-categorie:i lavori edili e impiantistici, le forniture, gli arredi e gli imprevisti.
Il costo dei lavori dovrebbe essere a sua volta suddiviso nelle categorie principali:
Opere edili
Impianto elettrico
Impianto idrico
Impianto di riscaldamento
(ce ne possono essere anche altre ma queste sono quelle essenziali)
La stessa cosa per le altre voci di costo di questa sezione. Ad esempio le forniture dovrebbero essere divise per:
Pavimenti e rivestimenti (anche separati eventualmente)
Sanitari e rubinetterie (come sopra)
Infissi interni (le porte)
Infissi esterni (finestre e sistemi oscuranti)
Volendo essere ancora più sofisticati anche gli arredi potrebbero essere suddivisi in più voci, magari legati agli ambienti.
Gli imprevisti poi sono una voce di spesa fondamentale, che devi tenere per te, ma che non puoi non considerare: sono le somme che ti salvano. Se ti va bene te le ritrovi da parte…in caso contrario riesci a finire i lavori! Solitamente si stimano intorno al 10% dell’importo dei lavori, ma non è una regola fissa.
Infine per ognuna delle voci che abbiamo elencato qui sopra, dovrebbe essere indicato il regime iva applicabile e il relativo importo.
Sezione 2: le spese tecniche
Anche per la sezione relativa al tecnico dovrebbe essere fatta una necessaria suddivisione. Ne propongo una un po’ articolata, ma che può essere semplificata.
Partiamo da una suddivisione di base:
Progettazione e direzione lavori
Progettazione impiantistica ed energetica
Variazione catastale
Attestato di prestazione energetica
Coordinamento della sicurezza
Progettazione di arredi su misura
Le prime due voci potrebbero essere ulteriormente dettagliate. La prima potrebbe infatti essere suddivisa (sulla base della mia esperienza) in questo modo:
Rilievo e verifica di conformità
Progettazione architettonica completa e impiantistica di base
Preparazione e presentazione delle pratiche edilizie
Direzione lavori e contabilità
Fine lavori e agibilità
Invece per quanto riguarda la progettazione impiantistica ed energetica:
Progetto impianto elettrico e domotico evoluto
Progetto impianto di riscaldamento/raffrescamento evoluto
Relazione di contenimento dei consumi energetici
Ho scritto un articolo abbastanza esaustivo su quali sono le prestazioni che deve svolgere un tecnico (o più tecnici) durante la ristrutturazione. Lo trovi qui e ti rimando a quello per capire meglio perché ho fatto questa distinzione sulla parte impiantistica (che a onor del vero non è sempre necessaria).
Anche in questa sezione va calcolata l’iva, che però non è sempre dovuta (per i tecnici ci sono dei regimi particolari che non la prevedono) mentre il contributo previdenziale è sempre dovuto e cambia a seconda della tipologia di tecnico (architetti e ingegneri 4%, geometri 5%).
Sezione 3: le spese burocratiche
Questa è forse la sezione più semplice anche se una di quelle spesso sottovalutate e che può regalare brutte sorprese.
Generalmente le spese burocratiche in una ristrutturazione non sono elevate: sono i diritti di segreteria di poche centinaia di euro per la presentazione delle pratiche edilizie.
Però ci sono dei casi in cui è necessario pagare tasse come il contributo di costruzione (nel caso di ampliamenti o cambi di destinazione d’uso) e l’occupazione di suolo pubblico, che possono essere salate.
Quindi le voci di questa sezione indicativamente sono:
Diritti di segreteria per pratica edilizia
Diritti di segreteria per agibilità
Occupazione di suolo pubblico
Contributo di costruzione
Naturalmente non sono tutte somme che dovrai pagare obbligatoriamente (alle volte non lo sono nemmeno i diritti di segreteria per la pratica edilizia) e potrebbero essercene anche altri. Per una ristrutturazione media considera solo i diritti di segreteria per la pratica edilizia e per l’agibilità.
Qui non c’è iva da pagare (e queste somme possono rientrare nelle detrazioni fiscali).
Sezione 4: le detrazioni fiscali
Con le prime tre sezioni potremmo chiudere il nostro quadro economico: infatti si arriva ad avere un quadro economico completo di tutte le spese da sostenere. Per molti anni i miei quadri economici non sono andati oltre questo punto e non è sbagliato fermarsi qui.
Però non dobbiamo nasconderci dietro un dito: sappiamo tutti che le detrazioni fiscali ormai hanno un ruolo fondamentale nelle ristrutturazioni: spesso ormai senza di loro non si parte nemmeno a ristrutturare. Quindi la quarta sezione serve proprio a mettere nero su bianco a quanto ammontano le detrazioni fiscali, e quindi le somme che possono essere risparmiate.
Il tema è complesso, ed è diventato ancora più complesso da quando sono stati introdotti lo sconto in fattura e la cessione del credito, con nuovi e più stringenti strumenti di stima e controllo.
Io mi occupo (anche) di detrazioni fiscali e quasi sempre non ho la certezza delle somme fino a quando non ho il progetto esecutivo in mano. Però puoi comunque arrivare fin da subito a fare una prima stima delle detrazioni fiscali che ti spettano. A patto di imputare le giuste somme alle giuste lavorazioni.
So che non è semplice e forse avrai bisogno di un aiuto per compilare correttamente questa parte del quadro economico.
In questa sezione il quadro economico dovrebbe essere diviso per le tipologie di detrazioni fiscali che puoi sfruttare (e che abbiamo visto poco fa):
Bonus casa
Ecobonus
Bonus arredo
Bonus verde
Superbonus
Se hai letto l’articolo sulle detrazioni fiscali sai che l’ecobonus è composto da più sotto-misure, e lo stesso vale per il superbonus. Quindi è utile un’ulteriore suddivisione.
Per l’ecobonus:
Riqualificazione globale
Sostituzione degli infissi esterni
Isolamento dell’involucro
Sostituzione dell’impianto di riscaldamento
Building automation (per l’impianto di riscaldamento)
NB: la riqualificazione globale si considera solo per edifici interi e non appartamenti in condominio. Se viene sfruttata questa misura si escludono le altre.
(In realtà nell’ecobonus ci sono altre misure oltre a queste, ma le ritengo di scarso interesse)
Passando al superbonus:
Cappotto termico
Sostituzione infissi
Sostituzione impianto di riscaldamento
Installazione di pannelli fotovoltaici
Installazione di sistemi di accumulo dell’energia
Installazione di colonnina elettrica
Come sai ogni misura ha una percentuale di detrazione, un massimale di spesa e delle opere che vi possono rientrare. E non possono essere fatte a caso. Ti rimando all’articolo sulle detrazioni fiscali che ti ho già linkato per approfondire e a quello sul superbonus (che trovi qui), anche se ormai è una misura che sta andando a scemare. Ma, soprattutto in fase avanzata, l’aiuto di un tecnico con un minimo di esperienza sarà indispensabile.
UN QUADRO ECONOMICO-TIPO
Spero che le indicazioni che ti ho dato finora siano state utili, ma lo so che all’atto pratico sei ancora lontano dal costruirti il tuo quadro economico.
Se vuoi puoi metterti con foglio e penna, oppure se hai un po’ di dimestichezza impostare qualche operazione con excel, e costruirti il tuo quadro economico personale.
Per facilitarti le cose ho voluto metterti a disposizione un quadro economico completo in pdf che, puoi scaricare, stampare e compilare autonomamente. Questo è uno screenshot:
Se vuoi puoi scaricarlo gratuitamente cliccando il pulsante qui sotto:
Si tratta dello stesso quadro economico che fa parte dei bonus in regalo con il mio manuale “Ristruttura la tua casa in 7 passi”.
Con una piccola differenza: chi possiede il manuale ha la versione in excel totalmente editabile del quadro economico. Può inserire i valori e modificarli a suo piacimento, ci sono dei calcoli automatici che vengono eseguiti (che eventualmente possono essere bypassati), ed aggiornarlo è estremamente semplice.
In questo video puoi vedere come ho compilato questo quadro economico in pochi minuti e come ho ottenuto automaticamente il calcolo delle prestazioni professionali e delle detrazioni fiscali:
Si tratta di uno strumento fondamentale per la tenuta dei conti della ristrutturazione.
Inoltre ti ricordo che tra i bonus del manuale c’è anche il budget simulator: uno strumento che con pochissime informazioni di base simula un quadro economico completo per una ristrutturazione. Basta inserire indirizzo, superficie e tipologia di ristrutturazione che si vuole realizzare ed in automatico il budget simulator fornisce un costo di massima della ristrutturazione, completo di importi delle detrazioni fiscali.
Chiunque ha acquistato il manuale “Ristruttura la tua casa in 7 passi” lo ha considerato uno strumento fondamentale per pianificare e gestire correttamente la propria ristrutturazione.
Il contratto di appalto dei lavori, quello che stipuli con l’impresa, è uno dei documenti più importanti per la corretta gestione del cantiere, per i pagamenti, per la contabilizzazione, per le garanzie…Insomma è qualcosa con cui non si scherza. Invece spesso viene sottovalutato, in particolare da committenti che si fidano dei contratti standard proposti dalle imprese, in cui sono sempre presenti le tutele per queste ultime ma mai per chi ci mette i soldi.
In questo articolo vedremo alcune regole per fare in modo che il contratto contenga queste tutele minime per te che stai per spendere una fortuna per ristrutturare.
Sia chiaro: il contratto deve essere un documento equilibrato. Non deve favorire né il committente né l’impresa. Al suo interno devono essere presenti tutti gli elementi che descrivono i lavori, i soggetti in gioco, gli obblighi, l’importo dei lavori, le modalità di pagamento e di contabilizzazione delle opere, i tempi di esecuzione e, dulcis in fundo, cosa fare quando qualcosa non va per il verso giusto.
Nei prossimi paragrafi faremo una panoramica su quattro articoli che ritengo debbano essere sempre presenti in un contratto di appalto e che devono essere scritti nel modo corretto. Però deve esserti chiara una cosa: stiamo parlando di un accordo tra privati, che tra l’altro non sarebbe nemmeno obbligatorio ai sensi di legge (potresti affidare i lavori senza contratto giusto per capirci), e quindi anche in assenza delle tutele di base non è illegale…
Certo ci sono quelle imposte dal codice civile (che comunque valgono in presenza di un regolare contratto), ma riguardano soprattutto le garanzie sui lavori. Invece quello che interessa realmente a te, come l’importo dei lavori, le modalità di esecuzione, i tempi, etc. sono frutto di accordi tra privati…ed è lì che devi stare attento.
Le somme in gioco in una ristrutturazione sono elevate e quasi sempre un committente si ritrova a mettere in mano ad imprese che non conosce un sacco di soldi. La fiducia è essenziale, ma ci vogliono anche le garanzie.
Senza scordarsi che dall’altro lato c’è un’impresa che anticipa lavoro e materiali senza avere di fatto in mano tutti i soldi necessari per pagarli, con il rischio che il committente si rifiuti di pagare o contesti cose a caso per cercare di risparmiare qualche lira.
Quindi un contratto fatto bene, anche se l’impresa è dell’amico con cui esci il sabato sera a ubriacarti, è fondamentale.
GLI ARTICOLI ESSENZIALI DI UN CONTRATTO DI APPALTO
Un contratto di appalto dei lavori scritto bene può contenere oltre venti articoli. Ma allo stesso modo un contratto di appalto scritto altrettanto bene può contenerne solo cinque o sei.
Nella mia esperienza ho sempre preferito scrivere contratti molto dettagliati, così da avere un’interpretazione chiara per qualsiasi aspetto della ristrutturazione (almeno per quelli prevedibili). D’altro canto un contratto snello può essere sufficiente, soprattutto se i lavori non sono particolarmente onerosi.
Ad ogni modo ritengo che ci siano alcuni articoli che devono essere sempre presenti:
Oggetto dell’appalto
Forma dell’appalto
Personale e oneri previdenziali e assicurativi
Corrispettivo e modalità di pagamento
Durata dei lavori
Approfondiamoli uno per uno.
Oggetto dell’appalto
Può sembrare banale ma deve essere definito in modo chiaro su cosa viene fatto il contratto: quindi va individuato precisamente l’immobile, con indirizzo e dati catastali, quali sono i diritti sull’immobile del committente (proprietario, locatario, etc.), e sinteticamente in cosa consistono i lavori da realizzare.
Una versione stringata di questo articolo potrebbe essere:
Il Committente affida all’Appaltatore l’esecuzione dei lavori di . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . come meglio descritti nella documentazione tecnico-amministrativa allegata al presente contratto, di cui costituisce parte integrante e sostanziale.
Il Committente dichiara, in quanto. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ., di avere la piena disponibilità (giuridica o di fatto) dell’immobile sito in . . . . . . . . . . . . . . . . . . individuato all’Agenzia del Territorio di . . . . . . . . . . . . . . . . . . Foglio . . . . . . . . . . . . . . . . . . particella . . . . . . . . . . . . . . . . . . sub . . . . . . . . . . . . . . . . . . , e di avere chiesto/ottenuto (barrare) tutte le autorizzazioni, istanze, pareri nulla osta, titoli abilitativi comunque denominati necessari, secondo le vigenti disposizioni di legge, per eseguire i lavori di cui al presente contratto
(oppure “che prima di iniziare i lavori verrà presentata CILA/SCIA/Permesso di Costruire (barrare) per i lavori da eseguirsi nell’immobile in oggetto”)
Forma dell’appalto
Gli appalti possono essere stipulati in due forme: a “corpo” o a “misura”.
Nel caso di contratti a corpo l’importo dei lavori da realizzare è fisso, cioè l’impresa si impegna a realizzarli senza chiederti ulteriori somme aggiuntive. Ad esempio se il progetto prevede di realizzare 10mq di muro e poi all’atto pratico sono 12 i mq realizzati, l’importo che pagherai non varia. Questo vale anche per le quantità in detrazione.
Nel caso di contratti a misura invece l’importo dei lavori è determinato dalle quantità di lavorazioni effettivamente eseguite. Quindi se il progetto prevede 10mq di muro e ne vengono realizzati 12, devi pagare all’impresa questa quantità.
All’apparenza il contratto a corpo è conveniente. L’idea infatti è che “poi durante i lavori escono cose nuove da fare e i costi aumentano sempre…col contratto a corpo non ho di questi problemi”.
In realtà non è proprio così: infatti è vero che una quantità maggiore o minore di una lavorazione prevista nel progetto non comporta variazioni di costo per te, ma questo vale per differenze di quantità limitate. Nel caso in cui le differenze siano tante l’impresa ti chiederà di essere pagata (e ti assicuro che se ti rifiuti di farlo da qualche altra parte questi soldi sbucheranno). Inoltre l’importo a corpo non comprende le lavorazioni aggiuntive, le varianti, gli imprevisti, etc., che paghi in toto.
Sicuramente partendo da un progetto dettagliato e fatto bene, con un contratto a corpo hai maggiori garanzie sui costi e sicuramente la contabilità è più semplice. Ma non è certo un modo furbo per ottenere più lavori pagando di meno. Anzi: in caso di lavori in detrazione spesso non vengono detratti dal costo pattuito…
Inoltre trovare imprese che accettano contratti a corpo non è semplice perché il rischio di dover realizzare molti più lavori di quanto rappresentato nel progetto e non vederseli riconosciuti è reale. Anche perché spesso i progetti presentati dai tecnici dei committenti sono approssimativi.
Quando gli importi in gioco sono piccoli (qualche migliaia di euro) si tratta di una soluzione attuabile, quando gli importi sono grandi è più difficile spuntare un contratto a corpo.
In questo (unico) caso spezzo una lancia a favore delle imprese “chiavi in mano”: eseguendo loro il progetto, ed avendo quindi tutto sotto controllo dall’inizio, sono più propense ad accettare un contratto a corpo (ma queste imprese hanno tutta un’altra serie di problemi di cui abbiamo già parlato in questo articolo, che dal mio punto di vista dovrebbe farti desistere da affidarti a loro).
Inoltre uno scotto da pagare in caso di contratti a corpo è partire da prezzi sensibilmente superiori proprio perché l’impresa deve cautelarsi da possibili imprevisti.
I contratti a misura invece sono probabilmente il modo migliore per pagare quanto effettivamente realizzato. Si tratta di un modo corretto di calcolare e contabilizzare i costi e che consente anche di fare più efficacemente economie durante i lavori: se ci si accorge di stare sforando il budget a disposizione è sempre possibile tagliare lavori non essenziali. Ed essendo questi pagati a misura basta scomputarli.
Inoltre con un contratto a misura è oggettivamente più semplice contrattare importi inferiori e le imprese si sentono maggiormente tutelate.
Di certo c’è più lavoro per il tecnico, che deve mantenere correttamente la contabilità (ma in una ristrutturazione solitamente non è particolarmente complesso), però i pochi soldi che chiederà per questa mansione spesso valgono la candela.
Una cosa però è essenziale sia per i contratti a corpo che per quelli a misura: un computo metrico fatto bene. Ti ho già parlato del computo metrico in questo articolo quindi non approfondiamo ulteriormente. Ad ogni modo è un documento che deve sempre essere allegato ai contratti di appalto dei lavori.
Ecco come potrebbe essere scritto un articolo relativamente alla forma dell’appalto:
L’appalto si intende affidato e accettato a corpo/a misura (cancellare l’opzione non utilizzata)
Sono compresi nel costo globale le forniture di materiali specificati nell’offerta dell’appaltatore allegata al presente contratto, le lavorazioni, i trasporti, i noleggi e quant’altro necessario per eseguire compiutamente i lavori.
L’appaltatore non risponde dei vizi dei materiali forniti dal Committente stesso; qualora taluni materiali o impianti di determinate marche previsti nella descrizione delle opere allegata al presente contratto non siano reperibili sul mercato per cessazione della produzione o difficoltà di consegna, l’impresa appaltatrice è autorizzata alla sostituzione per equivalente, previa comunicazione scritta al Committente e da questi sottoscritta per accettazione. Ove il Committente non effettui alcuna comunicazione entro 7 giorni dalla data in cui l’Impresa ha provveduto alla proposta di sostituzione per equivalente, la proposta si intenderà accettata.
Personale e oneri previdenziali e assicurativi
Presta particolarmente attenzione a questo paragrafo. Fino a poco tempo fa non avrei riportato questo articolo tra quelli essenziali di un contratto di appalto, ma recentemente la norma ha introdotto un nuovo obbligo che ha cambiato le carte in tavola…soprattutto se vuoi sfruttare le detrazioni fiscali.
La legge di bilancio per l’anno 2022 (Legge 30 dicembre 2021 n.234) nel comma 43-bis ha introdotto l’obbligo di indicare nei contratti di affidamento dei lavori (quindi i contratti di appalto) “i contratti collettivi del settore edile, nazionale e territoriali, stipulati dalle associazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale ai sensi dell’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81”.
Cioè all’interno del contratto di appalto deve essere indicato quale contratto applica l’impresa nei confronti dei suoi operai. Inoltre tale contratto deve essere riportato anche in tutte le fatture.
In realtà l’indicazione del contratto applicato non è sempre obbligatoria. Devono verificarsi entrambe le seguenti eventualità:
Il committente (cioè tu) vuole usufruire delle detrazioni fiscali
L’importo dei lavori supera i 70.000€
In tutti gli altri casi questa indicazione non è obbligatoria (comunque è molto consigliata).
Ti riporto un estratto di come potrebbe essere scritto questo articolo:
L’Appaltatore dichiara di avere le seguenti posizioni previdenziali e assicurative:
INPS . . . . . . . . . . . . . . . . . .
INAIL . . . . . . . . . . . . . . . . . .
CASSA EDILE . . . . . . . . . . . . . . . . . .
di applicare integralmente il Contratto collettivo nazionale e territoriale dell’edilizia;
(facoltativo) di impegnarsi a consegnare successivamente all’ultimazione dei lavori polizza assicurativa decennale a garanzia di . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Ti ho riportato un estratto con qualche informazione in più…
Corrispettivo e modalità di pagamento
Veniamo ad un passaggio fondamentale del contratto di appalto. Che non è tanto quanto pagherai i lavori, ma come li pagherai.
Il corrispettivo è la somma che esce dall’offerta dell’impresa, basata sul computo metrico redatto dal tuo tecnico, ed è semplice da inserire nel contratto. Ricordati solo che è sempre oltre iva.
Invece le modalità di pagamento sono più articolate, ma niente di così difficile.
Chiaramente l’impresa non ti anticiperà tutto il lavoro senza vedere una lira (al netto degli sconti totali paventati dal superbonus, che ormai sembrano essere una chimera), ma chiederà un acconto prima di iniziare i lavori, necessario per pagare parte dei materiali necessari.
Poi, al raggiungimento di determinate quantità di lavoro eseguite, dovrai versare altri acconti (chiamati S.A.L., cioè stati di avanzamento lavori).
Infine c’è il saldo, da corrispondere dopo la conclusione (e accettazione) dei lavori, pari all’importo complessivo dei lavori eseguiti detratti da tutti gli acconti pagati.
L’importo del primo acconto, concordato tra committente e impresa, di solito non supera mai il 30% dei lavori (più è alto l’importo dei lavori minore è l’acconto). Come riferimento nel settore pubblico gli acconti vanno dal 10% al 20% dell’importo dei lavori (post covid aumentati al 30%). In una ristrutturazione completa di un appartamento medio si può stare intorno al 20%.
Il numero e gli importi degli acconti successivi possono variare. Da quando c’è il superbonus è diventata una prassi dare acconti al raggiungimento del 30% e del 60% dei lavori. In realtà possono anche essere di più (o di meno) a seconda dell’importo totale dei lavori. Sconsiglio di esagerare col numero degli acconti altrimenti ci si potrebbe ritrovare a fare pagamenti di continuo.
C’è un punto importante da chiarire: come si recupera il primo acconto.
Infatti questa prima somma che verserai viene data senza che l’impresa abbia eseguito nessun lavoro, mentre le altre (saldo compreso) le verserai quando i lavori sono stati eseguiti (in parte o totalmente). Quindi si presenta il problema di quando e come recuperare l’acconto.
Il modo più semplice è detrarlo da uno dei S.A.L. o dal saldo. Ma il modo corretto è detrarlo come quota parte da ogni acconto e dal saldo.
In sostanza si detrae una percentuale pari alla percentuale dell’acconto versato da ogni rata successiva.
Complicato? Vediamo un esempio:
Lavori per importo di 100.000€
acconto pari al 20%, cioè 20.000€
Tre stati di avanzamento lavori al 25% (25.000€), 50% (20.000€), 75% (25.000€)
Saldo alla conclusione dei lavori pari al restante 25% dei lavori (25.000€)
Se pagassi in questo modo avresti dato: acconto 20.000€ + S.A.L. 25.000€*3 + saldo 25.000€ = 120.000€.
Vediamo come scontarli correttamente:
Acconto 20% = 20.000€
S.A.L. n.1 al 25% = 25.000€ – (20%*25.000€) = 20.000€
S.A.L. n.2 al 50% = 25.000€ – (20%*25.000€) = 20.000€
S.A.L. n.3 al 75% = 25.000€ – (20%*25.000€) = 20.000€
Il pagamento del corrispettivo avverrà nelle seguenti modalità:
Acconto pari a euro ……………….. oltre IVA pari al ………% dell’importo complessivo dell’appalto, da corrispondere all’inizio dei lavori contestualmente alla sottoscrizione del “verbale di inizio lavori”, previa presentazione di fattura;
N° ….. Stati di Avanzamento Lavori successivi pari a euro ………………. oltre IVA da pagarsi ogni qual volta si realizzano lavori per importi di € ……………………. (…………………………………../00), trattenendo …………………….. dell’acconto, in seguito ad emissione di certificato di pagamento ogni volta che i lavori eseguiti e contabilizzati raggiungano l’importo di cui sopra;
Rata finale (importo presunto pari a euro ……………………………………. oltre IVA) a saldo di tutti i lavori derivanti dalla contabilità finale redatta dalla D.L.
Durata dei lavori
Veniamo all’ultimo articolo che ritengo fondamentale: cioè la durata dei lavori.
In realtà questo articolo non è importante tanto per quanto dureranno i lavori, che viene stabilito come sempre tra le parti, quanto per le penali per eventuali ritardi (e su come e quando vanno calcolate).
Facciamo prima a vedere come può essere scritto questo articolo:
I lavori avranno inizio il . . . . . . . . . . . . . . . . . . e dureranno. . . . . . . . . . . . . . . . . . . giorni naturali e consecutivi
La consegna del cantiere, l’inizio e l’ultimazione dei lavori saranno documentati con specifici verbali controfirmati dall’Appaltatore e dal Committente (o Direttore dei Lavori).
Per ogni giorno di ritardo sul termine di ultimazione dei lavori di cui al primo comma, l’Appaltatore, sempreché il ritardo sia a lui imputabile, è tenuto a corrispondere una penale giornaliera del ….‰pari a € . . . . . . . . . . . . . . . . . . (euro . . . . . . . . . . . . . . . . . .)
Resta ferma la facoltà per il Committente, nel caso di ritardi superiori a . . . . . . . . . . . . . . . . . . , imputabili all’Appaltatore, di richiedere la risoluzione del contratto a mezzo lettera raccomandata A.R e il risarcimento dei danni effettivamente subiti a causa dell’inadempimento.
Se il termine di cui al primo comma non viene rispettato per fatto riconducibile al Committente, l’Appaltatore ha diritto ad un termine suppletivo pari al ritardo, ovvero pari al diverso termine concordato tra le parti. In tal caso sarà ridefinito un nuovo termine sia per la ripresa dei lavori che per l’ultimazione.
Qualsiasi variazione aggiuntiva ai lavori del presente contratto comporterà sempre la concessione di un termine suppletivo per l’ultimazione dei lavori stessi, da convenirsi tra le parti o proporzionalmente all’entità dei lavori aggiunti e al termine inizialmente stabilito per l’esecuzione dei lavori commissionati.
In realtà l’articolo è molto chiaro e come vedi tutela sia te che l’appaltatore (come è giusto che sia).
Alcuni punti che è magari è utile approfondire:
i giorni si indicano “naturali e consecutivi” e non “lavorativi”. Significa che si comprendono anche le domeniche e i giorni festivi nel calcolo
la penale solitamente è pari al 3‰ per ogni giorno di ritardo
all’aumentare dell’importo dei lavori (per varianti o problematiche varie) bisogna dare termini supplettivi all’impresa
Esiste un modo “scientifico” per calcolare il numero di giorni necessari per eseguire un cantiere, dato dall’incidenza della manodopera e dal numero di operai previsti. Si usa per appalti pubblici o per lavori privati di dimensioni importanti (raramente per le ristrutturazioni). Se vuoi essere pignolo puoi chiedere che venga calcolato in questo modo ma in una ristrutturazione spesso è inutile.
Un’altra cosa che ti sconsiglio di fare è essere pignolo sulla data di consegna dei lavori: se l’impresa tarda di qualche giorno è inutile far scattare le penali, ci vuole un po’ di elasticità. (Chiaramente a meno che i termini non siano perentori per tue problematiche e l’impresa ne sia stata informata preventivamente).
UN CONTRATTO DI APPALTO COMPLETO
Quelli che abbiamo visto qui sono alcuni degli articoli che devono essere presenti in un contratto di appalto dei lavori di ristrutturazione completo.
Sono sicuramente i più importanti e non devono mai mancare. Però, come ti dicevo, i contratti che preparo normalmente per i miei clienti sono molto più articolati, composti da 22 articoli di visi in 7 capitoli. Più gli allegati.
Oltre agli articoli che abbiamo visto ci sono articoli relativi a come devono essere svolti i lavori, a come approvare e calcolare eventuali varianti, a come verificare i lavori, agli obblighi sia del committente che dell’appaltatore, al subappalto, etc.
Ogni impresa e ogni tecnico ha i suoi contratti di appalto-tipo. Però, siccome chi ci mette i soldi sei tu, è essenziale che tu sappia individuare se sono presenti tutte le tutele necessarie.
Nel manuale “Ristruttura la tua casa in 7 passi” ho dedicato un capitolo dettagliato al contratto di appalto e tra i bonus è presente un fac-simile di contratto, in formato editabile, che utilizzo normalmente per i miei lavori.
Scrivere un contratto corretto è solo un passaggio della ristrutturazione, anche se è uno dei più importanti. In fondo è il documento che sancisce come spenderai i tuoi soldi. Se ti interessa capire come tutelarti fino in fondo trovi più informazioni sul manuale “Ristruttura la tua casa in 7 passi” a questo link.
La burocrazia è qualcosa che ti accompagnerà durante tutta la tua ristrutturazione, e di certo non ti molla una volta che i lavori sono finiti. Infatti è sempre necessario affrontare degli adempimenti burocratici alla fine dei lavori…che forse sono anche più importanti di quelli che hai fatto all’inizio.
In questo articolo ti voglio svelare tutto quello che devi fare una volta conclusa la ristrutturazione, per essere sicuro di “avere tutte le carte a posto” e di sfruttare le detrazioni fiscali senza preoccupazioni.
Abbiamo parlato in modo esaustivo di quale sia la pratica edilizia per ristrutturare, di come deve essere fatta e di tutti gli allegati che deve contenere nella Guida alle pratiche edilizie per ristrutturare. Ma un altro momento fondamentale di una ristrutturazione è senza dubbio la chiusura dei lavori. Infatti la pratica edilizia che hai aperto deve essere conclusa.
Ma non basta chiudere la pratica edilizia, ci sono altri adempimenti che devi fare, e devi farli nel momento giusto. In sostanza non puoi fare e cose a casaccio. E oltre a tutto ciò, se vuoi sfruttare le detrazioni fiscali, probabilmente dovrai anche fare degli adempimenti specifici e conservare determinati documenti.
Nei prossimi paragrafi vedremo tutti gli aspetti burocratici che devi affrontare alla fine della ristrutturazione. Quindi l’articolo sarà diviso in due parti:
Prima parte: le pratiche per la corretta chiusura dei lavori
Seconda parte: le comunicazioni e i documenti per le detrazioni fiscali
Questo, insieme all’articolo che ti ho linkato poco fa, costituisce una guida completa alle pratiche edilizie per ristrutturare casa, che ti faranno diventare più esperto del tuo tecnico! (Si chiaro che scherzo…sennò i tecnici che mi leggono, e già mi odiano abbastanza, si inca***no ancora di più)
LE PRATICHE PER LA CORRETTA CHIUSURA DI UNA RISTRUTTURAZIONE
I principali adempimenti che tu e i tuoi tecnici dovrete fare alla chiusura dei lavori sono questi:
Variazione catastale
Attestato di prestazione energetica
Dichiarazione di fine lavori
Segnalazione certificata di agibilità
Però capiamoci: questi sono gli adempimenti più comuni, ma non è sempre necessario farli tutti. Questi che abbiamo appena elencato riguardano una ristrutturazione che è stata realizzata presentando una CILA, prevede lo spostamento (demolizione e/o costruzione) di pareti interne, il rifacimento di impianti e in particolare intervenire sull’impianto di riscaldamento e/o sugli infissi e/o sull’isolamento.
Se la tua ristrutturazione presenta tutte queste caratteristiche gli adempimenti sono quelli dell’elenco qui sopra. In caso contrario potresti evitartene qualcuno.
L’ordine in cui li ho scritti rispecchia anche l’ordine in cui dovrebbero essere fatti, più che altro per una sequenza logica delle cose che per reali obblighi di farli in questa sequenza. Vediamoli rapidamente.
Variazione catastale
La variazione catastale non è altro che la modifica della planimetria catastale per farla corrispondere alla nuova divisione interna degli ambienti.
Quindi se non sposti muri non è necessario farla. (NB: anche se decidi di spostare la posizione delle porte interne non è necessario fare la variazione catastale…).
Insieme alla variazione della planimetria verrà fatta la variazione della visura catastale, per riportare i nuovi dati: in sostanza il nuovo numero di vani e la nuova rendita catastale (che potrebbero anche essere identiche alle precedenti).
Anzi in realtà la modifica della planimetria catastale ha proprio lo scopo di calcolare la nuova rendita perché, è utile ricordarlo, la planimetria catastale di per sé non ha nessun valore: se fai lavori senza pratica edilizia e correggi la planimetria catastale i tuoi lavori sono comunque abusivi.
Chiuso questo inciso, solitamente si occupa di questa variazione un geometra ed ha un costo burocratico di 50,00€ (oltre ai costi del geometra, che naturalmente sono maggiori).
Presentazione APE
APE è l’acronimo di Attestato di Prestazione Energetica, e va predisposto solo se cambiano le prestazioni energetiche dell’immobile.
Quindi se viene modificato l’impianto di riscaldamento (sostituendo la sola caldaia oppure tutto l’impianto), oppure se vengono sostituiti gli infissi, oppure se si decide di isolare le pareti e/o i solai…si deve fare una (nuova) APE.
Se non prevedi questi interventi non è un adempimento necessario.
Attenzione ad una cosa però: tutti gli edifici devono avere l’APE, quindi se il tuo prima non ce l’aveva devi farlo, anche perché è un documento indispensabile per la nuova agibilità di cui parleremo a breve.
L’APE viene predisposto da un tecnico (che dovrebbe essere estraneo alla progettazione perché ne certifica i risultati dal punto di vista energetico), e come sai riporta la classe energetica del tuo immobile. Inoltre per essere valido deve essere caricato su un portale regionale.
Comunicazione di Fine Lavori (CFL)
Questo è sicuramente il documento principale per chiudere la pratica edilizia. Si tratta di una dichiarazione da rendere su un modello nazionale unificato, che deve presentare il titolare della pratica edilizia (cioè tu).
A questa comunicazione devono essere allegati dei documenti, alcuni obbligatori a livello nazionale ed altri normati a livello regionale.
Il documento principale che devi allegare, e richiesto in tutta Italia, è una planimetria della casa per come è stata effettivamente ristrutturata.
Se non hai fatto variazioni in corso d’opera rispetto a quella riportata nella pratica edilizia è esattamente la stessa, se invece hai cambiato qualcosa durante i lavori, questo è il momento per renderlo visibile.
Lasciami fare un inciso: nella guida alle pratiche edilizie per ristrutturare, abbiamo detto che la CILA è la pratica con cui quasi sicuramente ristrutturerai casa. Questo procedimento ha una particolarità: non prevede le varianti in corso d’opera.
Solitamente quando si costruisce un edificio, e si decide di fare delle modifiche in corso d’opera, è necessario presentare una pratica di variante durante l’esecuzione dei lavori.
Nel caso di lavori eseguiti con una CILA, trattandosi di opere minori, questa variante non è prevista ma si comunica a fine lavori le varianti che vi sono state (alcuni Comuni consentono di fare delle integrazioni, ma non è un procedimento previsto dalla normativa).
Detto ciò, non sono richiesti altri documenti per chiudere i lavori. Almeno a livello nazionale.
Come abbiamo detto infatti ci possono essere delle prescrizioni regionali (e ci sono spesso). Quello che ho visto essere richiesta più spesso sono tutti i documenti di discarica, prodotti in fase di demolizione: si tratta delle bolle di trasporto e conferimento a discarica oltre che delle prove sui materiali demoliti (si tratta di prove volte a verificare se vi sono materiali inquinanti o pericolosi).
Così con la variazione catastale fatta, l’APE presentata e la Comunicazione di Fine Lavori protocollata la ristrutturazione è finita. Ma la burocrazia non ancora…
L’agibilità
L’ultima incombenza per considerare realmente conclusa una ristrutturazione, almeno per quanto riguarda i rapporti con l’amministrazione comunale, è la presentazione della nuova agibilità.
Chiariamo un aspetto: l’agibilità non deve essere presentata ogni volta che si fa una ristrutturazione, dipende da quali lavori si fanno.
Per capirlo vediamo la definizione di agibilità che ci da il Testo Unico dell’Edilizia (d.pr. 380/2001, art. 24):
1. La sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati e, ove previsto, di rispetto degli obblighi di infrastrutturazione digitale, valutate secondo quanto dispone la normativa vigente, nonché la conformità dell’opera al progetto presentato e la sua agibilità sono attestati mediante segnalazione certificata.
Quindi l’agibilità certifica le condizioni di sicurezza, igiene, salubrità e risparmio energetico.
Le condizioni di sicurezza riguardano le strutture e gli impianti.
Le condizioni di igiene e salubrità riguardano le caratteristiche igienico-sanitarie dei locali (quindi anche le dimensioni, l’illuminazione, l’aerazione, etc. – a tal proposito leggi l’articolo che ho scritto in merito).
Il risparmio energetico riguarda gli impianti e l’involucro.
Questo vuol dire che ogni volta che una ristrutturazione va ad incidere in modo significativo su questi parametri bisogna aggiornare l’agibilità della casa.
Pertanto, rimanendo negli interventi più frequenti durante una ristrutturazione, se: modifichi la distribuzione interna (cioè abbatti e/o costruisci pareti), se rifai gli impianti (in particolare quello di riscaldamento), se sostituisci gli infissi o fai l’isolamento della casa, se fai opere strutturali…devi presentare una nuova agibilità.
Da qualche anno l’agibilità non è più un certificato che rilascia il Comune in seguito ad una richiesta, ma una Segnalazione che fa il proprietario della casa (abbreviata in SCA). Ti ho spiegato in modo approfondito come funziona l’agibilità in questo articolo.
Quello che vorrei richiamare qui sono solo alcuni aspetti:
L’agibilità la presenti a nome tuo, su una modulistica nazionale, e deve essere asseverata da un tecnico abilitato;
Ci sono alcuni allegati obbligatori ad un’agibilità;
Nel caso in cui l’agibilità sia presentata dopo un intervento edilizio (come una ristrutturazione), può valere anche da fine lavori al posto della dichiarazione di cui abbiamo parlato nel paragrafo precedente.
Vediamo quali sono gli allegati minimi dell’agibilità:
Documenti di identità del proprietario e del tecnico
Ricevuta del versamento dei diritti di segreteria
Pianta della casa
Dichiarazioni di conformità di tutti gli impianti
Dichiarazione di rispondenza per gli impianti realizzati quando la dichiarazione di conformità non era obbligatoria
Certificato di collaudo in caso di interventi strutturali o in caso di prima agibilità su edificio
Attestato di Prestazione Energetica
Planimetria e visura catastale (non sempre richiesti)
E naturalmente, se l’agibilità vale anche come fine lavori, tutta la documentazione richiesta per la fine lavori.
E con questo hai veramente chiuso tutto con il Comune. Però abbiamo detto che, se vuoi sfruttare le detrazioni fiscali, ci sono altri adempimenti da fare.
LE COMUNICAZIONI E I DOCUMENTI PER LE DETRAZIONI FISCALI
Le detrazioni fiscali sono diventate una questione molto complessa negli ultimi anni, soprattutto per quanto riguarda la quantità e correttezza dei documenti che devono essere presentati e conservati.
E le opzioni di sconto in fattura e cessione del credito hanno incasinato ancora di più le cose.
In realtà il vero casino è per i tuoi tecnici, che hanno le maggiori responsabilità in merito alla correttezza del tutto. Tu devi “solo” fare attenzione che tutte le carte siano a posto.
In questo paragrafo proviamo a fare un po’ di chiarezza sulla documentazione che va presentata e su quella che devi conservare alla fine dei lavori. Non ho la pretesa di essere esaustivo né nello spiegare le detrazioni fiscali né nell’elencarti tutta la documentazione necessaria: per farlo ci vorrebbe un trattato e ne ho scritto in modo abbastanza approfondito nella Guida alle Detrazioni Fiscali che trovi in regalo insieme al manuale “Ristruttura la tua casa in 7 passi”.
Partiamo dal chiarire che ci sono due tipi di documenti che fanno parte delle detrazioni fiscali:
Quelli che devono essere protocollati
Quelli che devi conservare
Quando parliamo di documenti da protocollare ci stiamo riferendo alla pratica che deve essere obbligatoriamente presentata all’ENEA per poter fruire delle detrazioni relativamente all’efficientamento energetico. L’ENEA infatti è l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, quindi come puoi intuire si occupa di efficienza energetica.
Invece i documenti che devi conservare sono quelli che dovrai esibire nel caso venga effettuata una verifica da parte dell’Agenzia delle Entrate, e per ogni detrazione ci sono dei documenti da conservare.
Tanto per incasinare un po’ le cose, tutti questi documenti variano a seconda della detrazione fiscale che decidi di sfruttare.
Statisticamente le detrazioni fiscali più utilizzate per le ristrutturazioni sono il Bonus casa (con l’associato Bonus Arredi) e l’Ecobonus. C’è poi il Superbonus che però, nonostante tutte le chiacchiere che ci sono in giro, è utilizzato in un numero veramente esiguo di casi e soprattutto da grossi condomini (quindi con opere condominiali “trainanti”).
Affrontiamo separatamente i documenti a seconda della detrazione interessata.
I documenti del Bonus Casa
Il Bonus Casa, o detrazione del 50%, ti consente di portare in detrazione tutti i lavori di manutenzione straordinaria che fai in casa. Si tratta senza dubbio di quello più sfruttato nell’ambito delle ristrutturazioni e se vuoi saperne di più puoi andarti a leggere questo articolo che, sebbene abbia qualche anno sulle spalle, è aggiornato in quanto la normativa è cambiata veramente poco (tranne per un aspetto di cui parleremo a breve).
Vediamo sinteticamente la documentazione da presentare e quella da conservare.
I documenti da caricare
Se tra gli interventi che porti in detrazione (o sconto in fattura o cessione del credito) con il bonus casa non fai interventi di efficientamento energetico non devi aprire nessuna pratica all’ENEA. Quindi nessun documento da protocollare.
Se invece tra gli interventi che devi realizzare ve ne sono alcuni di efficientamento energetico (e che non vuoi detrarre con l’Ecobonus mi sento di dire…), allora devi fare una comunicazione all’ENEA. Comunicazione che è obbligatoria ma che, come è stato chiarito più volte, se non viene fatta non fa perdere le detrazioni fiscali (vedi la risoluzione n. 46/E/2019 dell’Agenzia delle Entrate, e ribadito in più risposte ad interpelli).
Questa comunicazione deve essere fatta tramite un portale dedicato (ogni anno ne viene fatto uno nuovo per l’anno corrente) e può farla un tecnico abilitato.
In sostanza si tratta di compilare e caricare alcuni documenti in cui sono riportati dati inerenti i risparmi ottenuti. Il portale rilascia una sorta di ricevuta che è tra i documenti da conservare.
I documenti da conservare
Per quanto riguarda i documenti da conservare è sufficiente fare riferimento alla guida ufficiale dell’Agenzia delle Entrate e sono relativamente semplici:
La pratica edilizia completa (e corretta) con cui è stato realizzato l’intervento. Quindi devono esserci una CILA (o una SCIA) con tutti i documenti obbligatori di contorno NB: in realtà non tutte le opere che possono essere detratte richiedono la presentazione di una pratica edilizia, come ad esempio la sostituzione degli scaldaacqua. In questi casi è necessaria un’autocertificazione da parte del contribuente;
In particolare deve essere presente la Notifica Preliminare se necessaria;
La variazione catastale se necessaria;
Le ricevute di pagamento dell’IMU se dovuta;
Dichiarazione di consenso da parte del proprietario dell’immobile (nel caso in cui tu faccia i lavori da inquilino);
Copia delle bolle di consegna dei materiali (utili in caso di verifica per dimostrare che i prodotti sono stati consegnati nel tuo cantiere);
Copia di tutti i bonifici parlanti con cui sono stati pagati i lavorie delle rispettive fatture emesse da imprese e fornitori;
Copia ricevuta ENEA (in caso di interventi di efficientamento energetico).
Vi sono poi altri documenti che sono stati introdotti a partire dal 2022:
Asseverazione di congruità delle spese a firma di un tecnico abilitato (esclusi i lavori entro i 10.000€ e quelli rientranti nella categoria della manutenzione ordinaria);
Visto di conformità (documento in cui viene verificata la correttezza della documentazione) a firma di un professionista abilitato del settore economico (commercialista ad esempio, ma non solo) nei casi di sconto in fattura e cessione del credito.
Anche questi documenti sono da acquisire e conservare in caso di controlli.
I documenti dell’Ecobonus
L’ecobonus è la detrazione fiscale dedicata alle sole opere di efficientamento energetico degli edifici. Si tratta di opere che possono essere eseguite anche col Bonus Casa (di cui abbiamo appena parlato), ma qui trovano una detrazione autonoma con massimali autonomi che quindi consentono, nell’ambito di una ristrutturazione, di massimizzare le detrazioni fiscali. Ne abbiamo parlato approfonditamente nell’articolo che ti ho linkato poco fa (e ancora più approfonditamente nella guida allegata al manuale).
L’Ecobonus è un insieme di varie misure di detrazione suddivise per tipologia di opere: isolamento e sostituzione di infissi, sostituzione di impianto di riscaldamento, installazione di sistemi solari termici, installazione di sistemi oscuranti, etc.
La detrazione varia a seconda della misura tra il 50% e il 65%.
In questo caso la documentazione da presentare e quella da conservare sono un po’ più complesse.
I documenti da presentare
Nel caso di Ecobonus è sempre obbligatorio presentare una pratica all’ENEA, e deve esserne presentata una per ogni misura a cui si accede.
Questa presentazione avviene tramite l’apertura di una pratica nel portale dedicato dell’ENEA (ogni anno ne viene predisposto uno nuovo) su cui compilare dei modelli e caricare dei documenti con i dati di risparmio ottenuti (è un po’ più complesso di così ma facciamo ad intenderci). Anche in questo caso lo può fare un tecnico abilitato. E anche in questo caso viene rilasciata una ricevuta da parte dell’ENEA con un numero di protocollo, che deve essere conservata tra i documenti da esibire in caso di controllo.
I documenti da conservare
I documenti da conservare rispetto al bonus casa hanno alcune aggiunte, vediamoli:
La pratica edilizia completa (e corretta) con cui è stato realizzato l’intervento se necessaria, in caso contrario il contribuente deve produrre un’autocertificazione;
In particolare deve essere presente la Notifica Preliminare se necessaria;
La variazione catastale se necessaria;
Le ricevute di pagamento dell’IMU se dovuta;
Dichiarazione di consenso da parte del proprietario dell’immobile (nel caso in cui tu faccia i lavori da inquilino);
Copia di tutti i bonifici parlanti con cui sono stati pagati i lavorie delle rispettive fatture emesse da imprese e fornitori;
Copia delle bolle di consegna dei materiali (utili in caso di verifica per dimostrare che i prodotti sono stati consegnati nel tuo cantiere);
Copia ricevuta ENEA (in caso di interventi di efficientamento energetico);
Attestato di Prestazione Energetica (APE);
Asseverazioni (tecniche) da parte di un tecnico abilitato.
Attenzione: queste asseverazioni sono diverse da quelle sulla congruità dei prezzi (ne abbiamo fatto accenno nel paragrafo sul bonus casa e tra poco le ripeteremo). Si tratta di asseverazione sui requisiti tecnici degli interventi effettuati (per dirlo in soldoni: quanto consumi in meno) e sono anche quelle che vanno caricate sul portale ENEA.
Ogni misura dell’ecobonus prevede delle asseverazioni differenti e specifiche, non ne facciamo una panoramica qui perché sarebbe troppo lungo e comunque sono questioni di cui dovrebbe occuparsene il tuo tecnico.
Vi sono poi, anche in questo caso, i nuovi adempimenti introdotti nel 2022:
Asseverazione di congruità delle spese a firma di un tecnico abilitato (esclusi i lavori entro i 10.000€ e quelli rientranti nella categoria della manutenzione ordinaria);
Visto di conformità (documento in cui viene verificata la correttezza della documentazione) a firma di un professionista abilitato del settore economico (commercialista ad esempio, ma non solo) nei casi di sconto in fattura e cessione del credito.
I documenti del Superbonus
Abbiamo detto poco fa che il superbonus è difficilmente sfruttabile quando si sta ristrutturando la propria casa. I casi in cui puoi farlo sono sostanzialmente due:
Hai una casa singola o assimilabile e allora puoi sfruttarlo appieno;
Hai un appartamento in un condominio e riesci ad agganciare alcuni interventi “trainati” al superbonus che sta facendo il condominio.
Se non sai di cosa stiamo parlando vai a leggerti l’articolo che ho scritto sul superbonus, anche se è un po’ datato tutte le cose di base sono corrette. Lo trovi qui.
Tornando a noi i documenti che fanno parte del superbonus non sono molto differenti da quelli che abbiamo visto in precedenza.
I documenti da presentare
Se realizzi il superbonus per efficientare energeticamente il tuo immobile dovrai presentare una pratica all’ENEA. Anche in questo caso esiste un sito apposito in cui il tuo tecnico dovrà caricare dei documenti e dovrà compilare dei modelli.
A differenza delle altre detrazioni la comunicazione all’ENEA non si fa a solo a fine intervento ma può essere fatta anche precedentemente, cioè al pagamento dei SAL del 30% e del 60% dei lavori.
In questo caso al SAL successivo (o alla fine lavori) viene aggiornata la pratica già aperta.
Il modello che il tuo tecnico compilerà direttamente sul portale è quello di asseverazione tecnica e di congruità dei costi.
I documenti che caricherà sono:
Computo metrico estimativo
APE pre-intervento
APE post-intervento
In più dovrà indicare la polizza assicurativa a copertura di eventuali errori.
Come per le altre detrazioni l’ENEA fornirà un codice da comunicare al commercialista per il visto di conformità
I documenti da conservare
Per quanto riguarda i documenti da conservare devi considerare che il superbonus è essenzialmente l’estensione del bonus casa (per quanto riguarda la parte super-sismabonus – nb: se questa affermazione ti sembra strana leggi l’articolo sulle detrazioni fiscali e capirai…) e dell’ecobonus. Quindi i documenti sono sostanzialmente gli stessi:
La pratica edilizia completa (e corretta) con cui è stato realizzato l’intervento se necessaria, in caso contrario il contribuente deve produrre un’autocertificazione;
In particolare deve essere presente la Notifica Preliminare se necessaria;
La variazione catastale se necessaria;
Le ricevute di pagamento dell’IMU se dovuta;
Dichiarazione di consenso da parte del proprietario dell’immobile (nel caso in cui tu faccia i lavori da inquilino);
Copia di tutti i bonifici parlanti con cui sono stati pagati i lavorie delle rispettive fatture emesse da imprese e fornitori (se non hai usufruito dello sconto totale in fattura naturalmente);
Copia delle bolle di consegna dei materiali (utili in caso di verifica per dimostrare che i prodotti sono stati consegnati nel tuo cantiere);
Copia ricevuta ENEA (in caso di interventi di efficientamento energetico);
Attestato di Prestazione Energetica (APE);
Asseverazioni (tecniche) da parte di un tecnico abilitato.
Asseverazione di congruità delle spese a firma di un tecnico abilitato (che coincide con l’asseverazione inoltrata nel portale ENEA);
Asseverazioni di congruità delle spese e tecniche specifiche per il supersismabonus (nel caso tu lo abbia sfruttato)
Visto di conformità a firma di un professionista abilitato del settore economico (commercialista ad esempio, ma non solo).
E con questo abbiamo finito.
CHIUDERE CORRETTAMENTE LA PRATICA EDILIZIA E’ SOLO UN PASSAGGIO DEL PROCESSO DI RISTRUTTURAZIONE
In questo articolo abbiamo affrontato un aspetto fondamentale e a cui purtroppo spesso ancora non viene data la necessaria importanza, anche da parte dei tecnici.
Proprio mentre scrivo queste righe mi è arrivata una richiesta di aiuto via email da parte di una persona che, in un immobile appena acquistato, ha trovato che è stata aperta una CILA e non è stata presentata la fine lavori.
Cosa significa questa cosa? Banalmente dal punto di vista formale la casa di questa persona è ancora un cantiere, perché la CILA è un procedimento edilizio senza scadenza (non ascoltare chi dice che dura 3 anni come gli altri procedimenti edilizi).
Più grave sarebbe se chi ha aperto la CILA ha sfruttato anche le detrazioni fiscali: in caso di controlli un procedimento edilizio non completo potrebbe essere causa di contestazione da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Non ti voglio spaventare, le cose sono molto più semplici di quelle che possono apparire. Ma tu come committente non puoi pretendere di avere sotto controllo tutti gli aspetti della tua ristrutturazione: dovresti diventare progettista, imprenditore, muratore, idraulico, elettricista, etc.
Ti pare possibile?
Quello che devi fare è pianificare e gestire la tua ristrutturazione seguendo un percorso chiaro e corretto. E nel farlo devi saper delegare ai giusti professionisti le cose di cui non hai competenza e di cui è inutile che tu acquisisca competenza. A meno che non vuoi sorbirti almeno 7 anni di università per diventare Architetto (è il tempo medio in cui ci si laurea in questa facoltà) oppure andare per qualche anno in cantiere a fare l’apprendista muratore, idraulico, elettricista, pittore, cartongessista, etc., e ancora imparare a gestire le squadre di lavoro, le forniture dei materiali e gli innumerevoli problemi di un cantiere come fa un imprenditore edile.
Per aiutarti a pianificare e gestire correttamente la tua ristrutturazione, e a individuare ed affidarti ai giusti professionisti del settore, ho scritto un manuale completo che ti accompagnerà passo dopo passo. Il manuale ti spiegherà qual è l’unico modo corretto per ristrutturare, ed è affiancato da oltre dieci bonus che affrontano tutti i temi più importanti con cui ti dovrai confrontare durante il processo: dalle detrazioni fiscali, all’iva agevolata, dai contratti di appalto e di servizi, alla stima dei lavori e ai quadri economici.
Il manuale ha già aiutato centinaia di persone nella loro ristrutturazione e ha ricevuto solo recensioni positive (a parte una). Se vuoi saperne di più puoi approfondire qui: Ristruttura la tua casa in 7 passi.
Una delle domande più frequenti quando si ristruttura casa è: “ma se trasformo il mio impianto di riscaldamento in elettrico/se installo il piano ad induzione/se metto una colonnina di ricarica devo aumentare la potenza del contatore?”
Esistono una risposta semplice e una corretta a questa domanda. In questo articolo le daremo entrambe.
“Se metto il riscaldamento con pompa di calore devo aumentare la potenza del contatore?”
“Se installo un piano ad induzione rischio che salta la corrente?”
“E se tengo accesi i condizionatori, il forno, il ferro da stiro, …… tutti insieme mando l’impianto in corto circuito?”
“Ma con la colonnina di ricarica elettrica devo stare attento a quali apparecchi tengo accesi quando metto in ricarica la macchina?”
Senza dubbio negli ultimi anni c’è stata una grossa spinta verso la completa elettrificazione delle case, e quindi le domande qui sopra sono normali e lecite.
Capire se, in seguito ad una ristrutturazione, è necessario modificare anche la potenza del contatore non è particolarmente difficile, ma ogni casa ha una risposta diversa perché in ogni casa viene installato un mix di impianti/apparecchi elettrici, e a gas diversi (oltre ad avere le case stesse dimensioni diverse, cosa che incide non poco).
Se vuoi la risposta semplice alla domanda “devo aumentare il mio contratto di fornitura dell’energia elettrica” eccola: sì, fallo, tanto non sbagli.
Ma la vera questione è di quanto devi aumentarlo. E qui c’è la risposta corretta. Che sarà il tema di questo articolo.
Fino a pochi anni fa la fornitura standard di energia elettrica era di 3kw anche per immobili abbastanza grande. Senza dubbio questa fornitura va ancora bene per molti casi, ma è altrettanto vero che sempre più spesso è necessario passare a 4,5kw, 6kw se non di più proprio perché il numero di apparecchi elettrici è in costante aumento. In una ristrutturazione che ho seguito qualche anno fa siamo dovuti passare a 10kw. In quel caso si trattava di un appartamento molto grande…ma non si tratta di un caso così raro.
La prima cosa a cui si pensa quando si parla di aumentare la taglia della fornitura elettrica è bollette più care. In realtà non è così: la potenza del contatore deve coprire i picchi di energia che presumibilmente verranno richiesti, ma il consumo medio può comunque mantenersi contenuto. Inoltre bisogna tenere in considerazione che passando a soluzioni elettriche ci saranno meno (se non nulle) richieste di gas, con un sostanziale azzeramento di quella bolletta.
Pertanto l’aumento (o diminuzione) delle bollette va visto sempre in ottica globale, non solo della singola bolletta. Parleremo di come ottimizzare questi aspetti nell’ultima parte dell’articolo.
Per capire se e quanto aumentare la potenza di fornitura elettrica dobbiamo chiarire alcuni concetti.
POTENZA INSTALLATA, POTENZA DI PICCO E POTENZA MEDIA
In casa devi distinguere tra la potenza reale installata, l’energia che presumibilmente costituirà il picco di richiesta e l’energia che mediamente verrà richiesta.
Qui ne parliamo in modo molto maccheronico per capire i concetti, quindi se sei un elettricista, un progettista di impianti elettrici o qualcos’altro con conoscenze tecniche nel settore tappati le orecchie e turati il naso.
La potenza installata è la somma delle singole potenze di tutti gli apparecchi (elettrici in questo caso) che ci sono in casa (o che potrebbero esserci).
Si va dai grandi elettrodomestici (frigoriferi, lavastoviglie, lavatrici, forno, etc.), agli apparecchi per il riscaldamento (pompe di calore, caldaie, ventilconvettori, condizionatori, etc.) ai piccoli elettrodomestici (phon, microonde, televisione, impianto stereo, computer, etc.), agli apparecchi di uso quotidiano (cellulari, tablet, sveglie, etc.), ad eventuali impianti di sicurezza (antifurto, videosorveglianza), senza scordarsi dell’illuminazione.
Conoscere questa potenza è fondamentale per progettare e sezionare correttamente un impianto elettrico (ne abbiamo parlato in questo articolo). Lì troverai alcune informazioni che ti daranno una prima idea sulla necessità o meno di aumentare la potenza del tuo contatore. Però il fatto èche basarsi su questo dato è fuorviante.
Abbiamo poi la potenza media utilizzata: cioè di questi apparecchi quali in un utilizzo standard verosimilmente funzioneranno in contemporanea?
Il calcolo della potenza media è utile per comprendere quali saranno i consumi sulla base di cui pagherai le bollette. E il suo calcolo dovrebbe essere fatto a livello stagionale. Infatti, al netto degli apparecchi che rimangono accesi continuativamente (ad esempio frigorifero e sistema produzione acqua calda), gran parte dell’energia consumata in una casa è dovuta a due consumi variabili legati alla stagionalità: riscaldamento/raffrescamento e illuminazione.
In estate ad esempio utilizzeremo i condizionatori/ventilconvettori per raffrescarci ed avremo meno bisogno di accendere le luci perché le giornate sono lunghe.
In inverno invece utilizzeremo i condizionatori/ventilconvettori/termosifoni/etc. per riscaldarci e terremo le luci accese per molte ore.
Durante le mezze stagioni probabilmente non consumeremo nulla di riscaldamento/raffrescamento e terremo le luci mediamente accese.
Conoscere mediamente quale sarà la potenza consumata in ogni stagione ti consente di tenere un corretto bilancio familiare, ma utilizzare questo dato per decidere la taglia del tuo contratto di fornitura dell’energia elettrica è sbagliato.
La potenza media impiegata inoltre è utile per fare un corretto dimensionamento degli impianti fotovoltaici. Infatti è inutile farlo sul massimo della potenza installata (quando mai tutti gli apparecchi verranno utilizzati in contemporanea?) e nemmeno sulla potenza di picco stimata (ne parliamo qui sotto). L’impianto fotovoltaico deve essere in grado di sopperire a una parte significativa dei consumi elettrici, non di farti staccare completamente dalla rete elettrica (sì, puoi anche perseguire questo scopo…ma devi fare una valutazione costi/benefici che non è oggetto di questo articolo).
La potenza di picco è quella da utilizzare per determinare la taglia del contratto di fornitura. Che poi parliamo di una potenza di picco stimata.
Questa è infatti la potenza massima che presumibilmente potrebbe essere richiesta in condizioni particolari che sappiamo si verificheranno durante l’anno (anche se non sappiamo con precisione quando).
Ad esempio in periodi di freddo intenso sarà necessario accendere alla massima potenza tutti i condizionatori/ventilconvettori/termosifoni/etc., inoltre potresti mettere in funzione contemporaneamente i grandi elettrodomestici e qualche piccolo elettrodomestico (lavastoviglie, forno, lavatrice e un phon) a cui aggiungere gli apparecchi sempre accesi e qualche altro (televisione, caricabatterie, etc.).
Si tratta di casi rari, che possono durare poco tempo (anche poche ore) ma che devono essere considerati tra i vari scenari possibili: la taglia del contratto elettrico va basata su questi possibili picchi di richiesta (che bada bene sono inferiori alla potenza complessiva installata in casa). Lo scopo è non ritrovarti senza energia all’improvviso perché è saltato il contatore.
CALCOLARE LA POTENZA DI PICCO
Calcolare la potenza necessaria in casa non è molto difficile: hai bisogno solo di alcuni dati e di capire alcuni concetti.
Prima cosa: finora stiamo parlando di potenza, ma cos’è?
La potenza è la quantità di energia (in fisica chiamato lavoro) che viene fornita in un dato momento (unità di tempo).
L’energia può essere di varia natura: meccanica (pensa alla potenza di un’automobile), termica (pensa alla potenza di riscaldamento di una caldaia a gas), elettrica (pensa a quanta energia è in grado di fornire una lampadina). L’unità di misura per tutte le potenze è il Watt.
Quindi, tornando alla potenza elettrica, ogni apparecchio elettrico ha una potenza massima espressa in Watt (W). Questo dato lo trovi nelle targhette che ogni apparecchio elettrico deve avere.
La potenza massima richiesta in una casa è la somma di tutte le potenze di tutti quanti gli apparecchi presenti se venissero accesi in contemporanea. In una casa moderna potremmo trovare:
Questi chiaramente sono solo i principali, ma ce ne possono essere molti altri.
Calcolare la potenza installata significa prendere per ogni apparecchio la potenza massima assorbita (indicata nelle targhette in watt) e sommarle. Un’operazione semplice in fondo. Come abbiamo già accennato da questa somma vengono dei valori molto alti. In un appartamento medio puoi arrivare tranquillamente a 10 kW di potenza installata (diecimila Watt).
Ma come abbiamo detto non è questa la potenza su cui dimensionare il contratto di fornitura di energia elettrica. Devi prendere la potenza di picco ipotizzata.
Si tratta di un conto che di solito fa un progettista di impianti (alle volte anche gli installatori), figura che dovrebbe essere presente quando si pensa di rifare gli impianti e passare tutto all’elettrico. Ad ogni modo due conti della serva li puoi fare anche tu per capire se devi aumentare la taglia del contatore: simula degli scenari realistici e somma la potenza elettrica richiesta da parte di ognuno degli apparecchi installati.
COME SCEGLIERE LE OFFERTE LUCE (E GAS) DOPO UNA RISTRUTTURAZIONE
A questo punto, determinata la potenza che ti serve, puoi valutare se è necessario aumentare la fornitura e contemporaneamente se mantenere o cambiare il fornitore di energia.
Come sai ultimamente il costo dell’energia è salito notevolmente, ci sono stati aumenti delle bollette di oltre il 50%. E questo vale sia per l’energia elettrica che per il gas.
La realtà è che il costo dell’energia è aumentato di molto più del 50%. Infatti la cosiddetta componente energia è solo una quota parte dell’importo di una bolletta.
Spesa per il trasporto e la gestione del contatore (20,18%)
Spesa per oneri di sistema (18,96%)
Imposte (13,21%)
Quindi la componente energia incide per meno della metà sull’importo della bolletta. Pertanto ad un ipotetico raddoppio del costo dell’energia non corrisponde un raddoppio della bolletta ma un aumento di circa il 50% (che comunque è una somma importante).
Ho voluto verificare questi dati, così ho preso la bolletta di casa mia e me la sono guardata per confrontarla con questi dati. Eccola (nb: vivo in un mini appartamento, mi riscaldo con un sistema elettrico e sono spesso fuori per lavoro):
Su una bolletta di 46,71€ abbiamo:
Spesa per la materia energia = 19,98€ (47,05%)
Spesa per il trasporto e la gestione del contatore = 8,91€ (20,98%)
Spesa per oneri di Sistema (attività commerciali + dispacciamento) = 8,73€ (20,56%)
Imposte = 4,84€ (11,41%)
Direi che bene o male ci siamo con i dati di AEEGSI.
Quindi, detto che il costo dell’energia è aumentato e che probabilmente dopo una ristrutturazione bisognerà rivedere la propria fornitura di energia elettrica, è importante seguire dei criteri per scegliere il nuovo contratto o fornitore.
A tal proposito ecco alcuni consigli del sito prontobolletta che mi ha aiutato a scrivere questo articolo.
Punto 1: costi di variazione del contratto di fornitura
Se decidi di mantenere il tuo vecchio fornitore dovrai contattarlo per chiedergli l’aumento (o la diminuzione). Se invece decidi di cambiarlo dovrai comunicare contestualmente anche la potenza che desideri ti venga fornita.
Dato il contratto di 3kw come base (con i relativi costi di prima attivazione o voltura), ci saranno dei costi fissi da sostenere, che ci vengono dati da ARERA (autorità dell’energia). Fino a tutto il 2023 ci sono delle agevolazioni.
55,66€ per ogni Kw aggiuntivo per i clienti domestici fino a 6kw (da gennaio 2024 saranno 70,41€)
23,00€ per oneri di gestione
Da gennaio 2024 ci saranno anche 25,81€ di oneri amministrativi
Così puoi già farti una prima idea dei costi che affronterai. Naturalmente si tratta di costi Una-tantum.
Ma dati questi costi fissi sono altri gli elementi su cui dovrà basarsi la tua scelta tra un fornitore e l’altro.
Punto 2: costo della componente energia
La prima cosa da verificare è chiaramente il costo della componente energia. In Italia vige il libero mercato, quindi ogni fornitore può dare una propria quotazione all’energia che vende.
Ti voglio evidenziare che oltre al libero mercato esiste anche il mercato tutelato (servizio di maggior tutela), in cui il costo della componente energia è stabilito trimestralmente dall’Autorità dell’Energia (ARERA) sulla base dell’andamento dei prezzi delle materie prime.
Oltre ad avere un prezzo “calmierato”, chi aderisce al servizio maggior tutela non trova in bolletta le perdite di rete (sempre da Arera).
Però non è detto che il servizio maggior tutela sia più conveniente rispetto al libero mercato, anzi solitamente alla fine si spende di più. La cosa positiva è che è più stabile.
Purtroppo questa opzione dal 2023 non sarà più possibile, in quanto il servizio di maggior tutela verrà dismesso (è stato prorogato di un anno perché doveva cessare nel 2022).
Punto 3: offerte complete
Una volta valutato il costo della componente energia è utile fare delle considerazioni in merito a quali fonti energetiche ci servono: solo elettricità o anche gas?
Se serve una doppia fornitura sarebbe importante, ai fini del risparmio, valutare offerte tutto compreso: cioè che con un unico fornitore contemplano offerte luce e gas. Chiaramente se sei passato ad una casa totalmente elettrica non è un problema, ma se hai ancora un consumo misto potrebbe essere utile valutare un fornitore che garantisca sia la fornitura elettrica che quella del gas.
Ma le offerte tutto compreso possono riguardare non solo luce e gas. Altro aspetto da tenere in considerazione sono i servizi extra: un accesso a internet è ormai obbligatorio in tutte le case e se vai da un fornitore specializzato le tariffe possono essere alte. Ci sono molti fornitori di energia elettrica e gas che garantiscono anche l’accesso alla fibra o ad internet veloce. Cosa utile se hai realizzato un impianto domotico, che ti consente di monitorare in remoto la casa.
Punto 4: fonti sostenibili
Infine, visto che è un tema ormai molto attuale, verifica se il tuo fornitore di energia utilizza fonti sostenibili per produrre questa energia. Non ha senso investire in alternative ecologiche e optare per un fornitore che non persegua gli stessi obiettivi.
TRANSIZIONE ENERGETICA E AUMENTO DEI COSTI DELL’ENERGIA NON DEVONO SPAVENTARE
Non c’è dubbio che negli ultimi anni le richieste di energia elettrica ai fini domestici siano cresciute in modo importante.
I motivi sono vari: partendo dal numero sempre crescente di apparecchiature che abbiamo in casa, per continuare con la conversione di impianti di riscaldamento a gas (caldaia + termosifoni) in elettrici (pompa di calore + termosifoni/radiante/ventilconvettori/etc.).
Tutto ciò promosso da una campagna mediatica che racconta di un’energia elettrica “green e che fa bene alla terra”.
Su questo aspetto è necessario fare una riflessione: l’energia elettrica non è ancora una fonte energetica pulita, ma lo è potenzialmente.
Lo è sicuramente perché consuma meno risorse naturali (gas, carbone, legno, pellet, etc.) e gli apparecchi che la usano sono sempre più efficienti. Non lo è ancora perché buona parte dell’energia elettrica è ancora prodotta utilizzando risorse naturali (ci sono molti impianti in cui si brucia gas e carbone per realizzare energia elettrica).
Siamo in un periodo di transizione: cioè stiamo convertendo gli apparecchi che consumano risorse naturali in apparecchi elettrici e stiamo convertendo i sistemi di produzione dell’energia elettrica in sistemi che non prevedono l’utilizzo di risorse naturali (quindi dal gas e carbone al fotovoltaico, eolico, idroelettrico, etc.). Quindi la transizione elettrica ha una sua logica.
Questo pare essere un concetto che non capiscono (o fingono di non capire) le persone che sono contro l’elettrico. Affermano che è vero che le apparecchiature che utilizziamo inquinano poco ma che per produrre l’energia elettrica si inquina molto. Hanno ragione, per ora è così e lo sarà ancora per molto. Ma si chiama appunto transizione per qualche motivo.
Le macchine costruite durante la prima rivoluzione industriale (non mi riferisco alle automobili ma ai macchinari delle fabbriche) erano realizzate utilizzando i vecchi metodi (lavoro umano + lavoro animale). Questo fino a quando non sono state costruiti macchinari in grado di costruire altri macchinari. Col tempo avverrà la stessa cosa per la produzione di energia elettrica.
Chiusa questa riflessione, abbiamo evidenziato come ci sia un generico aumento del costo dell’energia (elettrica, metano e qualsiasi altra energia) dovuto a tante cause, tra cui anche la pandemia da cui stiamo uscendo.
Fino a poco tempo fa chi vendeva impianti di riscaldamento elettrici diceva che le bollette sarebbero diminuite. Ora forse non è altrettanto semplice fare questa affermazione, ma il dato di fatto è che in questo periodo in particolare è importante adottare uno stile di vita rispettoso dell’ambiente, razionalizzare i consumi (per diminuirli) e valutare in modo consapevole tra i vari fornitori di energia elettrica.
Chiudo questo articolo riportandoti una mia esperienza su questo ultimo aspetto: qualche mese prima dell’aumento dei costi dell’energia avvenuto a fine 2021 ho cambiato fornitore di energia elettrica perché pagavo bollette che mi sembravano esagerate per dimensioni della casa e utilizzo che ne facevo.
Con il passaggio al nuovo fornitore le mie bollette sono scese di circa il 40%.
Hai mai sentito parlare di requisiti igienico sanitari? Tra chi deve ristrutturare casa in pochi ne sanno qualcosa. Eppure sono dei parametri fondamentali che devono essere rispettati ogni volta che decidi di fare delle modifiche in casa.
Se non lo fai ti ritrovi una casa non a norma e per la quale non è possibile dichiarare l’agibilità. E il Comune potrebbe chiederti di adeguarti a questi requisiti (facendoti rifare la ristrutturazione).
COSA SONO I REQUISITI IGIENICO SANITARI?
Una volta ogni ambiente poteva essere utilizzato per abitarci: stanze piccole, basse, senza luce oppure grandi, con soffitti alti e grandi vetrate erano lo stesso. Così come ambienti umidi e sporchi o salubri e puliti. Oppure latrine infilate in un angolo delle camere vicino ai letti o case con stanze da bagno sontuose.
Le condizioni di vita delle abitazioni non erano determinate dalle leggi ma dalla condizione economica. Chi era ricco o benestante poteva permettersi di abitare in ambienti sani e salubri. Chi era povero si accontentava di un posto qualsiasi pur di avere un tetto sopra la testa.
Con la rivoluzione industriale e l’ammassarsi di milioni di persone dentro le città, la questione delle loro condizioni di vita, per lo più operai e le loro famiglie con pochissime possibilità economiche, è diventato un problema.
Infatti la mancanza di regole e il bisogno avevano portato le persone ad accettare condizioni estreme: case piccole e sporche in cui erano ammassate famiglie numerose, senza servizi igienici o con servizi messi vicino a letti e cucine.
Tutto ciò ha portato le città ad essere luoghi sporchi e focolai di epidemie. È stato necessario trovare una soluzione a questa situazione.
Da un lato la soluzione è stata adeguare le infrastrutture impiantistiche delle città alle nuove esigenze, principalmente costruendo ed adeguando acquedotti e fognature.
Dall’altro hanno cominciato ad essere promulgate le prime leggi che definissero i parametri igienico sanitari che le abitazioni dovevano rispettare.
Siamo nell’800 e in questo periodo la legislazione in tal senso era ancora agli albori, demandata principalmente ai governi locali.
Ma i parametri che prendevano in considerazione erano gli stessi normati dalle leggi attualmente in vigore.
In sostanza i requisiti igienico-sanitari sanciscono:
Le dimensioni minime degli ambienti a seconda dell’utilizzo;
Le dimensioni minime delle finestre in relazione alla superficie delle stanze e alla loro destinazione d’uso;
L’altezza minima degli ambienti;
Le dotazioni igienico-sanitarie minime (i bagni per intenderci).
Ogni volta che ristrutturando si fa una modifica alla distribuzione interna di una casa o si interviene su impianti e servizi igienici, bisogna rispettare i parametri sanciti dalla normativa sui requisiti igienico-sanitari. Che sono inderogabili.
Mi è capitato spesso di vedere progetti, anche molto belli, che però non rispettavano tali requisiti.
Il primo responsabile del rispetto di tale norme è il progettista. Però vedo in giro molti proprietari di casa che si inventano sedicenti progettisti delle proprie ristrutturazioni e con imprese che si prestano pretendono di realizzare lavori (abusivi) senza rispettare alcuna norma.
Mi ricordo che alcuni anni fa sono andato a vedere un appartamento a Napoli di cui dovevo valutare il valore. Gli inquilini (erano in affitto) senza dire nulla al proprietario avevano ristrutturato casa (abusivamente…) abbattendo e ricostruendo muri a caso.
Mi hanno mostrato orgogliosi come avevano diviso gli ambienti quando ad un certo punto aprono la porta di quello che sembrava un corridoio: “qui abbiamo ricavato la stanza per il piccolino”.
Minuscola, stretta e senza finestre. Mentre il disimpegno da cui si accedeva a questa “stanza” era enorme e con una grande finestra che si affacciava su un bel parco.
Questo è un caso estremo ma, fermo restando che il progetto della ristrutturazione deve essere fatto da un tecnico, se vuoi cimentarti a fare qualche ipotesi per la tua ristrutturazione, prima di fare un disastro dovresti almeno essere consapevole di quali sono i requisiti igienico-sanitari da rispettare.
LE NORMATIVE CHE REGOLANO I REQUISITI IGIENICO SANITARI
La normativa principale attualmente in vigore sui requisiti igienico sanitari risale al 1975 ed è il cosiddetto decreto sanità.
Questo decreto si chiama “Modificazioni alle istruzioni ministeriali 20 giugno 1896, relativamente all’altezza minima ed ai requisiti igienico-sanitari principali dei locali di abitazione”
Quindi la legge precedente in materia di requisiti igienico-sanitari risaliva alla fine dell’800. Il decreto del 1975 ha inserito requisiti più stringenti e adeguati allo sviluppo sociale e tecnologico avvenuto durante il ‘900.
Però non abolisce le istruzioni ministeriali del 20 giugno 1896, ma solo quelle che vanno in aperto contrasto con le stesse. Pertanto per avere una panoramica completa di quali siano i requisiti igienico sanitari delle case va fatta una lettura combinata dei due dispositivi di legge.
Ma leggere queste due norme non basta.
Pensavi che fosse semplice. E invece l’Italia è il paese del casino al quadrato. Infatti i requisiti igienico-sanitari sono uno degli argomenti su cui le Regioni e le amministrazioni locali possono normare.
Se vai a vederti il regolamento edilizio del tuo Comune probabilmente troverai qualche indicazione proprio in merito a questi requisiti.
Alle volte esistono dei regolamenti di igiene e sanità specifici che riportano anche i requisiti che devono rispettare le abitazioni.
Però è importante sottolineare una cosa: tutte le disposizioni locali, come linea di principio, non possono essere più permissive rispetto alle disposizioni nazionali.
Mi spiego: se la norma nazionale dice che in una casa l’altezza minima deve essere 2,7m non è che il tuo Comune può svegliarsi e dire che bastano 2,4m.
Alcune eccezioni a questa regola possono esserci per casi particolari, ma in linea di principio possiamo ritenerla valida.
I REQUISITI IGIENICO SANITARI SECONDO IL D.M. SANITÀ DEL 1975
Vediamo ora quali sono questi requisiti passando in rassegna tutti gli articoli del decreto sanità.
Art. 1 – altezza minima
L’altezza minima interna utile dei locali adibiti ad abitazione è fissata in m 2,70 riducibili a m 2,40 per i corridoi, i disimpegni in genere, i bagni, i gabinetti ed i ripostigli.
Nei comuni montani al di sopra dei m 1000 sul livello del mare può essere consentita, tenuto conto delle condizioni climatiche locali e della locale tipologia edilizia, una riduzione dell’altezza minima dei locali abitabili a m 2,55.
[…]
Quindi qui parliamo di altezze minime:
2,7m per camere, cucine, soggiorni, studi, etc.
2,4m per bagni, ripostigli, corridoi
Art. 2 – superfici
Per ogni abitante deve essere assicurata una superficie abitabile non inferiore a mq 14, per i primi 4 abitanti, ed a mq 10, per ciascuno dei successivi.
Le stanze da letto debbono avere una superficie minima di mq 9, se per una persona, e di mq 14, se per due persone.
Ogni alloggio deve essere dotato di una stanza di soggiorno di almeno mq 14.
Le stanze da letto, il soggiorno e la cucina debbono essere provvisti di finestra apribile.
Questo articolo ci dà in modo indiretto le dimensioni minime di una casa in relazione al numero di abitanti.
Ad esempio un appartamento per 4 persone deve essere grande almeno: 14*4=56mq
Inoltre abbiamo le dimensioni minime delle stanze da letto e dei soggiorni:
9mq camera singola
14mq camera matrimoniale
14mq soggiorno
E vi è inoltre l’obbligo di avere una finestra apribile.
Art. 3 – dimensione mini-alloggi
[…] l’alloggio monostanza, per una persona, deve avere una superficie minima, comprensiva dei servizi, non inferiore a mq 28, e non inferiore a mq 38, se per due persone.
Qui viene data la dimensione minima per i mini-appartamenti, che come vedi sono superiori a quelli di una singola stanza.
Art. 4 – riscaldamento
Gli alloggi debbono essere dotati di impianti di riscaldamento ove le condizioni climatiche lo richiedano.
La temperatura di progetto dell’aria interna deve essere compresa tra i 18 °C ed i 20 °C; deve essere, in effetti, rispondente a tali valori e deve essere uguale in tutti gli ambienti abitati e nei servizi, esclusi i ripostigli.
Nelle condizioni di occupazione e di uso degli alloggi, le superfici interne delle parti opache delle pareti non debbono presentare tracce di condensazione permanente.
In questo articolo vengono affrontati vari temi:
L’impianto di riscaldamento
La temperatura minima interna da garantire
La salubrità delle murature
Ti invito a fare attenzione alla questione dell’impianto di riscaldamento: soprattutto al sud Italia negli anni ’70 era ancora diffuso non installare impianti di riscaldamento, anche qualora fosse necessario per le condizioni climatiche.
In realtà in tutto il territorio italiano le condizioni climatiche richiedono la necessità del riscaldamento, la precisazione deve essere pensata ad esempio per le case vacanze che vengono usate solo in estate e per cui oggettivamente installare un impianto di riscaldamento è superfluo.
Art. 5 – illuminazione e aerazione
Tutti i locali degli alloggi, eccettuati quelli destinati a servizi igienici, disimpegni, corridoi, vani-scala e ripostigli debbono fruire di illuminazione naturale diretta, adeguata alla destinazione d’uso.
Per ciascun locale d’abitazione, l’ampiezza della finestra deve essere proporzionata in modo da assicurare un valore di fattore luce diurna medio non inferiore al 2%, e comunque la superficie finestrata apribile non dovrà essere inferiore a 1/8 della superficie del pavimento.
[…]
Questo articolo introduce una questione importantissima: l’illuminazione e l’aerazione naturali.
È una delle cause per cui molte ristrutturazioni non sono a norma.
Sono due i parametri da rispettare per i locali di abitazione (che ricordiamo essere camere da letto, soggiorni, studioli e assimilabili a questi):
Fattore medio di luce diurna pari al 2%
Superficie finestrata apribile maggiore o uguale a 1/8 della superficie di pavimento (per intenderci 1/10 non va bene…)
Il fattore medio di luce diurna è un parametro abbastanza complesso da spiegare e anche da calcolare (ci sono programmi che lo fanno in modo automatico), quindi non ci dilunghiamo qui a spiegarlo.
Ad ogni modo una volta rispettato il secondo parametro (1/8) quasi sempre risulta rispettato anche il fattore medio di luce diurna.
Art. 6 – ventilazione
Quando le caratteristiche tipologiche degli alloggi diano luogo a condizioni che non consentano di fruire di ventilazione naturale, si dovrà ricorrere alla ventilazione meccanica centralizzata immettendo aria opportunamente captata e con requisiti igienici confacenti.
È comunque da assicurare, in ogni caso, l’aspirazione di fumi, vapori ed esalazioni nei punti di produzione (cucine, gabinetti, ecc.) prima che si diffondano.
Il “posto di cottura”, eventualmente annesso al locale di soggiorno, deve comunicare ampiamente con quest’ultimo e deve essere adeguatamente munito di impianto di aspirazione forzata sui fornelli.
Di questo articolo è importante la parte centrale. Qui la legge ci sta dicendo che se le cucine e i bagni non sono finestrati (quindi non si può garantire la ventilazione naturale) è obbligatorio inserire un sistema di aspirazione collegato con l’esterno (una ventola).
Attenzione ad una cosa: sebbene qui non sia scritto chiaramente, nei regolamenti locali per la cucina viene sempre richiesta la presenza di una finestra (a meno che non faccia parte di un open-space dove è già obbligatoria la finestra).
Art. 7 – bagni
La stanza da bagno deve essere fornita di apertura all’esterno per il ricambio dell’aria o dotata di impianto di aspirazione meccanica.
Nelle stanze da bagno sprovviste di apertura all’esterno è proibita l’installazione di apparecchi a fiamma libera.
Per ciascun alloggio, almeno una stanza da bagno deve essere dotata dei seguenti impianti igienici: vaso, bidet, vasca da bagno o doccia, lavabo.
L’articolo 7, oltre a chiarire meglio il concetto espresso nell’articolo precedente, ci dice che se il bagno non ha finestra non si può installare un generatore a fiamma libera (generatore = caldaia o boiler).
In realtà questa disposizione possiamo considerarla superata perché per legge ormai tutti i generatori di calore a gas sono a camera stagna, quindi non a fiamma libera.
Art. 8 – acustica
I materiali utilizzati per le costruzioni di alloggi e la loro messa in opera debbono garantire un’adeguata protezione acustica agli ambienti per quanto concerne i rumori da calpestio, rumori da traffico, rumori da impianti o apparecchi comunque installati nel fabbricato, rumori o suoni aerei provenienti da alloggi contigui e da locali o spazi destinati a servizi comuni.
All’uopo, per una completa osservanza di quanto sopra disposto occorre far riferimento ai lavori ed agli standards consigliati dal Ministero dei lavori pubblici o da altri qualificati organi pubblici.
Questo articolo è oggettivamente aleatorio: cosa vuol dire adeguata protezione acustica?
In realtà oggi bisogna interpretare questo articolo in relazione al DPCM del 1997 sulle prestazioni acustiche degli edifici.
Nel decreto del 1997 vengono stabiliti dei requisiti di isolamento acustico che devono essere garantiti se si interviene sugli elementi edilizi.
Così se sostituisci un infisso devi rispettare i parametri del DPCM e allo stesso modo se sostituisci un pavimento.
Questo secondo aspetto viene spesso disatteso anche dai tecnici: di frequente vengono realizzate nuove pavimentazioni senza i necessari accorgimenti. Che poi si riducono ad un semplice tappetino fonoassorbente…
Altri requisiti
Questi erano i requisiti igienico-saniari sanciti dal decreto Sanità del 1975. Però abbiamo detto che questo decreto modifica le istruzioni ministeriali del 1896 senza abrogarle. Vengono abrogate solo le parti in conflitto ma le altre no.
Vediamo quali sono gli altri requisiti che ci interessano e che rimangono validi.
In realtà sarebbero molti ma a noi ne interessano principalmente due:
La non possibilità di utilizzare ambienti interrati come locali di abitazione a meno del verificarsi di determinate condizioni (artt. 58-61)
La necessità di dotare i bagni di antibagno se affacciano in locali di abitazione (cucina, soggiorno) (art. 71)
Su questo secondo punto chiariamo un aspetto: sono considerati locali di abitazione anche le camere da letto, però in questi casi è accettato aprire il bagno direttamente in camera senza antibagno.
Ma cos’è un antibagno? Un locale “filtro” tra quello dove è presente il wc e il locale di abitazione. In tale ottica anche un corridoio può essere considerato un antibagno.
CONSEGUENZE DEL MANCATO RISPETTO DEI REQUISITI IGIENICO-SANITARI
Le conseguenze di non rispettare i requisiti igienico-sanitari non sono tante, ma potrebbero essere scoccianti.
La prima è l’impossibilità di dichiarare l’agibilità della casa.
Infatti l’agibilità sancisce:
1. La sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, valutate secondo quanto dispone la normativa vigente, nonché la conformità dell’opera al progetto presentato e la sua agibilità sono attestati mediante segnalazione certificata.
(d.pr. 380/2001, art. 24)
Quindi le condizioni igienico-sanitarie sono essenziali ai fini dell’agibilità.
E qui permettimi di fare una riflessione: molti colleghi sostengono che, in seguito ad una ristrutturazione, non sia necessario rifare l’agibilità.
Giustificano la cosa col fatto che il d.pr. 380/2001 parlando di agibilità riporta un refuso (uno dei tanti sparsi nelle leggi): cioè che l’agibilità vada fatta solo in seguito a pratiche di SCIA o permesso di costruire. Mentre la maggior parte delle ristrutturazioni si fanno con CILA…siccome questa pratica non è citata allora non è necessario rifare l’agibilità.
Ma la CILA consente di cambiare le condizioni di igiene e salubrità di una casa: posso rifare impianti e cambiare le dimensioni e la disposizione delle stanze.
Secondo il ragionamento di questi tecnici con la CILA potrei fare una camera da letto di 5mq senza finestre e la casa continuerebbe ad essere agibile.
Purtroppo non è così: proprio perché con la CILA posso modificare le condizioni di igiene e salubrità (e tutte le altre sancite dall’agibilità), nel caso ciò succeda è necessaria una nuova agibilità.
La seconda conseguenza è che l’immobile non rispetta dei requisiti imposti per legge. In caso di controllo della pratica edilizia o di qualsiasi altro tipo potrebbe essere richiesto di far rispettare tutti i requisiti. In sostanza la pratica diverrebbe non lecita e sarebbero da rifare i lavori.
È sicuro che la pratica venga controllata? No. Anzi la maggior parte delle pratiche non viene mai controllata, quindi probabilmente anche se non è tutto a posto non avrai problemi.
È sicuro che la pratica non venga controllata? No. I comuni più piccoli di solito controllano tutto, i più grandi una percentuale minima delle pratiche. Però i controlli ci sono.
Quindi rispettare questi requisiti è essenziale.
POSSO DEROGARE AI REQUISITI IGIENICO-SANITARI?
Ci sono alcuni casi in cui è possibile derogare ai requisiti igienico-sanitari.
Come abbiamo visto le due leggi nazionali che regolano tali requisiti risalgono al 1896 (istruzioni ministeriali) e al 1975 (decreto sanità). Quindi abbiamo tre regimi:
Ante 1896
Ante 1975
Post 1975
Tutte le case costruite dopo il 1975 devono essere state progettate rispettando il decreto sanità. Tutte le case costruite tra il 1896 e il 1975 devono essere state progettate rispettando le istruzioni ministeriali. Tutte le case costruite prima del 1896…non devono rispondere a nulla.
Naturalmente tutto ciò vale se non ci sono, o c’erano all’epoca di costruzione, altri regolamenti locali in vigore.
Quindi abbiamo una prima deroga: non posso pretendere che una casa costruita un secolo fa rispetti le norme attuali. Le leggi non possono essere retroattive.
Però è il caso di capire in che termini funziona questa deroga.
Facciamo un esempio.
Hai una casa costruita negli anni ’60 in cui le camere da letto sono più piccole di 9mq e le finestre non bastano per raggiungere la superficie aeroilluminante minima di 1/8.
Quindi non rispetta il decreto sanità del 1975.
Tale decreto però negli anni ’60 non esisteva.
Quindi come prima cosa devi verificare se rispetta almeno le istruzioni ministeriali del 1896 (anche lì si parla di dimensione degli ambienti e superfici aeroilluminanti).
Se non rispetta nemmeno questa non c’è deroga che tenga: devi adeguarti.
Se invece rispetta tali istruzioni ministeriali puoi tenerti la casa com’è. Ma nel caso di ristrutturazione devi adeguarti.
O meglio: se cambi solo le finiture (pavimenti, porte, infissi, pitturazioni, sanitari), cioè se fai una manutenzione ordinaria, non hai l’obbligo di adeguarti.
Però se modifichi le dimensioni e la distribuzione delle stanze (manutenzione straordinaria) allora devi adeguarti. Completamente: sia la superficie delle camere deve rispondere ai requisiti igienico-sanitari del 1975 sia la superficie aeroilluminante. E se gli ambienti sono più bassi del minimo di legge (2,7m per gli ambienti di abitazione) dovresti adeguare pure le altezze.
Allo stesso modo se decidi di rifare gli impianti devi farli adeguati alla normativa attuale.
Questo secondo punto sembra più scontato (faresti mai un impianto elettrico come si faceva nel 1960?). Mentre per le questioni geometriche (dimensioni, superfici, altezze…) spesso le persone non se ne capacitano.
Il fatto è che se decidi di intervenire e non è possibile adeguare tali parametri, la casa non è abitabile. O almeno non lo sono le parti della casa che non rispettano questi parametri.
In questo caso dovresti provare a chiedere una specifica deroga per continuare ad utilizzare quegli ambienti come abitazione (non l’ho mai fatto quindi non saprei come aiutarti).
Visto questo caso che è abbastanza tipico, vediamo in quale altro caso puoi fare delle deroghe.
Mi riferisco agli edifici vincolati, quindi stiamo parlando di palazzi storici.
Se la soprintendenza architettonica/paesaggistica ha messo un vincolo sull’edificio e questo vincolo interviene anche sulla distribuzione interna degli ambienti e/o sulle facciate…evidentemente non è possibile adeguare.
In questo caso si può derogare proprio in virtù del vincolo. Anche se non è prevista una deroga totale. La questione è stata affrontata recentemente con il decreto semplificazioni, il n. 77 del 2021, che riguarda la governance del piano nazionale di rilancio e resilienza (quello post-covid).
Nella conversione in legge di questo decreto, all’articolo 51, comma 1 è stata aggiunta la lettera f-bis:
«f-bis) all’articolo 10, dopo il comma 2 è inserito il seguente:
“2-bis. In deroga alle disposizioni del decreto del Ministro per la sanità 5 luglio 1975, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 190 del 18 luglio 1975, con riferimento agli immobili di interesse culturale, sottoposti a tutela ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42:
a) l’altezza minima interna utile dei locali adibiti ad abitazione è fissata in 2,4 metri, riducibili a 2,2 metri per i corridoi, i disimpegni in genere, i bagni, i gabinetti e i ripostigli;
b) per ciascun locale adibito ad abitazione, l’ampiezza della finestra deve essere proporzionata in modo da assicurare un valore di fattore luce diurna medio non inferiore all’1 per cento e, comunque, la superficie finestrata apribile non deve essere inferiore a un sedicesimo della superficie del pavimento;
[…]»
Altre deroghe non sono concesse.
Anzi: ove possibile lo stato incentiva ad adeguare anche edifici che sono stati realizzati con la normativa in vigore prima del 1975.
Infatti, ad esempio, vi è stata una recente modifica al testo unico dell’edilizia (il d.pr. 380/2001) con cui gli adeguamenti alle facciate ai fini dell’agibilità (quindi la modifica delle dimensioni delle finestre in sostanza) possono essere realizzati con una semplice procedura di CILA (quella che si usa per la maggior parte delle ristrutturazioni) se non riguarda parti strutturali, invece che con le più complesse SCIA o Permesso di Costruire.
Ho perso il conto delle volte in cui mi è capitato di sentire affermazioni di questo tipo:
“l’impresa mi ha presentato il capitolato…secondo te il preventivo è giusto?”
In questa frase ci sono due parole che vanno d’accordo come il formaggio sul pesce: capitolato e preventivo.
Il capitolato con il preventivo non c’entra nulla.
Un preventivo di ristrutturazione va fatto su un computo metrico, cioè un documento che serve per quantificare le lavorazioni da eseguire. Il capitolato è un documento tecnico (o contrattuale) che descrive modalità di esecuzione e caratteristiche dei materiali previsti, ma non li quantifica.
Conoscere i contenuti e gli scopi di questi documenti è essenziale per la corretta gestione di una ristrutturazione e per evitare sorprese.
Su questi aspetti c’è spesso molta approssimazione che parte proprio da chi lavora nel settore. Infatti troppo spesso vedo imprese presentare preventivi di ristrutturazione approssimativi cercando di condensare in un unico documento il capitolato e il computo (e spacciando il tutto per capitolati).
Ma sia chiaro: questa non è un’accusa alle imprese. O almeno non a tutte…Alle volte sono costrette a comportarsi in questo modo per motivi di cui ho già parlato molte volte e che non ripetiamo qui.
Però l’utilizzo di terminologie sbagliate viene assorbito dai clienti (cioè da te)…portandoli a commettere errori.
Se vogliamo giocare ad un gioco con regole chiare e condivise dobbiamo prima di tutto metterci d’accordo proprio sui termini:
Il Computo è il documento che serve per quantificare le opere (e fare i preventivi)
Il Capitolato tecnico è il documento che serve per descrivere materiali e lavorazioni
Il Capitolato generico è il documento che serve per definire le condizioni contrattuali
E non me li sono inventati io questi termini ma si utilizzano da sempre. Nel settore pubblico sono standardizzati e normati da decenni. Chi ci lavora lo sa e non si sognerebbe mai di presentare un progetto in cui capitolato e computo si sovrappongono, o peggio ancora di redigere un’offerta su un capitolato.
Solo che se nel pubblico è tutto normato…nel privato possiamo fare un po’ come ci pare. Nelle ristrutturazioni poi c’è il delirio…
E guarda che alla fine il problema non è l’utilizzo di termini sbagliati…per quello basta mettersi d’accordo…il problema sono le conseguenze di questi termini errati.
Di cui una, nelle ristrutturazioni, è proprio sovrapporre il capitolato con il computo.
Provare a produrre documenti sintetici che provano a descrivere e quantificare lavori per decine di migliaia di euro in poche righe non va bene.
Porta immancabilmente a problemi durante i lavori.
Infatti succede che l’impresa tira fuori dal cilindro costi in più che non ti aspetti, oppure esegue i lavori nel modo sbagliato. E se gli chiedi “ma questa cosa non doveva essere prevista nella voce xxxxx?”, la risposta è “veramente no, vede non c’è scritto qui…”.
E che gli puoi dire? Ha ragione! Puoi arrabbiarti, dirgli che non ti aveva detto così, urlare e fargli causa. Ma se non c’è scritto non c’è scritto. E in questi documenti non c’è mai scritto.
Ecco perché usare i documenti giusti con le finalità per cui sono stati pensati è essenziale.
Per capire come andrebbero predisposti guardati il progetto di un’opera pubblica (uno fatto bene eh…perché anche qui ci sarebbe molto da dire…). Ne trovi tanti online. Il computo e il capitolato sono sempre due documenti ben distinti.
E il capitolato è a sua volta diviso in varie sezioni. E non è certo un fascicoletto di poche pagine: si tratta di un documento che supera facilmente le cento pagine.
Certo: spesso si tratta di testi standard…ma almeno vengono messi nero su bianco i requisiti dei materiali e le modalità di esecuzione delle opere. E se viene previsto un materiale o una lavorazione particolare il capitolato la riporta.
Oh ma sia chiaro, non vivo nel mondo dei balocchi. Sono il primo a dire che per una ristrutturazione spesso è inutile fare documenti esageratamente articolati. Anzi, dal mio punto di vista molte volte, con un buon computo, il capitolato è un documento inutile…ma se ce lo metti (e lo spacci per il documento sui cui fai il preventivo) una descrizione un minimo decente la vuoi mettere?
E invece nella maggior parte dei casi questa cosa non succede.
Chiaramente non va fatta di tutta l’erba un fascio: perché chi vuole fare le cose per bene è contento di un capitolato preciso. Il problema è chi vuole fare le cose alla viva il parroco. Sono sempre questi soggetti da cui devi difenderti. E non sai mai dove si nascondono.
Non voglio ripetermi per l’ennesima volta ma devi affrontare la ristrutturazione con le giuste informazioni e devi essere in grado di valutare le cose che ti vengono dette e consegnate. E in quest’ottica conoscere la differenza tra computo e capitolato, e quali dovrebbero essere i loro contenuti, è essenziale.
Certo questa differenza la sa anche il tuo tecnico (si spera). Lui, oltre produrre questi documenti, dovrebbe tutelarti e quindi potresti non preoccuparti troppo della questione.
Ma non prendiamoci in giro…chi legge questo blog di solito si trova in una di queste situazioni:
Vorrebbe fare tutto da solo
Sta pensando di affidarsi ad un’impresa chiavi in mano
Si è affidato al tecnico più economico sulla piazza e adesso non si fida
Io spero con i miei articoli di aver aiutato qualcuno ad affrontare la ristrutturazione in modo diverso…ma se sei in una delle condizioni qui sopra (o anche solo per cultura personale) devi capire la differenza tra questi due documenti. Quindi nei prossimi paragrafi ti spiegherò:
La differenza tra computo e capitolato
Come deve essere fatto un computo a regola d’arte
Come deve essere fatto un capitolato a regola d’arte
DIFFERENZA TRA CAPITOLATO E COMPUTO
Abbiamo capito che il capitolato è un documento con una duplice finalità: contrattuale e tecnico-descrittivo. Invece il computo è un documento quantitativo-economico.
Però detta così è un po’scarna. Quindi spendiamo qualche parola in più.
Capitolato
Il primo grande fraintendimento sul capitolato è che sia un documento con cui l’impresa comunica al cliente quali sono le finiture previste.
Niente di più sbagliato di così.
Questa è una convinzione derivata dalle imprese di costruzioni che vendono gli immobili su carta prima di costruirli. E che effettivamente sottopongono una sorta di “capitolato” agli acquirenti.
Ma se in quel determinato contesto è corretto tale utilizzo del capitolato, nelle ristrutturazioni è totalmente sbagliato e va invertito: il capitolato è un documento con cui tu comunichi all’impresa che finiture dovrà installare.
“Eh ma che ne so io di quali finiture dovrà installare l’impresa?”
Hai ragione…infatti non puoi farlo da solo ma hai bisogno di un tecnico che lo prepari.
Tecnico che in un corretto processo di ristrutturazione è di tua fiducia (e non di fiducia dell’impresa) e che sviluppa il progetto secondo le tue esigenze e desideri.
Ok, ma qui stiamo travisando i contenuti di questo articolo. Se vuoi approfondire seriamente queste tematiche c’è il mio manuale “Ristruttura la tua casa in 7 passi”. Lo trovi qui.
Tornando al capitolato e a cosa sia, ecco la definizione che ne dà la Treccani:
capitolato s. m. [der. di capitolo]. – 1. Atto amministrativo (propr. detto c. d’oneri) che contiene le condizioni e le modalità relative all’esecuzione di un contratto fra l’amministrazione pubblica e un privato o all’esercizio di una concessione fatta dalla prima al secondo: c. generali, se relativi a determinati tipi di contratto o di concessione; c. speciali, se relativi a determinati contratti o concessioni; c. d’appalto di lavori pubblici, c. d’affitto, ecc. Una scrittura analoga può formare anche il complemento di un contratto d’appalto fra privati, spec. fra un committente e una ditta di costruzioni: in essa si precisano diritti e doveri delle due parti, particolarità dell’esecuzione delle singole opere, materiali da impiegare, prezzi, compensi per le varie categorie di lavoro, ecc.
La prima cosa che leggiamo è che si tratta di un documento che contiene le condizioni e le modalità (nda realizzative) relative all’esecuzione di un contratto.
La seconda cosa che evidenzia la Treccani è che si tratta di un documento solitamente redatto tra un’amministrazione pubblica e un soggetto privato. Ma poi dice che può essere redatto anche tra privati, che è il caso tipico di una ristrutturazione.
Da questa definizione si evince che il capitolato non siano altro che gli articoli che regolano il contratto. Che possono essere inseriti dentro il contratto stesso (e che quindi si può chiamare anche contratto-capitolato) oppure possono essere inseriti come allegati (cioè un documento chiamato semplicemente capitolato).
Ma per la tua ristrutturazione non è questo il documento che dobbiamo intendere come capitolato. A noi interessa il capitolato tecnico (o capitolato speciale).
Si tratta di un documento che ha lo scopo di regolare gli aspetti tecnico-esecutivi dell’opera da realizzare, definendo i requisiti e la qualità delle opere che devono essere realizzate, con particolare attenzione alle caratteristiche dei materiali impiegati e alle modalità di esecuzione dei lavori.
Si tratta di un elaborato predisposto dal progettista che, sebbene non obbligatorio, potrebbe essere utile anche in una ristrutturazione privata.
Quindi abbiamo fatto una prima distinzione tra le due tipologie di capitolato:
Capitolato d’appalto
Capitolato tecnico (o speciale)
In questo articolo parleremo solo del capitolato tecnico. I contenuti del capitolato d’appalto, per quanto riguarda i lavori privati, fanno parte del contratto di appalto di cui ho parlato lungamente nel manuale “Ristruttura la tua casa in 7 passi” e nel libro “Ristrutturazione Roadmap”.
Ad ogni modo più avanti approfondiremo meglio il capitolato. Prima però capiamo in cosa si differenzia dal computo.
Computo
Il computo è la quantificazione delle singole lavorazioni necessarie per realizzare l’opera. La ristrutturazione nel nostro caso.
Sebbene concettualmente possa sembrare molto simile al capitolato ci sono differenze sostanziali.
Nel capitolato tecnico, come vedremo, materiali e modalità di esecuzione delle opere sono due cose separate. Nel computo invece trovano la sintesi in una specifica lavorazione.
Provo a spiegarmi con un esempio: per costruire un muro sono necessari dei materiali (diciamo mattoni e malta) e anche del lavoro da parte di uno o più operai. La lavorazione consistente nella realizzazione di un muro viene sintetizzata in una voce di computo che considera entrambi questi elementi: sia il materiale che come deve essere realizzata la parete (quindi il tempo di lavorazione richiesto agli operai).
Per questo motivo tipicamente troverai in una voce di computo l’incipit “fornitura e posa in opera di…” e la chiusura “…compreso tutto quanto necessario per dare l’opera completa secondo la regola dell’arte”.
Proprio perché la lavorazione deve comprendere tutto.
Un computo naturalmente è composto da una voce per ogni lavorazione (e in una ristrutturazione possono essere tante). E per ogni lavorazione viene fornita una misurazione (quantità) e un costo.
Spero di averti chiarito a livello generale le differenze tra questi due documenti. Ma c’è ancora tanto da dire, quindi entriamo nel dettaglio.
COME È FATTO UN COMPUTO
Per farti capire quello che devi aspettarti di trovare in un buon computo dobbiamo dividerlo nelle due parti essenziali da cui è composto:
Le voci delle lavorazioni
La misurazione di queste voci
Il computo di per sé è la seconda parte. Ma è impossibile predisporlo senza passare per una corretta definizione delle prime.
Le voci di lavorazione
Come dicevamo ad ogni lavorazione deve essere associata una voce di computo.
Questa lavorazione deve corrispondere ad una parte d’opera ragionevolmente finita, cioè deve avere una sua autonomia.
La lavorazione in tal senso ad esempio non è “realizzazione di impianto elettrico” ma la somma di tutte le lavorazioni necessarie per realizzare l’impianto elettrico. Ad esempio installazione di presa elettrica, installazione di interruttori, di quadro elettrico, etc.
Poco fa abbiamo fatto l’esempio della realizzazione di un muro. Come hai letto quando ti ho elencato i materiali, non c’erano l’intonaco e nemmeno la pitturazione. Il motivo è che sono voci di lavorazione a parte che hanno una loro autonomia (puoi intonacare o pitturare un muro esistente…).
Quindi ogni lavorazione deve essere definita nella sua parte più piccola che abbia un senso.
Sia chiaro: non è compito tuo sapere quali sono queste lavorazioni. Se ne occupa il tuo tecnico (o dovrebbe). Qui voglio farti capire la logica con cui si costruisce un computo.
Chiarito ciò ogni voce di lavorazione è composta da:
Un codice
Una descrizione
Un’unità di misura
Un prezzo unitario
Il codice è univoco, riferito solo a quella lavorazione, e serve a semplificare la gestione del documento.
La descrizione invece serve per individuare correttamente la lavorazione.
In tale descrizione oltre ad essere spiegato sommariamente in cosa consiste quello che deve essere realizzato, dovranno essere riportati anche i materiali che verranno utilizzati (anche con marca e modello se ne sono previsti di specifici). E nella descrizione dei materiali potrebbero essere ripetuti i punti principali espressi nel capitolato (in modo sintetico).
Siccome il computo è un documento quantitativo, dovrà per forza esserci un’unità di misura di riferimento: ad esempio un muro si computa in metri quadri. Mentre una presa elettrica si computa in quantità (si dice “cadauno”), oppure un battiscopa in metri lineari, il ferro in kg o il calcestruzzo in metri cubi. Ad ognuno il suo.
Tale unità di misura deve essere poi completata con un costo unitario. Cioè quanto costa fare un metro quadrato di muro? Ecco che parliamo di €/mq.
Questi sono i quattro elementi che compongono una voce di lavorazione. Qui sotto ti riporto un esempio:
Quando si realizza un computo la prima cosa da fare è individuare la lista di tutte le lavorazioni necessarie per eseguire l’opera.
Naturalmente le lavorazioni possibili sono migliaia (decine di migliaia). Difficilmente un tecnico le conosce tutte o ne sa dare una descrizione completa. Quindi per stilare questa lista solitamente si ricorre a dei prezzari.
Quelli più diffusi sono i prezzari regionali delle opere pubbliche. Ogni Regione ne ha uno e sono quasi tutti molto completi (ultimamente anche abbastanza aggiornati).
Oltre a questi prezzari regionali ci sono numerosi altri prezzari redatti da associazioni di categoria o enti privati. Uno su tutti è il prezzario DEI (la tipografia del Genio Civile).
Se in tutti questi documenti non si trova la lavorazione specifica prevista, oppure se ha delle caratteristiche talmente particolari che le descrizioni generiche dei prezzari potrebbero dare adito ad interpretazioni sbagliate, chi predispone il computo (il tecnico di solito) può predisporre dei “nuovi prezzi”.
Una nota: fare un nuovo prezzo non significa chiedere un preventivo a un fornitore e metterci lì il prezzo che viene comunicato. Ci sono molti fattori da considerare. Manodopera, spese, utili…ogni voce è diversa e va valutata nel modo corretto.
Comunque utilizzare i prezzari è la soluzione preferibile perché costituiscono un “vocabolario comune” compreso da tutti gli operatori del settore. Infatti, sebbene siano scritti per le opere pubbliche, l’edilizia è una, quindi la maggior parte delle lavorazioni possono essere riportate tali e quali nelle opere private.
Quindi le imprese, che hanno la necessità di capire velocemente in cosa consiste una determinata lavorazione e sono abituate ad usare i prezzari regionali, sono ben contente di avere a che fare con un computo che comprendono e su cui ci sono poche possibilità di interpretazione.
C’è da dire che per utilizzare i prezzari regionali ci vuole un po’ di esperienza perché contengono decine di migliaia di voci: se non ci si riesce ad orientare correttamente si rischia di perdere giornate intere alla ricerca della lavorazione giusta (per scoprire che non esiste e quindi dover fare comunque una nuova voce…). Io ci tengo a fare i computi delle opere che progetto ma ti assicuro che quando ho iniziato a lavorare piuttosto che utilizzare i prezzari regionali avrei preferito mille volte creare delle nuove voci.
Ad ogni modo, una volta che sono state individuate tutte le lavorazioni necessarie si può passare alla redazione del computo vero e proprio con le misurazioni.
Le misurazioni: la stesura del computo
La quantificazione delle lavorazioni è il cuore del processo di scrittura del computo. Ed è la parte più impegnativa.
Partiamo col dire che esistono due tipi di computi:
Il computo metrico
Il computo metrico estimativo
Il primo riporta solo le misurazioni parziali e totali di ogni lavorazione, il secondo ci aggiunge anche le informazioni economiche…cioè quanto costa complessivamente la singola lavorazione e nel complesso tutta l’opera.
Perché differenziarli?
Semplicemente perché è probabile che quando vuoi chiedere un preventivo ad un’impresa non devi essere tu a dirle il costo supposto dei lavori…sarà lei a mettere un prezzo ad ogni lavorazione. Quindi gli consegnerai solo un computo metrico ma non estimativo.
In ogni caso per chi li predispone fare l’uno significa fare automaticamente anche l’altro. I programmi con cui si fanno i computi (che solitamente non è excel…) infatti permettono di produrre entrambi i documenti dallo stesso file con pochi click.
Detto ciò, la redazione di un computo, sia esso metrico o estimativo, consiste nell’associare ad ogni lavorazione delle quantità. Che devono essere facilmente verificabili negli elaborati grafici.
Ad esempio per computare la realizzazione di tutti i muri di una casa bisognerebbe dedicare una singola misurazione ad ogni muro, cercando di renderne facile l’individuazione per chi consulta il documento.
Per non ripetere tutta la descrizione ad ogni misurazione, si riporta la lavorazione un’unica volta e si dividono le misurazioni in varie righe. Per distinguerle a fianco della singola misurazione dovrebbe essere riportato un testo esplicativo, ad esempio “muro divisorio tra soggiorno e cucina”.
A quel punto va inserita la misurazione effettiva: computandosi i muri in metri quadri si riporterà una lunghezza ed un’altezza, il cui prodotto darà la superficie.
La somma di tutte le superfici di tutti i muri darà la quantità totale della lavorazione, che moltiplicata per il costo unitario ne fornirà l’importo complessivo.
Qui sotto ti mostro l’esempio di una misurazione presa da un mio computo:
Questo naturalmente va fatto per ogni lavorazione prevista dal progetto. E anche in un lavoro semplice come una ristrutturazione arrivare a superare le cento voci di lavorazione è un attimo.
Proprio la presenza di un numero consistente di lavorazioni rende necessario fare di tutto perché il computo rimanga facilmente consultabile.
Pensa cercare una voce specifica in una lista casuale di lavorazioni. Un incubo.
Va data una struttura al computo.
La struttura di un computo
I motivi per cui dare una struttura al computo è utile sono più di uno. Non solo la facilità di consultazione.
Prima di tutto serve all’impresa per suddividere i costi nelle varie categorie (opere edili, impianti, etc.) e subappaltare correttamente i lavori.
Infatti, come ti ho detto un sacco di volte, le imprese che si occupano di ristrutturazione raramente hanno tutte le maestranze necessarie per eseguire i lavori: solitamente i lavori impiantistici vengono subappaltati a più artigiani (elettricista, idraulico, etc.).
Quindi avere un documento in cui è facile individuare le varie categorie di lavori è comodo anche per loro.
Ma lo è anche per te e il tuo tecnico.
Infatti in una ristrutturazione ci sono alcune cose che probabilmente non affiderai direttamente all’impresa che realizzerà i lavori, ma affiderai in modo autonomo a qualche fornitore esterno.
Mi vengono in mente gli infissi, le porte, i rivestimenti, i sanitari…in sostanza le finiture.
Avere un documento unico in cui inserire tutte le voci di spesa è utile per avere sotto controllo la gestione economica globale della ristrutturazione, ma poterlo spezzettare facilmente per fornire a chi di dovere esclusivamente l’elenco delle cose di cui si dovrà occupare (e quindi di cui dovrà fornirti preventivo) è ancora più utile.
Al serramentista dai il computo dei serramenti, al negozio di ceramiche dai il computo dei pavimenti e rivestimenti, etc.
Una volta raccolte tutte le offerte, integrarle nel computo generale così da avere un quadro completo sarà semplice.
Ecco come di solito suddivido i miei computi per le ristrutturazioni di interni. Di base uso due livelli di profondità:
Opere provvisionali (sarebbe l’installazione di cantiere)
Demolizioni e smaltimenti
Demolizioni
Trasporti a discarica
Smaltimento
Opere edili
Sottofondi
Murature
Controsoffitti
Pitturazioni
Varie
……..
Impianti
Impianto elettrico
Impianto idrico
Impianto di riscaldamento (e/o condizionamento)
Impianto del gas
……
Forniture
Infissi esterni
Porte interne
Pavimenti e rivestimenti
Sanitari e arredobagno
Arredi
Varie
Poi in base alle esigenze alle volte ne aggiungo un terzo a monte (ad esempio nel caso di realizzazione di lavori in più fasi) oppure a valle (ad esempio per l’impianto elettrico spesso suddivido in impianto elettrico, domotica, antifurto, illuminazione…).
Grazie a questa suddivisione è anche molto semplice sapere quanto costerà ogni parte della ristrutturazione, rapportarla al costo complessivo dei lavori ed apportare eventuali aggiustamenti e modifiche al progetto per rientrare nei costi previsti.
Qui sotto puoi vedere la pagina e il riepilogo della struttura di un mio computo.
Nell’area riservata del manuale “Ristruttura la tua casa in 7 passi” ho inserito un computo-tipo completo per darti l’idea di come è composto. (Naturalmente non sognarti di utilizzarlo come riferimento per la tua ristrutturazione…ogni lavoro è un’opera a sé! Non mi ritengo responsabile di eventuali utilizzi sbagliati di quel documento!)
Prima di passare al paragrafo sul capitolato vorrei approfondire un ultimo punto. Cioè quando deve essere predisposto il computo.
Le fasi in cui viene fatto il computo
Per capire quando devi aspettarti che il tecnico ti consegni il computo bisogna chiarire tre punti:
Non può essere fatto senza un progetto
Non può essere fatto subito
Si tratta di un documento che si evolve con lo sviluppo del progetto
Penso che siano tutte cose abbastanza chiare ma te le voglio spiegare comunque.
Siccome un computo deve riportare non solo le lavorazioni che devono essere fatte ma anche le loro misurazioni, mi pare logico che senza un progetto non sia possibile avere un computo. Come faccio a dire quanti metri quadri di muro vanno realizzati se non ho un progetto?
Di conseguenza non è possibile fare una stima dettagliata dei lavori (scopo del computo) senza il progetto.
Questo penso sia giusto chiarirlo perché la maggior parte delle persone, quando deve ristrutturare, pensa che sia sufficiente andare da un’impresa, farle vedere la casa, spiegare a spanne i lavori da fare e poi chiedere: “mi fai un preventivo?”
Se hai intenzione di farlo sappi che l’impresa ti fornirà sì un preventivo, ma la sua affidabilità sarà pari a zero…
Non penserai mica che un’impresa possa farti un progetto completo così, gratis e in amicizia?
Quindi prima il progetto e poi il computo.
Ma anche qui: la progettazione prevede varie fasi di approfondimento. Non puoi pensare che un tecnico ti presenti un computo metrico sulle prime idee progettuali (quelle che io chiamo “progetto preliminare”).
In questa fase mancano troppi dati per fornire un computo realistico: non hai scelto materiali, impianti, finiture varie…manca tutto quello che serve per un computo.
Il progetto preliminare serve solo per validare le idee progettuali.
Quindi è più corretto allegare a questa fase di progetto una stima di larga massima, di solito basata sull’esperienza del tecnico fatta su lavori similari.
Quindi quando viene fatto il computo?
Se mi hai letto in passato sai che un progetto si divide in tre fasi:
Progetto preliminare (di cui abbiamo appena parlato) per validare l’idea progettuale
Progetto definitivo per definire materiali e impianti
Progetto esecutivo per dettagliare le decisioni prese e richiedere preventivi
Il primo computo il tecnico dovrà fornirtelo col progetto definitivo. E sarà un computo metrico estimativo. Cioè ti mette anche il costo della ristrutturazione.
Che naturalmente sarà stimato da lui inserendo i prezzi delle singole lavorazioni sulla base dei prezziari/delle offerte/dell’esperienza (quello che abbiamo detto prima).
Questo computo, almeno a livello di struttura, sarà molto simile a quello esecutivo.
Ma è solo con la progettazione esecutiva che si entra nel dettaglio delle soluzioni scelte e si può dare un computo preciso: materiali e soluzioni non prevedibili in fase definitiva saranno inseriti qui, quando l’opera è stata sviscerata in tutti i dettagli.
Il computo del progetto esecutivo sarà estimativo per te (così sai i costi che potresti aspettarti) e non estimativo (cioè solo metrico) per chiedere le offerte alle imprese, che così saranno costrette a quantificare le lavorazioni.
Naturalmente poi il computo potrà essere modificato durante i lavori in base a quello che succede in cantiere: non esiste un solo cantiere di ristrutturazione che non riservi sorprese.
Ok…abbiamo detto a sufficienza sul computo. Passiamo al capitolato (dove ti prometto che sarò estremamente più sintetico).
IL CAPITOLATO TECNICO
Il capitolato tecnico è un documento del progetto esecutivo. Raramente ha senso predisporlo prima perché il suo scopo è comunicare all’impresa materiali e lavorazioni previste. La cui definizione si fa in sede di progettazione definitiva e viene riportata in quella esecutiva.
Quindi questo documento serve all’impresa per formulare correttamente l’offerta e viene utilizzato durante i lavori come riferimento per caratteristiche e qualità di materiali e lavorazioni.
Se per le opere pubbliche, o comunque le nuove costruzioni, è un documento essenziale e ha senso scriverne di abbastanza dettagliati e corposi…per le ristrutturazioni ritengo siano più utili documenti snelli (poi se stai ristrutturando completamente una villa faraonica magari ti serve comunque un capitolato molto approfondito…).
Disegni esecutivi fatti bene e un computo metrico dettagliato assolvono già gran parte delle necessità di un capitolato tecnico.
Però l’esperienza mi ha portato a capire che comunque un capitolato minimo, tranne che in casi particolari, andrebbe predisposto.
Per capire come fare un buon capitolato per i nostri scopi partiamo dalla struttura di un capitolato speciale di appalto per i lavori pubblici. In particolare della seconda parte, cioè quella più prettamente tecnica, contenente la lista di tutti i materiali che verranno utilizzati, le relative caratteristiche, la modalità di esecuzione dei lavori, degli impianti e delle (eventuali) strutture.
Un capitolato tecnico è composto da due parti:
Una prima parte in cui vengono descritti i materiali da utilizzare;
Una seconda parte in cui vengono descritte le modalità con cui devono essere eseguite le lavorazioni.
I testi utilizzati per scrivere i capitolati spesso sono standardizzati e riportano caratteristiche e modalità esecutive consolidate. Siccome al loro interno ci sono riferimenti a norme in vigore e a caratteristiche tecniche derivanti da tali norme, le descrizioni vengono aggiornate frequentemente per stare al passo con la continua evoluzione normativa.
Però tutte queste definizioni sono quasi sempre poco utili in una ristrutturazione: infatti si tratta di testi quasi sempre sovrabbondanti che rispondono principalmente alle esigenze degli appalti pubblici.
Nel settore pubblico infatti non è possibile imporre l’utilizzo di una determinata marca e modello di materiale. Di conseguenza c’è l’esigenza di inserire descrizioni dettagliate che richiamino tutte le leggi in vigore, per non rischiare che vengano utilizzati materiali non a norma o che vengano realizzate lavorazioni nel modo sbagliato.
Spesso per aggirare questa limitazione all’interno dei progetti per opere pubbliche si citano la marca e il modello che si vorrebbe installare ma si aggiunge la dicitura “o similare”. In questo modo si sta dicendo: “voglio questo…ma se mi metti una cosa con le stesse caratteristiche va bene lo stesso”.
Ad ogni modo in un appalto privato per fortuna non hai questo obbligo: puoi (e devi) mettere quello che piace a te. Naturalmente le leggi che dettano qualità e modalità costruttive dei materiali devono comunque essere rispettate. Ma detto ciò il capitolato può essere più diretto: non c’è bisogno di dire che caratteristiche devono avere le piastrelle, c’è bisogno di dire marca e modello delle piastrelle. La verifica del rispetto delle norme verrà fatta a monte (dal tecnico/impresa/fornitore).
Altro aspetto da chiarire è di quali materiali debba occuparsi il capitolato tecnico.
A te interessano principalmente le finiture e forse gli impianti (almeno le parti visibili degli impianti). Ma il capitolato dovrebbe occuparsi anche di altri aspetti.
Ad esempio dovrebbe descrivere i massetti o le murature.
Certo: se vengono previste lavorazioni standard non è necessario, ma se vengono previste cose particolari lo diventa.
Ad esempio in una mia ristrutturazione di qualche anno fa ho ritenuto di utilizzare un massetto all’anidride invece che il classico massetto cementizio. Se non lo avessi specificato in un capitolato mi sarei ritrovato con duecento sacchette di massetto sbagliato in cantiere.
Oppure ho l’abitudine di far realizzare le pareti interne in cartongesso. Ma le pareti che prevedo non sono le classiche paretine in cartongesso…quelle a cui appendi un quadro e ti viene giù tutto…prevedo pareti a doppia lastra, con lastre rinforzate e isolamento nella struttura. Se non fornisco un capitolato dettagliato le vedrò mai realizzate?
Quindi il capitolato deve essere costruito su misura per i lavori specifici che si devono realizzare.
Ma come deve essere fatto il capitolato tecnico?
A questo punto si pone un altro problema: la cattiva abitudine a non andare a fondo nei progetti prima di realizzarli. Mi spiego meglio. Un progetto di ristrutturazione (serio) può essere fatto in due modi:
Definisci tutti i materiali e le finiture comprese marche e modelli prima di appaltare i lavori
Definisci le caratteristiche dei materiali e finiture prima di appaltare i lavori, senza scegliere marche e modelli
Questa cosa vale soprattutto per le finiture (infissi, porte, pavimenti, rivestimenti, sanitari, etc.)
La soluzione ideale è realizzare un progetto del primo tipo. Si tratta dell’unico in grado di garantirti un risultato migliore, con meno spese extra e di conseguenza meno problemi.
Il motivo è che quando arriva il momento di chiamare l’impresa sai già tutti i materiali e le finiture che verranno realizzate. E quindi puoi comunicarle correttamente tramite il capitolato.
Attenzione ad una cosa: questo vale anche se decidi di acquistare alcuni o tutti questi materiali separatamente per i fatti tuoi, cioè senza demandare all’impresa questo compito.
Devi comunque comunicare tutte queste informazioni all’impresa col capitolato. Perché deve sapere che mattonella dovrà installare o che sanitario hai scelto. Le serve per capire come va montato, che problematiche potrebbe ritrovarsi ad affrontare e come risolverle.
In questo caso il capitolato è semplice da predisporre: si tratta di una selezione delle schede tecniche dei materiali scelti.
Schede tecniche che nella maggior parte dei casi non riportano solo le caratteristiche del materiale (o impianto, o quant’altro) ma anche le modalità di posa. Quindi assolve al doppio compito di fornire caratteristiche e modalità di lavorazione.
Invece se stai sviluppando un progetto in cui decidi sì aspetto e caratteristiche dei materiali, ma nel momento in cui appalti i lavori non hai ancora deciso marca e modelli delle finiture, o preferisci che se ne occupi l’impresa, il capitolato avrà comunque una sua importanza. E non sarà una selezione di schede tecniche ma delle descrizioni dettagliate proprio delle caratteristiche che dovranno avere i materiali. Uno per uno. Almeno quelli principali.
In questo caso ti ritroverai probabilmente con un capitolato formato da descrizioni generiche. Tipo quello per gli appalti pubblici.
Io tendo ad evitare questa seconda soluzione perché mi ha sempre dato problemi.
Ad ogni se vuoi vedere come è fatto nel dettaglio un capitolato generico te l’ho inserito tra i bonus del manuale “Ristruttura la tua casa in 7 passi”.
Vorrei chiudere questo paragrafo raccontandoti una cosa che mi è capitata qualche anno fa in un cantiere. Giusto per farti capire l’importanza del capitolato al fine di tutelarti da ogni possibile problema.
Ristrutturazione completa di un appartamento con tutto definito:
Marche e modelli di tutte le finiture e impianti;
Elaborati grafici dettagliatissimi;
Un computo maniacale di oltre duecento voci con descrizioni puntigliose.
Ho pensato: “vabbè, con tutta sta roba è inutile che faccio il capitolato”
E ho sbagliato. Perché avevo previsto delle lavorazioni e delle finiture particolari.
Infatti dovevano essere installare delle porte interne raso-muro, hai presente quelle senza cornici? Sono bellissime ma vanno presi degli accorgimenti per montarle.
Inoltre, come faccio spesso nei miei progetti, i muri erano tutti in cartongesso. Belli, prestazionali, veloci da montare…ma con le porte raso-muro necessitano di ulteriori precauzioni.
Io comunque stavo tranquillo: nei grafici erano disegnate e descritte le porte raso-muro, avevo fatto un dettaglio del montaggio nell’abaco delle porte, le avevo descritte dettagliatamente nella voce di computo, avevo spiegato ad impresa e cartongessisti che quelle erano le porte previste.
Nonostante tutto ciò al momento di montare i telai delle porte ci siamo accorti che i fori nelle murature erano stati predisposti nel modo sbagliato.
Quando ho chiesto all’impresa come mai di questo errore: “eh architè…non avevamo le schede tecniche e non sapevamo come andavano montate”.
Naturalmente era una scusa…avevano tutto quello che serve per montarle correttamente…però si sono appigliati all’unica mancanza di tutto il progetto.
Che poi la scheda tecnica gliel’avevo fornita…solo che “eh ma ce la siamo persa”, “eh ma non l’abbiamo vista”.
Niente di particolarmente grave…ma sistemare tutto ha richiesto tempo che si è riversato sulla durata dei lavori. E naturalmente i committenti sta cosa me l’hanno rinfacciata (fortunatamente non in modo esagerato)
Da allora il capitolato è un documento fisso dei miei progetti.
COMPUTO E CAPITOLATO: LE 6 COSE DA NON SCORDARSI
Siccome l’articolo è stato lungo, chiudiamo riassumendo in modo sintetico i concetti principali che abbiamo espresso:
Il computo è un documento quantitativo e il capitolato è un documento qualitativo
Il computo metrico elenca tutte le lavorazioni necessarie per eseguire la ristrutturazione con la relativa misurazione
Il capitolato descrive i materiali e le lavorazioni previste
I preventivi si fanno su un computo metrico e mai su un capitolato
In una ristrutturazione il capitolato può essere formato dalle schede tecniche dei materiali
Il capitolato (in una ristrutturazione) deve essere fornito dal committente all’impresa e non viceversa
Quindi da domani basta preventivi fatti su capitolati vero?
Devi ristrutturare casa…ma sai se per la tua ristrutturazione c’è bisogno di fare una pratica edilizia? E sai qual è?
Queste sono le prime domande che si fanno i proprietari di casa quando cominciano a pensare alla loro ristrutturazione…e se ci stai passando anche tu sai che la risposta è meno banale di quello che sembra.
Il modo corretto per ottenere una risposta certa sarebbe contattare un tecnico competente. Ma questo presuppone una consulenza…e mi rendo conto che il momento in cui nasce questa domanda spesso avviene molto prima di avere bisogno di una consulenza e di una progettazione.
Per aiutarti ho creato uno strumento che, in base ai lavori hai intenzione di fare, ti aiuta ad individuare il giusto procedimento edilizio (o la necessità di non farlo): l’ho chiamato glossario della ristrutturazione.
In questo articolo ti spiego dove lo trovi (gratis) e come usarlo.
Ti avverto: questo sarà un articolo lungo e impegnativo. Perché servono delle spiegazioni dettagliate per non fraintendere e sbagliare l’uso del glossario.
Ma prima di spendere qualsiasi parola ci tengo a fare una premessa: lo so che il mio blog è letto da molti colleghi e già sento il mormorio di:
“eh…mò guarda questo str***zo che fa credere alla gente di essere in grado di individuare il corretto procedimento edilizio…e poi quelli si credono tecnici e pensano che noi siamo utili solo per chiedere il consiglio sull’arredo…”
Niente di tutto ciò. Non è questo il mio scopo e te lo scrivo in grassetto:
individuare il corretto processo edilizio spesso è un gioco ad incastri che richiede competenze e una certa esperienza. Tutte cose che tu non hai. In qualsiasi ristrutturazione il tecnico è indispensabile e sarà lui a dare la sentenza definitiva sul procedimento edilizio da fare (e su tutte le pratiche a latere).
Quindi nessuna banalizzazione. Quello che trovi qui è uno strumento che ti vuole dare una mano a fare un po’ di chiarezza su questi temi. Ma è indicativo e non definitivo.
Il vero motivo per cui ho deciso di creare il glossario della ristrutturazione è la mia presenza sui social…
Lasciami spiegare.
Sono dentro una miriade di gruppi Facebook dedicati alla ristrutturazione e mi capita spesso di leggere richieste di questo tipo:
“ma se cambio gli infissi devo fare una pratica edilizia?”
“ma per rifare l’impianto elettrico è necessaria una pratica edilizia?”
“sto spostando un muretto, mettendo dei controsoffitti e aggiungendo dei faretti…il geometra mi ha detto che non serve una pratica edilizia…è vero?”
Sono domande legittime e riguardano cose di cui un proprietario di casa non può avere esperienza. E non può nemmeno sapere dove trovare le risposte a queste domande (per la cronaca: nelle leggi…con letture incrociate delle stesse).
Non mi esprimo sul fatto che un gruppo Facebook sia il posto giusto o meno per fare queste domande, ma il problema sono le risposte che vengono date a queste domande: chi lo fa è per lo più un perfetto incompetente (cioè una persona che deve ristrutturare…), fornisce quasi sempre informazioni sbagliate e senza nessuna logica.
Io ho scelto ormai da qualche anno di non invischiarmi nelle discussioni di questi gruppi…non perché sono snob ma perché quelle poche volte che l’ho fatto il parere (sbagliato) della siùra Maria è stato considerato più valido del mio…onestamente va bene umiliarsi ma a tutto c’è un limite.
E come me ha fatto la maggior parte dei colleghi.
In compenso mi è chiaro che si tratti di domande a cui chi sta per affrontare una ristrutturazione vorrebbe trovare una risposta, possibilmente semplice.
Posto che una risposta semplice non esiste, puoi comunque ottenere una risposta.
Quindi: l’obiettivo di questo articolo non è sostituire il tecnico, ma è darti uno strumento che ti aiuti ad individuare il corretto procedimento edilizio per la tua ristrutturazione.
Nel glossario quindi proverò a darti una panoramica completa dei lavori che è possibile fare in una ristrutturazione e indicarti in modo preciso se è necessario o meno fare una pratica edilizia (e quale deve essere).
Finora non l’ha mai fatto nessuno e non esistono riferimenti completi nemmeno a livello normativo. Quindi ho navigato un po’ alla cieca.
Esiste un unico documento ufficiale che si chiama “glossario dell’edilizia libera”, pubblicato nel 2018, e che riporta un elenco delle opere che possono essere fatte senza nessun procedimento edilizio.
Si tratta di un documento che è stato fondamentale per scrivere il mio glossario della ristrutturazione. Documento che però è incompleto (parla solo dei lavori liberi e non di quelli per cui serve una pratica edilizia) e non molto chiaro. Soprattutto se deve consultarlo un proprietario di casa che non ha mai parlato “ristrutturazionese”.
Finora ho dato per scontato che tu sappia cosa sia un glossario…ma è così? Immagino di sì, ma per evitare di cadere in fraintendimenti leggiamo la definizione che ne dà la Treccani:
Raccolta di vocaboli, per lo più antiquati o rari, o comunque bisognosi di spiegazione, registrati in genere in ordine alfabetico e seguiti dalla dichiarazione del significato o da altre osservazioni
Quindi il glossario che trovi alla fine dell’articolo sarà una tabella contenente un elenco di cose con una spiegazione a lato.
Fatta questa premessa lo so che non vedi l’ora di leggere il glossario e sapere se:
Per rifare i pavimenti serve o no una pratica edilizia
Per rifare il bagno serve o no una pratica edilizia
Per rifare il riscaldamento serve o no una pratica edilizia
…..
Ma l’edilizia è complessa…e la parte burocratica dell’edilizia lo è all’ennesima potenza.
Ci sono molti tecnici che non ci hanno capito ancora nulla (ti confesso che non di rado io mi sento uno di questi…). Figurati se posso mai spiattellarti l’elenco dei lavori con il relativo regime senza fornirti le necessarie spiegazioni.
Quindi spiegarti la burocrazia edilzia in Italia è quello che farò in tutta la prima parte dell’articolo.
Che ti avverto sarà lunga e densa di concetti non banali per chi è fuori dal settore. Ma essenziali per capire come utilizzare il glossario.
(E magari ti sarà anche utile per comprendere come la domanda che fai distrattamente ad un tecnico, “ma che pratica edilizia mi serve per casa mia?”, pretendendo una risposta su due piedi e gratis, è qualcosa per cui rispondere c’è voluto studio e fatica…non sono “domandine” ma “consulenze”)
Detto ciò: puoi fregartene e andare direttamente al paragrafo con il glossario dei lavori (è l’ultimo dell’articolo)…e non capirci nulla; oppure ti leggi prima tutto l’articolo e capisci come funziona la burocrazia edilizia in Italia.
Prometto che parlerò semplice e stringato, per quanto possibile. Ma leggilo, sennò potresti sbagliare ad usare il glossario.
COME FUNZIONA L’EDILIZIA (BUROCRATICA) IN ITALIA
Prima di partire con il racconto della burocrazia in Italia due premesse tecniche.
Prima premessa: in Italia Regioni e Comuni hanno la possibilità di legiferare in materia edilizia.
Questa non è una buona notizia per te, ma nemmeno per me che mi sono avventurato in questo articolo.
Perché significa che una cosa valida a Milano non è detto che sia valida a Caltanisetta.
Questo vuol dire che ognuno fa un po’ quello che gli pare?
Per fortuna no.
Il tutto funziona più o meno così: a livello nazionale ci sono delle leggi che disciplinano la materia edilizia. Le Regioni hanno la facoltà di legiferare in materia edilizia, ma non possono promulgare leggi che siano meno restrittive di quelle nazionali.
Cioè se la legge nazionale dice che per costruire una casa devi ottenere un Permesso di Costruire, non è che può arrivare la regione Veneto e dire “Qui da noi si costruisce senza nessuna pratica edilizia”.
La Regione può dare dei confini più chiari a quanto prevede la legge nazionale, ma mai contraddirla e mai fare previsioni più “larghe”. (Fanno parzialmente eccezione le Regioni a statuto speciale che hanno maggiori libertà)
Lo stesso vale per tutti i vari regolamenti edilizi comunali.
Ti faccio un esempio scollegato dai temi di questo articolo ma sempre legato alla casa. Parliamo di bagni. C’è una legge nazionale (decreto sanità del 1975) che per i bagni non prescrive la necessità di avere illuminazione naturale (cioè una finestra). L’importante è che ci sia almeno una ventilazione forzata (cioè una ventola collegata all’esterno).
Molti regolamenti edilizi comunali (quasi tutti) prescrivono che in almeno un bagno dell’alloggio ci sia illuminazione e ventilazione naturale (quindi finestra apribile). Alcuni addirittura prescrivono la finestra per tutti i bagni.
Questo è un classico esempio di legiferazione locale differente da quella nazionale. Ed è più restrittiva (cioè inserisce un requisito più restrittivo) oltre che totalmente legittima.
Noi non parleremo di queste cose nell’articolo che stai leggendo (si chiamano requisiti igienico-sanitari) perché non determinano direttamente la necessità di fare una pratica edilizia o meno.
Ad ogni modo, siccome non possiamo andarci a vedere gli oltre ottomila casi di tutti i Comuni italiani, in questo articolo daremo delle indicazioni generali valide a livello nazionale. Le più importanti possiamo considerarle valide per tutto il territorio, però una verifica locale sarebbe sempre opportuna.(toh…serve un tecnico)
Seconda premessa: la burocrazia edilizia non è un mondo autonomo e a sé stante.
Non te lo devo certo dire io che siamo il paese dei vincoli. E naturalmente questi vincoli in qualche modo hanno a che fare anche con le ristrutturazioni.
Edifici storici (vincolati), edifici in zona paesaggistica (vincolati), edifici in zone a rischio (vincolati), etc.
E poi ci sono i piani regolatori a porre ulteriori limiti: non è che puoi ampliarti casa come ti pare e piace. Se il piano regolatore te lo consente lo fai (seguendo le giuste procedure edilizie), altrimenti niente.
E se per caso puoi fare un ampliamento ma ricadi in zona paesaggistica non ti basterà ottenere l’autorizzazione dal Comune ma dovrai ottenere una specifica autorizzazione paesaggistica (a parte).
E tra l’altro, giusto per non farci mancare nulla, dover richiedere l’autorizzazione paesaggistica potrebbe far mutare anche la pratica edilizia di base…
Lo so che è complicato, e non devi certo essere esperto in queste cose, però meglio averne un po’ di consapevolezza.
Ad ogni modo questi vincoli raramente influiscono sulla possibilità di fare lavori di ristrutturazione interni. Però, quando te li ritrovi tra i piedi, comportano la necessità di fare procedimenti paralleli a quelli edilizi. Anzi: ci possono essere dei casi in cui non è necessario alcun procedimento edilizio ma può essere necessario uno di questi procedimenti paralleli.
In linea generale i “procedimenti paralleli” più comuni nelle ristrutturazioni sono:
Energetici (frequenti)
Strutturali (rari)
Paesaggistici (rari)
Occhio ad una cosa: se non fai uno di questi procedimenti paralleli ed era obbligatorio, il procedimento edilizio principale perde qualsiasi valore e i lavori sono considerati “abusivi”.
Dopo averti spaventato a dovere facciamo un passo in più per capire come si determina la necessità o meno di una pratica edilizia e quale sia tale pratica edilizia.
Lavori-parametri urbanistici-categorie di intervento-pratiche edilizie: la giostra della burocrazia italiana
In questo paragrafo vediamo come ragiona la legge: cioè cercherò di farti capire qual è il processo per determinare la necessità o meno di fare una pratica edilizia e quale sia tale pratica. Forse banalizzeremo alcuni concetti ma a meno che tu non voglia rubarmi il lavoro penso che sia sufficiente quello che diremo.
Il tutto è essenziale per utilizzare correttamente il glossario della ristrutturazione che trovi in fondo all’articolo.
Tutto parte da due elementi: i parametri urbanistici che vengono modificati dall’intervento che vuoi fare (se vengono modificati) sommati agli interventi-base che hai previsto. Se tutto ciò ancora non ti dice nulla non preoccuparti, tra poco approfondiremo questi due punti. Per ora continuiamo col discorso.
La somma di questi due fattori determina l’assegnazione dell’intervento che vuoi fare (la tua ristrutturazione, o la costruzione di una casa, o un ampliamento…) ad una delle “categorie di intervento” definite dal Testo Unico dell’Ediliza (d.pr. 380/2001).
In base alla categoria di intervento definiamo il regime edilizio, cioè la pratica edilizia da fare (o da non fare…).
Questo processo vale per tutti gli interventi edilizi: dalla ristrutturazione alla costruzione di una nuova casa.
Quindi abbiamo quattro elementi del processo. Ora analizziamoli partendo dal primo.
I parametri urbanistici
Per un non addetto ai lavori questo forse è il concetto più tosto da comprendere di tutto l’articolo.
Tra l’altro un collega che leggesse quello che sto per scriverti potrebbe tirarmi un mezzo sputo in faccia, perché faremo molte semplificazioni. I veri parametri urbanistici in realtà sono differenti, ben più complessi, e sono quelli su cui si costruiscono i piani regolatori delle città.
Ma per il nostro scopo va più che bene la semplificazione.
Ad ogni modo voglio tranquillizzarti prima di spiegarti cosa sono: nella maggior parte delle ristrutturazioni non modifichi nessun parametro urbanistico, quindi anche se non cogli tutto quello che diremo va bene lo stesso.
Partiamo dall’elenco dei parametri urbanistici che ci interessano ai fini della determinazione della categoria di intervento:
Accorpamento di unità immobiliari
Frazionamento di unità immobiliari
Demolizione e ricostruzione di edifici
Ampliamento di edifici
Costruzione di nuovi edifici o strutture
Cambio di destinazione d’uso
Lo so che all’apparenza possono sembrare dei normali lavori, ma non è così.
Per capire bene il concetto prendiamo ad esempio la costruzione di un nuovo edificio. Lo so che non c’entra niente con una ristrutturazione, ma è l’esempio più chiaro che posso farti…se volessi spiegarti uno per uno i punti qui sopra non basterebbe un libro e probabilmente non ci capiresti molto. Quindi facciamo questo esempio.
Se costruisci un nuovo edificio significa che su un terreno dove prima non c’era nulla verrà realizzata una casa. Questa casa comporterà che lì ci andranno ad abitare delle persone che prima non c’erano. Queste persone comporteranno più macchine per strada, maggiore necessità di servizi (scuole, uffici pubblici, etc.), maggior utilizzo degli impianti “comunali” (fogne, acquedotto, elettricità).
Questi sono tutti parametri urbanistici che vengono considerati nei piani regolatori. E le amministrazioni vogliono essere informate se vengono modificati, perché servono per monitorare/aggiornare/modificare/implementare i piani regolatori.
Ecco perché per fare modifiche di questo tipo sono richieste pratiche edilizie: sostanzialmente servono per tenere sotto controllo lo sviluppo della città (non solo per questo eh…ma qui semplifichiamo).
Naturalmente non tutte le modifiche hanno lo stesso impatto…infatti vedremo come per alcune di queste variazioni siano sufficienti pratiche edilizie molto semplici, mentre per altre ben più complesse.
Tra l’altro molte non hanno proprio a che fare con la ristrutturazione…quindi non ti interesseranno proprio.
Sperando di aver chiarito almeno in via generale questo aspetto passiamo oltre.
Gli interventi-base
Questo è il secondo fattore che, sommato alla modifica dei parametri urbanistici, determina l’assegnazione di un intervento edilizio ad una categoria di intervento.
Cosa intendiamo per interventi-base?
Partiamo dal dire che stiamo parlando sostanzialmente di interventi edili e impiantistici.
Per definire gli interventi-base devi immaginare di scomporre la tua ristrutturazione nella parte più piccola che abbia una sua autonomia: pitturare le pareti, aggiungere una presa, spostare una o più pareti, sostituire gli infissi.
Ad esempio nel caso di sostituzione dell’impianto elettrico devi intendere tutto l’impianto compreso di opere accessorie (tracce nei muri, chiusura delle tracce, pitturazioni…).
Invece non va bene intendere come un unico lavoro la “ristrutturazione complessiva della casa”, che è composta da più interventi.
Come vedi stiamo parlando di intervento-base come combinazione di un pezzo di casa (p.e. impianto elettrico) abbinato ad un’azione (p.e. sostituzione).
Questa azione è quella che determina l’assegnazione della categoria di intervento. Sostanzialmente sono i lavori che è possibile fare.
Nel paragrafo dedicato al glossario ti spiegherò come esistano nove possibili lavori che è possibile eseguire. Non approfondiamo ulteriormente il concetto qui.
A questo punto possiamo passare all’aspetto più importante: cosa sono le categorie di intervento e come si fa ad abbinarle ai lavori.
Le Categorie di intervento
Una volta definite le eventuali modifiche urbanistiche e gli interventi-base da eseguire, bisogna assegnarli ad una delle categorie di intervento definite dal Testo Unico dell’Edilizia (d.pr. 380/2001).
La legge di riferimento (d.pr. 380/2001) individua 6 categorie di intervento all’interno delle quali rientrano tutte le opere edilizie ed urbanistiche:
Manutenzione ordinaria
Manutenzione straordinaria
Restauro e risanamento conservativo
Ristrutturazione edilizia
Nuova costruzione
Ristrutturazione urbanistica
Per ognuna viene fornita una descrizione sommaria. Ad esempio quella di manutenzione ordinaria è questa:
«a) “interventi di manutenzione ordinaria”, gli interventi edilizi che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti»
Come vedi in fondo è semplice (sebbene non sia banale). Ma man mano che saliamo di categoria di intervento le cose si complicano. Leggi ad esempio la definizione della categoria successiva, la manutenzione straordinaria:
«b) “interventi di manutenzione straordinaria”, le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino mutamenti urbanisticamente rilevanti delle destinazioni d’uso implicanti incremento del carico urbanistico. Nell’ambito degli interventi di manutenzione straordinaria sono ricompresi anche quelli consistenti nel frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico purché non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l’originaria destinazione d’uso. Nell’ambito degli interventi di manutenzione straordinaria sono comprese anche le modifiche ai prospetti degli edifici legittimamente realizzati necessarie per mantenere o acquisire l’agibilità dell’edificio ovvero per l’accesso allo stesso, che non pregiudichino il decoro architettonico dell’edificio, purché l’intervento risulti conforme alla vigente disciplina urbanistica ed edilizia e non abbia ad oggetto immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42;»
Le cose cominciano ad essere un po’ più complicate non è vero?
Qui ad esempio sono stati introdotti due dei parametri urbanistici di cui abbiamo parlato sopra: accorpamento e frazionamento di unità immobiliari.
Questo banalmente significa che se stai unendo due appartamenti parti direttamente dalla manutenzione straordinaria. Anche se ipoteticamente non dovessi eseguire nessuna opera edilizia.
In sostanza man mano che si sale di categoria di intervento si tratta di lavori sempre più incisivi e in cui le modifiche urbanistiche sono sempre più significative.
Solo tra “manutenzione straordinaria” e “restauro e risanamento conservativo” non c’è sostanzialmente differenza a livello di opere…sono due categorie differenziate perché il restauro e risanamento conservativo è destinata agli edifici vincolati, mentre la manutenzione straordianria è per gli edifici generici.
Ma non è ancora finita. perché in realtà alcune categorie di intervento sono state “splittate” in sotto-categorieper assegnarci in modo più preciso il relativo procedimento edilizio. Così all’atto pratico abbiamo queste categorie di intervento:
A. Manutenzione ordinaria
B1. Manutenzione straordinaria “leggera”
B2. Manutenzione straordinaria “pesante”
C1. Restauro e risanamento conservativo “leggero”
C2. Restauro e risanamento conservativo “pesante”
D1. Ristrutturazione edilizia “leggera”
D2. Ristrutturazione edilizia “pesante”
E. Nuova costruzione
F. Ristrutturazione urbanistica
Come vedi le categorie B, C e D sono state divise in due, “leggera” e “pesante”.
Per le categorie B e C la differenza tra “leggera” e “pesante” è la presenza o meno di lavori strutturali (leggera no, pesante sì).
La categoria D in genere è dedicata ad opere maggiormente significative da eseguire su edifici esistenti. PincipalmentedDemolizione e ricostruzione o cambio di destinazione d’uso. Essenzialmente si parla di ristrutturazione edilizia “pesante” quando si fa una demolizione e ricostruzione con variazione volumetrica.
Lo so che non sono concetti banali e che buttati così potrebbero non essere chiari…ma ti ricordo che qui non stiamo facendo un trattato di normativa edilizia.
Gerarchizzazione degli interventi
Adesso introduciamo un concetto abbastanza semplice da capire ma molto importante ai fini dell’assegnazione di un intervento edilizio alla corretta categoria di intervento: cioè la gerarchizzazione.
Ci sono alcune modifiche che hanno la precedenza su altre per la definizione della categoria di intervento.
La principale è che la modifica dei parametri urbanistici ha la precedenza sugli interventi-base.
Ma quella dei parametri urbanstici non è l’unica gerarchizzazione ai fini dell’individuazione della categoria di intervento. Vediamole tutte:
La modifica di un parametro urbanistico superiore assorbe gli inferiori
la modifica dei parametri urbanistici ha la precedenza sui lavori
un lavoro appartenente ad una categoria di intervento superiore assorbe tutti gli altri
Cioè:
se fai un cambio di destinazione d’uso da magazzino a casa (cat. D ristrutturazione edilizia) con contestuale ristrutturazione interna (cat. B manutenzione straordinaria), la categoria di intervento dei lavori è determinato dal cambio di destinazione d’uso;
se fai un ampliamento (E. nuova costruzione) tutti i lavori correlati all’ampliamento rientrano nella categoria di intervento della nuova costruzione, anche quelli che normalmente potrebbero essere di manutenzione ordinaria come la pitturazione delle pareti;
se fai un lavoro che rientra nella categoria di intervento della manutenzione straordinaria, come ad esempio costruire un nuovo muro in una casa (esistente), anche tutti gli altri lavori sono assorbiti in quella categoria di intervento (come la pitturazione di cui sopra…)
Quindi, riassumendo tutto quello che abbiamo detto finora:
Parametri urbanistici + interventi-base = categoria di intervento
Mi hai seguito finora?
Lo so che non è semplice ma ci siamo quasi.
Prima di fare l’ultimo passaggio, cioè come abbinare la categoria di intervento alla pratica edilizia, voglio chiarire un’ultima cosa: mica è detto che la categoria di intervento che hai individuato sia applicabile.
Cioè: un ampliamento (categoria E. nuova costruzione) in centro città magari non è possibile farlo.
Per capirlo c’è bisogno di leggersi il piano regolatore. Lì trovi, o tra le tavole o tra le norme, quali categorie di intervento sono ammesse per ogni zona della città.
In linea di principio dalla A alla C sono sempre ammesse…quelle successive invece…
Il regime edilizio
Eccoci all’ultima parte di questo viaggio nella burocrazia edilizia italica: in base alla categoria di intervento determini se i lavori rientrano o meno in un regime autorizzativo e in base a quali lavori devi fare determini quale sia il regime autorizzativo corretto.
Provo a spiegarmi: un intervento di manutenzione ordinaria non rientra in nessun regime autorizzativo, sono definite opere di edilizia libera.
Invece un intervento di demolizione e ricostruzione rientra in un regime autorizzativo il cui procedimento edilizio può essere di SCIA o Permesso di Costruire.
Comunque cerchiamo di non farla troppo complessa e associamo ad ogni categoria di intervento la sua pratica edilizia:
A. Manutenzione ordinaria: no pratica edilizia
B1. Manutenzione straordinaria “leggera”: CILA
B2. Manutenzione straordinaria “pesante”: SCIA
C1. Restauro e risanamento conservativo “leggero”: CILA
C2. Restauro e risanamento conservativo “pesante”: SCIA
D1. Ristrutturazione edilizia “leggera”: SCIA
D2. Ristrutturazione edilizia “pesante”: Permesso di Costruire
E. Nuova costruzione: Permesso di Costruire
F. Ristrutturazione urbanistica: PUA
Questo vale in linea di principio, poi ci possono essere piccole varianti procedurali in relazione a casi particolari. Ma è inutile qui entrare troppo nel dettaglio.
Bòn, basta. Siamo arrivati alla fine di questo lungo e tosto paragrafo. Ho detto pure troppo e non voglio spendere nessun’altra parola su come individuare il corretto procedimento edilizio.
Anche perché l’articolo è ancora lungo.
In fondo tutto questo è demandato al glossario della ristrutturazione e questo paragrafo era solo per farti capire come funziona la legge in Italia.
Quindi il procedimento logico con cui la legge determina il procedimento edilizio di un intervento edilizio è il seguente:
Parametri urbanistici + lavori previsti ➔ categoria di intervento ➔ regime edilizio
Possiamo passare alla parte principale dell’articolo.
IL GLOSSARIO DELLA RISTRUTTURAZIONE
Pensi che in questo paragrafo ti darò il glossario e basta?
Mi spiace…ma devo spiegarti com’è strutturato e come utilizzarlo. Anche perché come ti sarai accorto tutti i concetti espressi finora sono teorici. A noi serve la pratica.
Quindi preparati ad un altro paragrafo tosto.
Per farlo partiamo dallo scopo del glossario della ristrutturazione: farti capire velocemente se devi o meno fare una pratica edilizia per la tua ristrutturazione e quale sia tale pratica.
Questa volta non ho creato uno strumento automatico come ho fatto con il simulatore dei costi dell’impianto elettrico (se vuoi sapere cos’è te lo spiego in questo articolo), che trovi in regalo nell’area riservata del sito (come accedervi te lo spiego alla fine), o il simulatore del budget che trovi tra i bonus del manuale “Ristruttura la tua casa in 7 passi”.
Quindi dovrai fare alcuni ragionamenti da solo.
In ogni caso sono semplici e seguono il flusso che abbiamo appena visto:
Parametri urbanistici + lavori previsti ➔ categoria di intervento ➔ regime edilizio
Naturalmente, e te lo sottolineo nuovamente, tutto ti serve per fare una prima valutazione in autonomia. Poi è indispensabile avere a che fare con un tecnico (competente).
Partiamo.
Dò per scontato che tu sappia che tipo di intervento vuoi fare in casa e a grandi linee quali sono i lavori che devi eseguire.
Come abbiamo visto il tutto si gioca nel determinare la corretta categoria di intervento. E come abbiamo visto il tutto si fa partendo da due elementi:
Parametri urbanistici
Interventi-base
Quindi ho diviso il glossario in due macro-sezioni corrispondenti a queste due aree.
In realtà la prima è molto corta mentre la seconda è più articolata.
Ma la prima ha bisogno di spiegazioni abbastanza approfondite. Eccole.
Parametri urbanistici
Abbiamo già detto prima di cosa parliamo.
In base a sè e quali parametri urbanistici modifichi i lavori che devi fare rientrano in una determinata categoria di intervento.
Li ri-elenchiamo, con alcuni chiarimenti, e per ognuno ti metto a quali categorie di intervento possono fare riferimento (alcuni a più di una).
Nessun parametro urbanistico
Non modifichi nessun parametro urbanistico se non fai niente di quanto riportato nei punti successivi.
Nella pratica se fai dei normali lavori di ristrutturazione non fai nessuna modifica urbanistica, quindi vale per la maggior parte dei casi.
Una nota: come hai letto prima tra i vari parametri urbanistici c’è la costruzione di nuove strutture. Attenzione ad un aspetto: la costruzione di strutture interne quali controsoffitti per la realizzazione di ripostigli o di strutture esterne quali pergolati di limitate dimensioni non vengono considerate nuove costruzioni.
Troverai questi casi, e i conseguenti regimi edilizi, nella sezione del glossario dedicata gli interventi-base. Quindi fai riferimento a quella parte se prevedi di farli.
CATEGORIE DI INTERVENTO ASSOCIATE: A. manutenzione ordinaria, B. manutenzione straordinaria “leggera” e “pesante”, C. restauro e risanamento conservativo “leggero” e “pesante”
Accorpamento e frazionamento di unità immobiliari
Se unisci due appartamenti o dividi un appartamento in due stai facendo una modifica urbanistica.
Attenzione ad una cosa però: devi unire o frazionare le due (o più) unità immobiliari mantenendo la stessa destinazione d’uso.
Cioè se accorpi un magazzino ad una casa e trasformi tutto in casa stai facendo un cambio di destinazione d’uso e non un semplice accorpamento (vedi più avanti).
Ti ricordi il principio secondo cui un intervento superiore assorbe uno inferiore?
CATEGORIE DI INTERVENTO ASSOCIATE: B. manutenzione straordinaria “leggera” e “pesante”, C. restauro e risanamento conservativo “leggero” e “pesante”
Demolizione e ricostruzione di edifici
Anche qui non ci vogliono molti chiarimenti perché il tipo di intervento dice già tutto.
Fai attenzione al fatto che la demolizione e ricostruzione fino a qualche anno fa doveva essere fedele come volume e forma per non ricadere nella costruzione di nuovi edifici. Ora invece si considera demolizione e ricostruzione anche quella fatta con forma differente rispetto all’originaria e in alcuni casi anche con volumetria maggiore.
Ma per questo ultimo caso devi controllare anche se ci sono norme regionali e/o è scritto qualcosa sui piani regolatori comunali.
CATEGORIADI INTERVENTO ASSOCIATE: D. ristrutturazione edilizia
Ampliamento di edifici
Anche questa modifica urbanistica è abbastanza chiara…o no?
Si considera ampliamento di un edificio ogni qual volta si aggiunge uno spazio abitabile all’edificio (stiamo quindi parlando di volumetrie aggiuntive).
Per la cronaca: anche le verande sono un ampliamento, anche se spesso non viene percepito come tale (anche a causa di pubblicità ingannevoli che trovi in rete). Ci ho scritto un articolo che trovi qui.
Invece, ad esempio, la realizzazione di una tettoia o di un pergolato (che devono essere aperti ai lati) non lo sono (o meglio: non sempre).
CATEGORIE DI INTERVENTO ASSOCIATE: D. ristrutturazione edilizia (in casi limitati), E. nuova costruzione (prevalente)
Costruzione di nuovi edifici o strutture
Beh qui c’è poco da dire: ti fai una casa nuova e quindi fai una nuova costruzione.
Però visto che non parliamo solo di nuovi edifici ma di nuove strutture in generale, è il caso di fare qualche chiarimento. E mi riferisco sempre ai pergolati/gazebi o assimilabili (scusami se sono insistente).
Questi non sono spazi dove puoi viverci, quindi non sono edifici, ma sono a tutti gli effetti delle nuove strutture edilizie.
Abbiamo già accennato al fatto che non sempre rientrano all’interno delle modifiche urbanistiche di cui stiamo parlando in questo punto, e infatti sono riportate anche nel glossario dell’edilizia libera pubblicato nel 2018 dal governo.
Per capire se pergolati/gazebi/tettoie etc. rientrino nella nuova costruzione bisogna considerarne la dimensione oltre a varie altre altre caratteristiche, come ad esempio il fatto che abbiano fondazioni o meno.
Le risposte te le possono dare i regolamenti edilizi locali. E quando anche lì non ci sono, una chiacchierata con l’ufficio tecnico comunale non guasta.
Il cambio di destinazione d’uso è un argomento ostico per chi non mastica urbanistica.
Solitamente una persona pensa che la destinazione d’uso sia quella scritta nella visura catastale.
La risposta è NI.
Nel senso che le categorie catastali e le categorie urbanistiche sono due cose distinte e separate. Ma bene o male coincidono.
Il motivo è che il catasto è un ente fiscale e il Comune è un ente urbanistico (è una semplificazione…però passamela).
Per capirci: se il permesso di costruire con cui è stato realizzato un edificio dice che la sua destinazione d’uso è magazzino e tu lo hai trasformato in una casa senza fare nessuna pratica edilizia ma solo la variazione catastale, quella casa è abusiva e continua ad essere un magazzino.
Detto ciò, qui parliamo di cambi di destinazione d’uso urbanistici.
E la norma non è banale a tal proposito. Il riferimento è sempre il d.pr. 380/2001 che individua cinque categorie funzionali di destinazione d’uso per gli edifici:
a) residenziale; a-bis) turistico-ricettiva; b) produttiva e direzionale; c) commerciale; d) rurale.
E ci dice che se il cambio di destinazione d’uso avviene tra due categorie funzionali diverse è urbanisticamente rilevante.
Se invece avviene all’interno della stessa categoria funzionale non è urbanisticamente rilevante.
Il primo caso rientra nella categoria funzionale della ristrutturazione edilizia leggera o pensante (SCIA o Permesso di Costruire), il secondo in quella della manutenzione straordinaria leggera o pesante a seconda delle opere correlate (CILA o SCIA). (Ed entrambi potrebbero rientrare nella categoria del restauro e risanamento conservativo per gli edifici vincolati.)
Complicato eh?
Ti assicuro che a volte non è semplice nemmeno per i tecnici capirci qualcosa…
Ma facciamo un paio di esempi per essere più chiari.
Se trasformi il tuo appartamento in un ufficio si tratta di un cambio di destinazione d’uso non urbanisticamente rilevante. Il motivo è che gli uffici che si trovano all’interno di edifici prevalentemente residenziali sono considerati assimilabili ad immobili residenziali. Quindi rientri nella categoria della manutenzione straordinaria.
Se invece trasformi il tuo appartamento in un salone da parrucchiere (ti faccio questo esempio perché l’ho fatto…) si tratta di un cambio di destinazione d’uso rilevante. Infatti in questo caso non importa se la maggior parte dell’edificio è residenziale. Quindi rientri nella categoria della ristrutturazione edilizia.
Se infine vuoi recuperare il tuo sottotetto classificato come magazzino (per intenderci ha categoria catastale D2) e trasformarlo in appartamento, stai facendo un cambio di destinazione d’uso rilevante. E quindi rientri nella categoria della ristrutturazione edilizia.
Naturalmente il cambio di destinazione d’uso, così come tutti gli interventi, devono rispettare specifici parametri edilizi (altezze, illuminazione, impianti, servizi, etc.). Cosa di cui non ci stiamo occupando in questo articolo.
CATEGORIE DI INTERVENTO ASSOCIATE: B. Manutenzione straordinaria “leggera” o “pesante”, C. Restauro e risanamento conservativo “leggero” o “pesante”, D. Ristrutturazione edilizia “pesante”
Bene, questa era la spiegazione della prima parte del glossario della ristrutturazione.
Definito l’intervento urbanistico che farai (o non farai) hai fatto una prima macro classificazione. Ora devi passare alla classificazione di fino.
Quindi vediamo cosa troverai nella seconda parte del glossario della ristrutturazione.
Interventi-base
Questa seconda parte abbinata alla prima ti consente di definire precisamente a quale categoria di intervento appartiene la ristrutturazione che vuoi fare e quindi il procedimento edilizio da intraprendere.
Infatti come hai visto i parametri urbanistici ti danno una prima scrematura, ma quando hai più opzioni è proprio l’intervento edilizio specifico (il lavoro che verrà fatto cioè – nb: vedi come lo abbiamo definito all’inizio dell’articolo) che ti darà la definizione finale della categoria di intervento.
In questa seconda parte del glossario della ristrutturazione, basandomi anche sul glossario dell’edilizia libera, ho diviso le opere in cinque macro-categorie:
Opere edili interne
Opere edili esterne (sull’edificio)
Lavori impiantistici
Sistemazioni esterne (spazi aperti)
Superamento delle barriere architettoniche
Ti ricordi come abbiamo detto che si determina la categoria di intervento degli interventi-base?
Intervento-base + lavorazione specifica = categoria di intervento
In ognuna delle cinque macro-categorie troverai un elenco di interventi-base possibili, come li abbiamo definiti qualche paragrafo sopra. Ad esempio nelle opere edili interne troverai “pavimentazioni”, “murature”, “intonaci”, “pitturazioni”, etc.
Oppure nei lavori impiantistici “impianto elettrico”, “impianto di riscaldamento”, etc.
La logica dell’individuazione dell’intervento è quella che abbiamo detto prima: si tratta di interventi completi con una loro autonomia.
La maggior parte sono derivati dal glossario dell’edilizia libera a cui ne ho aggiunti alcuni che, secondo me, mancavano. Penso di aver inserito tutti quelli realmente importanti, ad ogni modo se vedrai che ne manca qualcuno fammelo presente.
A fianco di ognuno di questi interventi troverai un elenco di 9 possibili lavorazioni.
In base alla specifica lavorazione viene definita la categoria di intervento.
Un chiarimento in merito alla categoria di intervento associata alle lavorazioni: troverai sempre la minima categoria di intervento associabile.
Cioè all’intervento-base di tinteggiatura ad esempio, troverai abbinate alcune specifiche lavorazioni la cui categoria di intervento è “manutenzione ordinaria”. (E nel caso della tinteggiatura tutte le lavorazioni possibili rientrano solo nella “manutenzione ordinaria”).
Invece all’intervento-base di “muratura” troverai abbinata, tra le altre, la lavorazione di “realizzazione” a cui viene associata la categoria di intervento della manutenzione straordinaria (categoria minima associabile) e non della nuova costruzione. Altrimenti ci vorrebbe un permesso di costruire per spostare un muro in casa 😉
Come ti accorgerai leggendo il glossario della ristrutturazione, per quasi tutti gli interventi-base individuati, le lavorazioni che è possibile fare sono classificabili tra la “manutenzione ordinaria” e la “manutenzione straordinaria”.
Ma ricordati che vale il principio secondo cui categoria superiore assorbe categoria inferiore, con riferimento anche ai parametri urbanistici di cui abbiamo parlato nel paragrafo precedente.
Quindi, se insieme alla pitturazione sposti dei muri in casa (opera di manutenzione straordinaria), anche la pitturazione viene assorbita dentro la categoria superiore.
Allo stesso modo se fai una fusione di due appartamenti (manutenzione straordinaria) e l’unico lavoro edilizio che compi in questa fusione è pitturare le pareti, questa pitturazione rientra nella manutenzione straordinaria.
E il nuovo muro di cui sopra se lo fai insieme all’ampliamento della casa è nuova costruzione.
Questo è un concetto importante perché si riversa sulla necessità o meno di una pratica edilizia (e di quale). Ma è anche una cosa importante in funzione delle detrazioni fiscali.
Le detrazioni non sono argomento di questo articolo (leggi qui una guida che ho scritto, anche se ha qualche anno è comunque ancora valida) ma penso sia importante richiamare un concetto: cioè che se in casa fai lavori di manutenzione ordinaria non hai diritto alle detrazioni fiscali, mentre se fai lavori di manutenzione straordinaria sì.
Così se ritinteggi casa (manutenzione ordinaria) e basta non hai diritto alle detrazioni fiscali.
Ma se sposti dei muri (manutenzione straordinaria) e pitturi casa (assorbita in manutenzione straordinaria) hai diritto alle detrazioni fiscali…anche sulla pitturazione.
In realtà le cose sono un po’ più complesse di così, soprattutto in relazione all’ecobonus, ma per quanto ci interessa in questo articolo è sufficiente quanto abbiamo detto.
Chiarito questo punto voglio spiegarti rapidamente quali sono le nove lavorazioni possibili perché è proprio la loro corretta individuazione che ti consente la definizione di fino della categoria di intervento.
Le lavorazioni che è possibile eseguire e che determinano le categorie di intervento
Come prima cosa elenchiamole:
Riparazione
Integrazione
Efficientamento
Rinnovamento
Rifacimento
Messa a norma
Sostituzione
Installazione
Realizzazione
Tutte queste lavorazioni sono prese dal glossario dell’edilizia libera che abbiamo già citato.
Ma non è che ognuna di esse è applicabile ad ogni intervento-base. Ad esempio la “messa a norma” o l’”efficientamento” sono lavorazioni specifiche degli impianti. Non metti a norma la pitturazione di una stanza, metti a norma un impianto.
Quindi nel glossario della ristrutturazione non troverai per ogni intervento minimo tutte le nove lavorazioni che abbiamo elencato qui sopra, ma solo quelle effettivamente applicabili.
Però capiamo cosa significa ogni lavorazione. Perché sebbene i termini siano già abbastanza esplicativi comunque spesso ci sono interpretazioni discordanti, soprattutto tra i non addetti ai lavori (cioè i proprietari di casa) che rischiano di confondere i termini. Purtroppo per definire correttamente le categorie di intervento si gioca su dettagli semantici, quindi è meglio essere chiari, anche a costo di dire cose banali.
Riparazione
Qui si tratta di riparare una cosa esistente che si è rotta.
Ad esempio un tubo, una presa elettrica, una parte di intonaco che si è staccata, una piastrella saltata, una caldaia, un condizionatore.
Integrazione
Lavorazione riferita principalmente agli impianti, si parla di integrazione quando aggiungi qualcosa ad un impianto esistente.
Ad esempio una nuova presa elettrica, un lavandino aggiuntivo in un bagno esistente, un nuovo punto luce, un nuovo termosifone…
Efficientamento
Ancora una volta parliamo di interventi da eseguire su impianti esistenti.
Per esempio cambi tutti gli apparecchi illuminanti e li metti a led. Oppure inserisci un riduttore di flusso nell’impianto idrico. Oppure cambi una caldaia esistente con una a condensazione di ultima generazione. Stai rendendo l’impianto più efficiente.
Rinnovamento
Questa lavorazione invece è riferita principalmente alle opere edili.
Rinnovi un pavimento (lo lucidi?), rinnovi un mobile o un infisso in legno (lo pitturi).
Ma parzialmente possiamo riferirci anche gli impianti: ad esempio rinnovi un impianto elettrico sostituendo i frutti e le placchette (nb: questa non è messa a norma di cui parleremo tra un paio di paragrafi).
Rifacimento
Anche il rifacimento è riferito alle opere edili. Come vedrai ha un uso limitato all’interno del glossario perché sostanzialmente si sovrappone ad altre lavorazioni.
Chiaramente si rifà qualcosa che esiste. Ad esempio quando ripitturi casa stai eseguendo un “rifacimento delle tinteggiature”.
Abbastanza semplice.
Messa a norma
Questa lavorazione riguarda quasi esclusivamente gli impianti. Ed è il caso di approfondirlo perché spesso viene confuso con la sostituzione.
Mettere a norma un impianto esistente significa fare tutte quelle operazioni necessarie affinché l’impianto venga aggiornato alle norme attuali. Ma senza sostituirlo.
Quindi alcuni elementi dell’impianto non devono essere cambiati. E solitamente sono tutti i sistemi distributivi interni.
Per intenderci: in un impianto elettrico questi sistemi sono le canalizzazioni dentro il muro, per un impianto di riscaldamento le tubazioni, per un impianto idrico lo stesso…
Mettiamola così: se in un impianto cambi tutto lo stai sostituendo (lo vedremo nel prossimo paragrafo), se sostituisci gli elementi necessari per aggiornarlo alle leggi attuali lo stai mettendo a norma.
Tra i due estremi però c’è di tutto…(e su questo giocano in molti per mascherare da “messa a norma” una “sostituzione”).
Facciamo un esempio: mettere a norma un impianto elettrico significa cambiare tutti i cavi, i frutti, i collegamenti e implementare gli interruttori necessari nel quadro elettrico.
Il concetto è che nella messa a norma la base dell’impianto deve in sostanza rimanere invariata.
(NB: per esperienza ti dico che spesso è quasi impossibile mettere a norma un impianto esistente, in particolare quelli elettrici. Su questo argomento ho scritto un articolo che trovi qui)
Sostituzione
Questa lavorazione, che riguarda ancora una volta soprattutto gli impianti, è lo step successivo alla messa a norma.
Ed è importante perché per gli impianti determina anche il cambio di categoria di intervento con conseguenze sulla necessità o meno di fare una pratica edilizia.
Si parla di sostituzione di impianto quando quello esistente viene completamente rimosso o dismesso e se ne installa uno nuovo in tutte (o nella maggior parte) delle componenti.
Questo vale anche se si interviene su una parte significativa dell’impianto.
Ad esempio se stai rifacendo il bagno e non ti limiti a sostituire piastrelle e sanitari ma rifai anche tutte le tubazioni, stai facendo una sostituzione di impianto (di una parte di impianto).
Un caso più banale è la sostituzione dell’impianto elettrico, cosa molto frequente nelle ristrutturazioni: se dismetti completamente il vecchio impianto e lo realizzi ex-novo, allora stai facendo una sostituzione.
Altro esempio: impianto di riscaldamento. Se sostituisci la caldaia e i termosifoni non stai facendo la sostituzione dell’impianto di riscaldamento ma un semplice efficientamento/rinnovamento. Se invece cambi caldaia, termosifoni, tubazioni, collettori, etc., stai facendo una sostituzione dell’impianto.
Installazione
Installazione significa mettere qualcosa che prima non c’era. Ed è di solito riferito agli impianti.
In linea di principio attiene alla categoria della nuova edificazione. Ma la realtà è che anche in edifici esistenti si possono installare cose che prima non c’erano. E non per questo parliamo di nuova costruzione.
Ad esempio nel sud Italia spesso si trovano case senza impianto di riscaldamento. Non è che mettendone uno nuovo passi automaticamente alla categoria della nuova costruzione. Anzi.
Va sempre valutato il contesto in cui una lavorazione viene fatta. E come abbiamo già detto ha la precedenza la categoria determinata dall’intervento urbanistico che fai. Per questo troverai l’installazione principalmente come manutenzione straordinaria (per alcuni interventi-base anche come manutenzione ordinaria…)
Realizzazione
A livello semantico siamo molto vicino all’installazione.
Solo che mentre un impianto o un infisso li installi, un muro lo realizzi, un pergolato lo realizzi, un isolamento lo realizzi.
In sostanza la realizzazione è dedicata principalmente ad opere edili e strutturali.
E naturalmente stiamo parlando di nuova realizzazione: metti un muro dove prima non c’era.
Anche in questo caso, in linea di principio, la lavorazione attiene alla categoria della nuova edificazione. Ma la realtà è che anche in edifici esistenti si possono installare cose che prima non c’erano. E non per questo parliamo di nuova costruzione.
Quando ristrutturi casa puoi abbattere e ricostruire muri in posizioni diverse…non stai facendo una nuova costruzione. Va sempre valutato il contesto in cui una lavorazione viene fatta.
Siamo arrivati alla fine, questa era l’ultima lavorazione. E l’ultima spiegazione che dovevo darti.
Questo articolo che doveva essere semplicemente di accompagnamento al glossario dell’edilizia è diventato qualcosa di mostruoso. Immagino che richiederà più di una lettura a chi vuole capirlo bene.
Ad ogni modo mel prossimo paragrafo finalmente trovi:
Il glossario della ristrutturazione
Qui sotto puoi vedere uno screenshot del glossario.
Siccome è un documento abbastanza ingombrante che non ci stava nell’impaginazione, l’ho trasformato in un file pdf che puoi trovare nell’area gratuita del sito.
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Ti chiedo infine un favore (in particolare se sei un tecnico): si tratta di un work in progress, nel senso che alcune cose potrei essermele scordate o averle sbagliate. Se hai qualche osservazione da fare o ritieni che manchi qualcosa di importante fammelo sapere con un commento qui sotto o con un messaggio attraverso il modulo di contatto che trovi qui.
Hai mai visto pubblicità che dicono “con questo sistema totalmente vetrato ed apribile la veranda non ha bisogno di permessi edilizi”?
Se stai pensando di mettere una veranda sul terrazzo e hai fatto qualche ricerca in rete ti sono sicuramente comparse molte di queste pubblicità tra motori di ricerca e social network vari.
E probabilmente ti sarà capitato anche di leggere qualche tecnico che sbotta con: “ma che ca**o dice questo…per la veranda ci vuole sempre un permesso di costruire!”
Io sono uno di questi…e nell’articolo che stai per leggere ti spiego perché per le verande ci vuole un permesso di costruire, perché non è detto che tu possa ottenerlo e perché le pubblicità di cui sopra sono acchiappa-polli (e ti fanno commettere un abuso).
COS’È UNA VERANDA?
Partiamo dal chiarire questo punto perché pare non essere ben chiaro a tutti.
In molti pensano che la veranda sia un cubotto di vetro o materiali similari che si appiccica ad un edificio. In realtà la veranda può avere molte configurazioni diverse.
Siccome non voglio usare parole mie, per definire bene cosa sia una veranda facciamo riferimento a due documenti:
Il regolamento edilizio tipo
La sentenza del Consiglio di Stato 306/2017
Dal regolamento edilizio tipo:
«Locale o spazio coperto avente le caratteristiche di loggiato, balcone, terrazza o portico, chiuso sui lati da superfici vetrate o con elementi trasparenti e impermeabili, parzialmente o totalmente apribili»
Dalla sentenza 306/2017 del consiglio di Stato:
«La veranda, realizzabile su balconi, terrazzi, attici o giardini, è caratterizzata quindi da ampie superfici vetrate che all’occorrenza si aprono tramite finestre scorrevoli o a libro. Per questo la veranda, dal punto di vista edilizio, determina un aumento della volumetria dell’edificio e una modifica della sua sagoma e necessita quindi del permesso di costruire»
Chiaro?
La veranda è un locale coperto chiuso ai lati con infissi
La veranda può essere realizzata su loggiato, balcone, terrazza o portico
La veranda è un vero e proprio volume urbanistico ed edilizio…è un ambiente in più della casa
La veranda può essere realizzata solo con il permesso di costruire
E a nulla vale il fatto che “l’infisso sia totalmente apribile” come dicono le pubblicità di cui sopra.
Quello che vale è piuttosto che l’infisso sia totalmente chiudibile.
Perché è richiesto il permesso di costruire per una veranda?
Capisco che possa lasciare un po’ sconcertati il fatto che per realizzare una cosa semplice come una veranda sia richiesto il procedimento edilizio di rango più alto che abbiamo in Italia.
In fondo nella maggior parte dei casi si tratta solo di mettere un infisso ad una terrazza.
Noi tecnici spesso diamo per scontati alcuni concetti perché siamo immersi nella materia tutti i giorni ma i nostri clienti no…ed hanno bisogno di spiegazioni.
Provo a dartele brevemente.
In Italia abbiamo sostanzialmente tre procedimenti edilizi:
CILA dedicata ai lavori di manutenzione straordinaria degli edifici, cioè alle ristrutturazioni delle case;
SCIA quando queste manutenzioni straordinarie implicano anche opere strutturali, oppure quando si modifica la forma degli edifici rimanendo all’interno delle stesse volumetrie;
Permesso di Costruire quando si costruisce un nuovo edificio o si amplia un edificio esistente.
Realizzare una veranda significa ampliare un edificio esistente con un nuovo ambiente residenziale, pertanto viene richiesto il permesso di costruire. Non importa se la veranda è piccola o grande…la legge non fa queste distinzioni.
VETRATE PANORAMICHE E SERRE SOLARI: COME AGGIRARE LA LEGGE
Prima di vedere come realizzare una vetrata a norma, vediamo come potresti realizzare un abuso convinto di fare tutto in regola.
Vetrate panoramiche: un’invenzione che non esiste
Chi ti dice che puoi chiudere il tuo terrazzo senza pratiche edilizie con il loro sistema perché è tutto in vetro e totalmente apribile solitamente fa riferimento alle cosiddette “vetrate panoramiche”.
Secondo queste persone le vetrate panoramiche sono elementi che hanno queste caratteristiche:
rispondono ad un’esigenza di stagionalità (le usi per proteggerti solo in alcune stagioni);
sono elementi essenzialmente con una funzione frangivento;
sono totalmente apribili.
E pertanto non comportano la chiusura stabile del terrazzo su cui sono installate e di conseguenza non vanno a creare una nuova stanza (e pertanto un aumento volumetrico).
Quindi non solo non c’è bisogno di alcun permesso di costruire per installarle ma nemmeno di una pratica edilizia.
Quando qualcuno ti dice queste cose ti invito a fargli la seguente domanda:
“mi puoi certificare per iscritto la libera installazione delle tue vetrate panoramiche?”
Se ti risponde di sì (naturalmente con tutte le conseguenze legali e penali del caso) vai tranquillo: installala pure (dopo che ti ha dato la certificazione).
Ma ritengo improbabile che tu riesca a trovare qualcuno che lo faccia (ma se qualcuno vuole smentirmi sono qui…magari imparo qualcosa pure io).
Il motivo è che non c’è nessun appiglio legale.
Non esistono “vetrate panoramiche” o “sistemi di chiusura per esigenze di stagionalità” nelle leggi italiane. Almeno non in quelle nazionali.
Magari qualche regolamento edilizio regionale o locale potrà avercele …ma, fermo restando che in un articolo non possiamo esaminare tutte le norme dei circa 8.000 comuni italiani, si tratta di eccezioni.
Pensa che ho addirittura letto da qualche parte che, poiché il vetro di queste vetrate panoramiche non è un vetrocamera ma è singolo, allora non crea un ambiente vivibile durante tutto l’anno e quindi non fa volume.
Quindi tutte le case che hanno finestre di oltre 40 anni con un vetro singolo non fanno volumetria e non ci si può vivere?
C’è un unico caso in cui puoi chiudere il tuo terrazzo e potresti non fare un abuso: utilizzare un telo avvolgibile. Una tenda in sostanza.
Questo ce lo dice una sentenza del Consiglio di Stato che abbiamo citato prima (306/2017) che ha affrontato un caso simile (una pergola chiusa con tende ai lati).
(NB: non è un invito a farlo…ci sono tanti altri aspetti da considerare).
Ma vetrate panoramiche a chiusura di un terrazzo creano sempre una volumetria. E se la realizzi senza permesso fai un abuso.
Serre solari
Altro argomento sono le serre solari (o bioclimatiche).
Anche qui ti viene detto che è sempre possibile realizzarle senza alcuna pratica edilizia.
E anche qui ci andrei con cautela…soprattutto perché far rientare una veranda nella definizione di “serra solare” non è banale.
Ma chiariamo alcune cose.
Cosa sono le serre solari?
Se guardi una serra solare all’apparenza ti trovi di fronte ad una veranda.
C’è però una grossa differenza: la veranda è un ambiente abitabile, la serra bioclimatica è un locale tecnico.
Lo so che sembra una supercazzola ma questa differenziazione è importante.
La serra bioclimatica è in sostanza un accumulatore di calore, un enorme termosifone.
Questo significa che partecipa alle prestazioni energetiche dell’immobile in cui è installata. E infatti per poterla installare (e considerare tale) deve essere dimostrato il suo apporto energetico all’efficienza dell’immobile.
Questa dimostrazione si fa attraverso una relazione che redigerà un termotecnico. Naturalmente la relazione non è solo una formalità ma vanno inseriti dati riferiti all’edificio reale e ai reali benefici dati dalla serra solare (purtroppo in periodo di superbonus, in cui ci sono tecnici che si prostituiscono dichiarando fesserie assurde pur di certificare miracoli energetici, bisogna fare anche questi chiarimenti).
Quindi in una serra solare:
non puoi metterci degli arredi per un uso permanente (una sedia sì…un salotto completo no)
non puoi metterci un impianto di riscaldamento (è lei l’impianto di riscaldamento…)
Purtroppo invece ho letto in giro che “il modo migliore per avere una stanza in più è metterci una serra solare”.
Ecco, proprio no.
Ma quando una veranda (o la chiusura vetrata di un terrazzo) può essere considerata serra solare?
Purtroppo non esistono riferimenti normativi nazionali per le serre solari. Bisogna fare riferimento alle leggi regionali, ove presenti, e al loro recepimento da parte dei regolamenti edilizi comunali.
Queste leggi disciplinano gli elementi principali delle serre solari:
Quanto devono contribuire al risparmio energetico (solitamente almeno il 10%)
Le dimensioni massime della serra
La posizione (orientamento)
Etc.
Se tutte le condizioni richieste dalla legge sono rispettate puoi installare una serra solare senza alcun permesso edilizio (a meno di differenti indicazioni da parte dei regolamenti edilizi comunali). E il motivo è che in quest’ottica la serra solare diventa un volume tecnico per i quali di solito i regolamenti non richiedono permessi specifici.
Tranne naturalmente la presentazione della relazione in cui dimostri la diminuzione dei consumi energetici.
Ma non pensare che poi puoi utilizzarla come soggiorno aggiuntivo: se ti beccano sono guai.
LIMITAZIONI E PRATICHE EDILIZIE PER LE VERANDE
Torniamo adesso a parlare delle verande.
Abbiamo visto che sono considerati aumenti volumetrici. Quindi ci vuole una pratica edilizia, che solitamente è un permesso di costruire.
Ma prima di vedere qual è il procedimento burocratico da seguire cerchiamo di capire se e quando puoi realizzare una veranda.
Per capire se puoi realizzare una veranda devi prendere il piano regolatore e studiartelo.
O meglio incaricare un tecnico di farlo per te.
Siccome una veranda è un aumento volumetrico bisogna vedere se nella zona in cui vivi e nel tuo fabbricato sono consentiti aumenti volumetrici.
Evitiamo di fare una lezione di urbanistica qui, come principio generale le città sono divise in “zone omogenee”, cioè aree che hanno più o meno le stesse caratteristiche. Ci sono i centri storici, le zone residenziali, le zone industriali, quelle agricole, etc.
Ad ogni zona omogenea è associata la possibilità (o meno) di edificare volumetrie in relazione alle superfici di territorio. Per intenderci il piano regolatore stabilisce quanti metri cubi di edificio puoi costruire per ogni metro quadro di terreno.
Detto ciò nelle zone già edificate solitamente questa possibilità è pari a 0. Quindi nei centri storici, nelle immediate vicinanze e nelle zone densamente abitate (zone residenziali con condomini ad esempio) solitamente non è consentito fare aumenti volumetrici.
Invece nelle zone meno densamente edificate è più facile che sia possibile.
Prendi queste indicazioni con le pinze perché ogni Comune fa a sé…però è giusto per farti capire.
Perché non sono possibili ampliamenti in aree già densamente edificate?
Non lo so se ti sto per dire una cosa banale o meno…però ci provo.
Il motivo per cui generalmente non vengono concessi ampliamenti in aree già densamente edificate è che…sono già densamente edificate.
No dai, non è così banale. La questione gira tutto intorno alle persone insediate in una determinata area.
Tutto quello che abbiamo detto poco fa in relazione ai metri cubi di volumetria da poter realizzare in relazione ai metri quadri di superficie di territorio sono dati che si trovano nei piani regolatori…ma non sono numeri messi a caso. Infatti, in relazione ad una fetta di territorio, determinano una volumetria complessiva realizzabile. E a questa volumetria complessiva realizzabile corrispondono un determinato numero di persone che ci possono vivere. Che sono state calcolate (o avrebbero dovuto esserlo…)
Sulla base di questi calcoli dovrebbero di conseguenza essere stati dimensionati tutti i servizi dell’area: dal numero e la dimensione delle scuole alla quantità dei parcheggi. Dalla dimensione delle strade a quella delle fognature.
Se tutti cominciassero a fare ampliamenti aggiungendo verande aumenterebbe il numero di abitanti che potenzialmente potrebbero abitare nelle case (questo a prescindere dal fatto che poi ci abitino o meno).
Di conseguenza scuole, strade, fogne, parcheggi, etc. non sarebbero più sufficienti.
Quindi va messo un freno all’aumento volumetrico.
Oh…qui te l’ho banalizzata in modo talmente estremo che spero questo passaggio non lo legga mai un mio collega, altrimenti mi sbrana vivo…ma a me interessa farti capire il motivo per cui spesso ti è vietato costruirti la veranda.
Chiarito il primo punto ne devi considerare un secondo, in particolare se abiti in condominio: cioè devi ottenere una specifica autorizzazione (o nulla osta) dal condominio.
Infatti con la veranda stai andando a modificare l’estetica dell’edificio e stai andando ad intervenire su una cosa comune (la parete esterna dell’edificio) provando di fatto a renderla privata (diventa un muro interno di separazione tra due ambienti di casa tua).
Se non ottieni l’autorizzazione e non ti bloccano i condòmini, sarà il Comune stesso a farlo: senza autorizzazione non esiste tecnico comunale al mondo che si prenda il rischio di rilasciarti un permesso di costruire (semplicemente perché non può…).
Una volta che hai tutti i requisiti puoi partire con le pratiche edilizie che sono:
Permesso di costruire
Autorizzazione del Genio Civile se realizzi una veranda con copertura
Autorizzazione paesaggistica se ti trovi in area tutelata
Naturalmente queste pratiche non sono gratuite.
Non intendo il compenso del tecnico che le redige…ma parliamo di tasse.
Quando costruisci qualsiasi cosa in Italia devi corrispondere al Comune i cosiddetti oneri di costruzione, divisi in contributo di costruzione e oneri di urbanizzazione.
Si tratterà probabilmente di qualche migliaio di euro, di cui devi tenere conto.
In tutto ciò c’è anche il Genio Civile che vuole la sua parte di tasse. E alle volte il Genio Civile è l’ostacolo più grosso.
Il motivo è legato alla dimensione della veranda: se è piccola può rientrare tra gli interventi locali, quindi le verifiche che dovrà fare lo strutturista sono minime. Se invece è grande e si trova sul terrazzo di un condominio ad esempio, potrebbe essere necessario verificare la risposta di tutto l’edificio a questo nuovo carico. Con spese tecniche non indifferenti.
PRONTO PER LA TUA NUOVA VERANDA?
Come hai potuto leggere realizzare una nuova veranda non è una cosa banale.
Va verificato se è possibile, poi ci vogliono pratiche edilizie, eventualmente strutturali e paesaggistiche.
La risposta nella maggior parte dei casi è che la veranda non è proprio possibile realizzarla.
E a quel punto sbucano i furbetti delle “vetrate panoramiche”.
Non farti attrarre da queste sirene che finisci per commettere un abuso. E poi la veranda che ti è costata migliaia di euro devi smontarla e pagarci pure una multa sopra.
In fondo realizzare una veranda non è poi tanto diverso da ristrutturare casa:
Pianifichi (verifichi se è possibile)
Progetti
Trovi chi te la fa
Ottieni i permessi
La realizzi
Chiudi i lavori
(PS: quando chiudi i lavori ci vuole una nuova agibilità…in fondo hai aggiunto una stanza alla casa).
Il modo migliore per pianificare e gestire i lavori in casa te l’ho spiegato tante volte in libri e manuali. Trovi i link sparsi nel sito. Se vuoi affrontare la tua ristrutturazione in serenità devi per primo mettere in moto un processo virtuoso. E non puoi farlo andando allo sbaraglio senza le giuste informazioni.