Un nuovo progetto d’arredo ha catapultato gli Interior Designer di diotti.com nel continente africano, in Togo, per arredare la zona giorno di un’esclusiva e lussuosa residenza privata.
Una missione difficile ma non impossibile, messa alla prova da centinaia di chilometri di distanza ma affrontata nel migliore dei modi dall’arredatore Coco, che ha seguito passo dopo passo l’evoluzione del progetto offrendo in cambio assistenza, consigli, idee e suggerimenti per rendere unico l’ambiente.
L’arredamento della zona giorno
La zona giorno corrisponde ad un ampio e luminoso open space, un ambiente unico in cui si individuano due aree funzionali:
un’area conversazione, dove è stato allestito un elegante salotto completo di divani e tavolini
una zona pranzo con tavolo e sedie, da usare all’occorrenza anche come spazio di lavoro per riunioni o incontri professionali
Comunicanti tra loro, le due zone non sono separate né da pareti né da muri portanti, una scelta architettonica ben precisa spinta dalla volontà di sfruttare al massimo la luce naturale che penetra dalle grandi vetrate.
Benché ogni area sia ben caratterizzata e facilmente individuabile, è stato proposto alla committenza di separare salotto e zona pranzo con l’ausilio di un arredo divisorio.
Per questo è stato scelto un tavolo consolle dal design ultra moderno, la cui base scultorea in lamiera di metallo modellata crea una gradevole alternanza di pieni e vuoti con l’imponente piano in legno impiallacciato.
Accanto all’indiscusso valore estetico, la soluzione d’arredo ha anche un risvolto funzionale: il top della consolle potrà essere decorato con vasi alti, piante e suppellettili che contribuiranno a schermare in parte la vista.
Il salotto è il punto focale dell’intero open space. Luogo d’affezione per i committenti, diventa uno spazio domestico di rappresentanza quando si tratta di ospitare amici e accogliere invitati – ragione sufficiente per dedicargli una cura particolare in fase di progettazione.
In accordo con la committenza, si è deciso di concentrare gli arredi più importanti a centro stanza, dove lo spazio generoso avrebbe consentito l’installazione di un salotto con divano e poltrone oppure, come è stato realizzato, di una coppia di divani posizionati frontalmente.
L’assetto degli arredi segue un’organizzazione simmetrica e speculare: i divani lineari sono disposti frontalmente, separati da un set di tavolini sovrapponibili collocati proprio nel cuore dell’area convesazione.
Alla coppia di tavoli bassi si aggiunge una seconda composizione, questa volta costituita da una serie di tre tavolini alti incastrabili l’uno sotto l’altro in un’ottica salvaspazio. Perfetti se usati insieme, possono essere separati e collocati a lato di ciascun divano, come visibile nella fotografia scattata dalla committente.
[Nella foto: divano beige Jude – divano verde Cave – tris di tavolini Kitano]
Sala da pranzo con tavolo per 10 persone
Luminosa quanto il salotto, la sala da pranzo è stata concepita come un ambiente versatile e mutevole, da adattare ai momenti della giornata e alle abitudini dei proprietari. Si è dunque deciso di occupare il centro della stanza con un grande tavolo con piano di 300 cm, un complemento capace di ospitare fino a 10 persone in occasione di cene conviviali o incontri di lavoro.
La compattezza del top, scelto in legno massello di noce, è bilanciata dalla luminosità delle finiture metalliche che personalizzano la struttura del tavolo e le gambe delle sedie rivestite in pregiata pelle chiara.
Accanto al tavolo fa capolino una credenza laccata a 4 ante, selezionata sia per l’unicità della forma ottagonale che per l’originalità del piano riflettente. La parete vuota è stata decorata con tre specchi rotondi con cornice metallica abbinata alla laccatura del mobile buffet per restituire un effetto di armonia cromatica ed eleganza estetica.
Trattandosi però di uno spazio più piccolo, l’idea di inserire un secondo divano è stata successivamente accantonata per favorire l’inserimento di una confortevole poltrona a pozzetto.
Merita una menzione speciale l’originale angolo lettura allestito vicino alle vetrate. Ricavato in un’area di passaggio apparentemente problematica – vista la presenza di grandi vetri affacciati sul giardino interno – è invece risultato vincente per trasformare uno spazio inutilizzato in una piccola alcova dedicata allo svago.
Ispirati da un progetto così esclusivo non potevamo esimerci dal comporre la nostra personale proposta d’arredo! Partendo dagli elementi cardine del progetto – i divani lineari – abbiamo scelto di sperimentare con gli accessori e le finiture per dar vita ad abbinamenti evergreen, accostamenti sempre attuali e, perché no, idee e suggestioni a cui ispirarsi.
Gli arredi e gli accessori
Divano sollevato da terra Jude
Essenziale nella forma, quasi minimalista, Jude è il divano componibile su piedini scelto per arredare il salotto di rappresentanza.
Moderno nel design e compatto nelle dimensioni, è stato proposto nel modello con profondità ridotta – una scelta funzionale ed estetica che consente sia di mantenere una postura composta che di liberare spazio per favorire il passaggio. La rigorosità delle forme geometriche è ingentilita dalla bombatura dei braccioli, proiettata verso le sedute per rispettare la filosofia salvaspazio della struttura.
Quest’ultima è completamente rivestita e rifinita anche nelle parti meno visibili: ne sono la prova gli schienali rigidi, nascosti da grandi cuscini in appoggio. Elemento degno di nota, l’alto piede a staffa finisce per slanciare il profilo del divano e restituire una sensazione di sospensione e leggerezza.
È proposto in abbinamento a Cave, un divano di design comodo ed accogliente caratterizzato dall’imbottitura in piuma e dai braccioli bassi che sembrano emergere dalla seduta. La scelta è stata determinata dalla silhouette geometrica della struttura, anche in questo caso alleggerita da piedi alti metallici.
Tavolino in legno spazzolato Sinai
Abbiamo pensato di valorizzare lo spazio davanti ai divani con un tavolino da salotto in legno e acciaio, un prodotto artigianale che fa della commistione di materiali e di lavorazioni il suo pezzo forte.
Il top è una vera e propria opera d’arte d’ebanisteria, forte di un bordo in massello di noce rifinito a mano che rende ogni esemplare diverso dall’altro. Il profilo rialzato circonda una lastra in Canaletto altamente decorativa, valorizzata dlla particolare lavorazione a effetto spatolato.
Realizzata in acciaio goffrato, la base del tavolino è costituita da una struttura minimalista ed eterea in grande contrasto con la pienezza e la matericità del piano in legno.
Tappeto effetto anticato Malizia
Restiamo nel centro della stanza: abbiamo delimitato in maniera netta lo spazio tra i due divani scegliendo un grande tappeto dall’aspetto vintage. La fantasia del vello, a metà strada tra un motivo floreale e un pattern geometrico, sembra svanire sotto l’effetto anticato del filato, un elemento di rottura con l’estrema modernità dell’abitazione.
Alle ragioni estetiche che hanno indirizzato la nostra scelta se ne aggiunge una di natura funzionale. Il tappeto è interamente realizzato in viscosa, fibra di origine naturale (ma trattata artificialmente) nota per la sua resistenza, un fattore da considerare se si prevede di posizionare il tappeto in un’area di grande passaggio.
Il primo motivo? Il loro design, ricercato ma discreto, capace tuttavia di esaltare l’effetto marmoreo della ceramica effetto alabastro abbinandolo ad una base dal disegno decisamente attuale.
Il secondo motivo? Le dimensioni salvaspazio, che permettono sia di posizionare i singoli tavolini lateralmente a divano o poltrona, sia di creare composizioni funzionali adatte a salotti piccoli.
Cuscini fantasia per divano Jolly
Pochi ma selezionati accessori completano una moodboard ricca di suggestioni (e suggerimenti) d’arredo. Il gran finale spetta alla collezione Jolly, una gamma di cuscini e cuscinetti per divano, letto o divano letto personalizzabili per forme, dimensioni, rivestimento, fantasia e colore.
Nel rispetto della massima less in more, abbiamo comunque osato con fodere rigate e a microfantasia avendo cura di controbilanciare l’impatto decorativo dei motivi geometrici con colori neutri, naturali, tenui.
Devi ristrutturare casa…ma sai se per la tua ristrutturazione c’è bisogno di fare una pratica edilizia? E sai qual è?
Queste sono le prime domande che si fanno i proprietari di casa quando cominciano a pensare alla loro ristrutturazione…e se ci stai passando anche tu sai che la risposta è meno banale di quello che sembra.
Il modo corretto per ottenere una risposta certa sarebbe contattare un tecnico competente. Ma questo presuppone una consulenza…e mi rendo conto che il momento in cui nasce questa domanda spesso avviene molto prima di avere bisogno di una consulenza e di una progettazione.
Per aiutarti ho creato uno strumento che, in base ai lavori hai intenzione di fare, ti aiuta ad individuare il giusto procedimento edilizio (o la necessità di non farlo): l’ho chiamato glossario della ristrutturazione.
In questo articolo ti spiego dove lo trovi (gratis) e come usarlo.
Ti avverto: questo sarà un articolo lungo e impegnativo. Perché servono delle spiegazioni dettagliate per non fraintendere e sbagliare l’uso del glossario.
Ma prima di spendere qualsiasi parola ci tengo a fare una premessa: lo so che il mio blog è letto da molti colleghi e già sento il mormorio di:
“eh…mò guarda questo str***zo che fa credere alla gente di essere in grado di individuare il corretto procedimento edilizio…e poi quelli si credono tecnici e pensano che noi siamo utili solo per chiedere il consiglio sull’arredo…”
Niente di tutto ciò. Non è questo il mio scopo e te lo scrivo in grassetto:
individuare il corretto processo edilizio spesso è un gioco ad incastri che richiede competenze e una certa esperienza. Tutte cose che tu non hai. In qualsiasi ristrutturazione il tecnico è indispensabile e sarà lui a dare la sentenza definitiva sul procedimento edilizio da fare (e su tutte le pratiche a latere).
Quindi nessuna banalizzazione. Quello che trovi qui è uno strumento che ti vuole dare una mano a fare un po’ di chiarezza su questi temi. Ma è indicativo e non definitivo.
Il vero motivo per cui ho deciso di creare il glossario della ristrutturazione è la mia presenza sui social…
Lasciami spiegare.
Sono dentro una miriade di gruppi Facebook dedicati alla ristrutturazione e mi capita spesso di leggere richieste di questo tipo:
“ma se cambio gli infissi devo fare una pratica edilizia?”
“ma per rifare l’impianto elettrico è necessaria una pratica edilizia?”
“sto spostando un muretto, mettendo dei controsoffitti e aggiungendo dei faretti…il geometra mi ha detto che non serve una pratica edilizia…è vero?”
Sono domande legittime e riguardano cose di cui un proprietario di casa non può avere esperienza. E non può nemmeno sapere dove trovare le risposte a queste domande (per la cronaca: nelle leggi…con letture incrociate delle stesse).
Non mi esprimo sul fatto che un gruppo Facebook sia il posto giusto o meno per fare queste domande, ma il problema sono le risposte che vengono date a queste domande: chi lo fa è per lo più un perfetto incompetente (cioè una persona che deve ristrutturare…), fornisce quasi sempre informazioni sbagliate e senza nessuna logica.
Io ho scelto ormai da qualche anno di non invischiarmi nelle discussioni di questi gruppi…non perché sono snob ma perché quelle poche volte che l’ho fatto il parere (sbagliato) della siùra Maria è stato considerato più valido del mio…onestamente va bene umiliarsi ma a tutto c’è un limite.
E come me ha fatto la maggior parte dei colleghi.
In compenso mi è chiaro che si tratti di domande a cui chi sta per affrontare una ristrutturazione vorrebbe trovare una risposta, possibilmente semplice.
Posto che una risposta semplice non esiste, puoi comunque ottenere una risposta.
Quindi: l’obiettivo di questo articolo non è sostituire il tecnico, ma è darti uno strumento che ti aiuti ad individuare il corretto procedimento edilizio per la tua ristrutturazione.
Nel glossario quindi proverò a darti una panoramica completa dei lavori che è possibile fare in una ristrutturazione e indicarti in modo preciso se è necessario o meno fare una pratica edilizia (e quale deve essere).
Finora non l’ha mai fatto nessuno e non esistono riferimenti completi nemmeno a livello normativo. Quindi ho navigato un po’ alla cieca.
Esiste un unico documento ufficiale che si chiama “glossario dell’edilizia libera”, pubblicato nel 2018, e che riporta un elenco delle opere che possono essere fatte senza nessun procedimento edilizio.
Si tratta di un documento che è stato fondamentale per scrivere il mio glossario della ristrutturazione. Documento che però è incompleto (parla solo dei lavori liberi e non di quelli per cui serve una pratica edilizia) e non molto chiaro. Soprattutto se deve consultarlo un proprietario di casa che non ha mai parlato “ristrutturazionese”.
Finora ho dato per scontato che tu sappia cosa sia un glossario…ma è così? Immagino di sì, ma per evitare di cadere in fraintendimenti leggiamo la definizione che ne dà la Treccani:
Raccolta di vocaboli, per lo più antiquati o rari, o comunque bisognosi di spiegazione, registrati in genere in ordine alfabetico e seguiti dalla dichiarazione del significato o da altre osservazioni
Quindi il glossario che trovi alla fine dell’articolo sarà una tabella contenente un elenco di cose con una spiegazione a lato.
Fatta questa premessa lo so che non vedi l’ora di leggere il glossario e sapere se:
Per rifare i pavimenti serve o no una pratica edilizia
Per rifare il bagno serve o no una pratica edilizia
Per rifare il riscaldamento serve o no una pratica edilizia
…..
Ma l’edilizia è complessa…e la parte burocratica dell’edilizia lo è all’ennesima potenza.
Ci sono molti tecnici che non ci hanno capito ancora nulla (ti confesso che non di rado io mi sento uno di questi…). Figurati se posso mai spiattellarti l’elenco dei lavori con il relativo regime senza fornirti le necessarie spiegazioni.
Quindi spiegarti la burocrazia edilzia in Italia è quello che farò in tutta la prima parte dell’articolo.
Che ti avverto sarà lunga e densa di concetti non banali per chi è fuori dal settore. Ma essenziali per capire come utilizzare il glossario.
(E magari ti sarà anche utile per comprendere come la domanda che fai distrattamente ad un tecnico, “ma che pratica edilizia mi serve per casa mia?”, pretendendo una risposta su due piedi e gratis, è qualcosa per cui rispondere c’è voluto studio e fatica…non sono “domandine” ma “consulenze”)
Detto ciò: puoi fregartene e andare direttamente al paragrafo con il glossario dei lavori (è l’ultimo dell’articolo)…e non capirci nulla; oppure ti leggi prima tutto l’articolo e capisci come funziona la burocrazia edilizia in Italia.
Prometto che parlerò semplice e stringato, per quanto possibile. Ma leggilo, sennò potresti sbagliare ad usare il glossario.
COME FUNZIONA L’EDILIZIA (BUROCRATICA) IN ITALIA
Prima di partire con il racconto della burocrazia in Italia due premesse tecniche.
Prima premessa: in Italia Regioni e Comuni hanno la possibilità di legiferare in materia edilizia.
Questa non è una buona notizia per te, ma nemmeno per me che mi sono avventurato in questo articolo.
Perché significa che una cosa valida a Milano non è detto che sia valida a Caltanisetta.
Questo vuol dire che ognuno fa un po’ quello che gli pare?
Per fortuna no.
Il tutto funziona più o meno così: a livello nazionale ci sono delle leggi che disciplinano la materia edilizia. Le Regioni hanno la facoltà di legiferare in materia edilizia, ma non possono promulgare leggi che siano meno restrittive di quelle nazionali.
Cioè se la legge nazionale dice che per costruire una casa devi ottenere un Permesso di Costruire, non è che può arrivare la regione Veneto e dire “Qui da noi si costruisce senza nessuna pratica edilizia”.
La Regione può dare dei confini più chiari a quanto prevede la legge nazionale, ma mai contraddirla e mai fare previsioni più “larghe”. (Fanno parzialmente eccezione le Regioni a statuto speciale che hanno maggiori libertà)
Lo stesso vale per tutti i vari regolamenti edilizi comunali.
Ti faccio un esempio scollegato dai temi di questo articolo ma sempre legato alla casa. Parliamo di bagni. C’è una legge nazionale (decreto sanità del 1975) che per i bagni non prescrive la necessità di avere illuminazione naturale (cioè una finestra). L’importante è che ci sia almeno una ventilazione forzata (cioè una ventola collegata all’esterno).
Molti regolamenti edilizi comunali (quasi tutti) prescrivono che in almeno un bagno dell’alloggio ci sia illuminazione e ventilazione naturale (quindi finestra apribile). Alcuni addirittura prescrivono la finestra per tutti i bagni.
Questo è un classico esempio di legiferazione locale differente da quella nazionale. Ed è più restrittiva (cioè inserisce un requisito più restrittivo) oltre che totalmente legittima.
Noi non parleremo di queste cose nell’articolo che stai leggendo (si chiamano requisiti igienico-sanitari) perché non determinano direttamente la necessità di fare una pratica edilizia o meno.
Ad ogni modo, siccome non possiamo andarci a vedere gli oltre ottomila casi di tutti i Comuni italiani, in questo articolo daremo delle indicazioni generali valide a livello nazionale. Le più importanti possiamo considerarle valide per tutto il territorio, però una verifica locale sarebbe sempre opportuna.(toh…serve un tecnico)
Seconda premessa: la burocrazia edilizia non è un mondo autonomo e a sé stante.
Non te lo devo certo dire io che siamo il paese dei vincoli. E naturalmente questi vincoli in qualche modo hanno a che fare anche con le ristrutturazioni.
Edifici storici (vincolati), edifici in zona paesaggistica (vincolati), edifici in zone a rischio (vincolati), etc.
E poi ci sono i piani regolatori a porre ulteriori limiti: non è che puoi ampliarti casa come ti pare e piace. Se il piano regolatore te lo consente lo fai (seguendo le giuste procedure edilizie), altrimenti niente.
E se per caso puoi fare un ampliamento ma ricadi in zona paesaggistica non ti basterà ottenere l’autorizzazione dal Comune ma dovrai ottenere una specifica autorizzazione paesaggistica (a parte).
E tra l’altro, giusto per non farci mancare nulla, dover richiedere l’autorizzazione paesaggistica potrebbe far mutare anche la pratica edilizia di base…
Lo so che è complicato, e non devi certo essere esperto in queste cose, però meglio averne un po’ di consapevolezza.
Ad ogni modo questi vincoli raramente influiscono sulla possibilità di fare lavori di ristrutturazione interni. Però, quando te li ritrovi tra i piedi, comportano la necessità di fare procedimenti paralleli a quelli edilizi. Anzi: ci possono essere dei casi in cui non è necessario alcun procedimento edilizio ma può essere necessario uno di questi procedimenti paralleli.
In linea generale i “procedimenti paralleli” più comuni nelle ristrutturazioni sono:
Energetici (frequenti)
Strutturali (rari)
Paesaggistici (rari)
Occhio ad una cosa: se non fai uno di questi procedimenti paralleli ed era obbligatorio, il procedimento edilizio principale perde qualsiasi valore e i lavori sono considerati “abusivi”.
Dopo averti spaventato a dovere facciamo un passo in più per capire come si determina la necessità o meno di una pratica edilizia e quale sia tale pratica edilizia.
Lavori-parametri urbanistici-categorie di intervento-pratiche edilizie: la giostra della burocrazia italiana
In questo paragrafo vediamo come ragiona la legge: cioè cercherò di farti capire qual è il processo per determinare la necessità o meno di fare una pratica edilizia e quale sia tale pratica. Forse banalizzeremo alcuni concetti ma a meno che tu non voglia rubarmi il lavoro penso che sia sufficiente quello che diremo.
Il tutto è essenziale per utilizzare correttamente il glossario della ristrutturazione che trovi in fondo all’articolo.
Tutto parte da due elementi: i parametri urbanistici che vengono modificati dall’intervento che vuoi fare (se vengono modificati) sommati agli interventi-base che hai previsto. Se tutto ciò ancora non ti dice nulla non preoccuparti, tra poco approfondiremo questi due punti. Per ora continuiamo col discorso.
La somma di questi due fattori determina l’assegnazione dell’intervento che vuoi fare (la tua ristrutturazione, o la costruzione di una casa, o un ampliamento…) ad una delle “categorie di intervento” definite dal Testo Unico dell’Ediliza (d.pr. 380/2001).
In base alla categoria di intervento definiamo il regime edilizio, cioè la pratica edilizia da fare (o da non fare…).
Questo processo vale per tutti gli interventi edilizi: dalla ristrutturazione alla costruzione di una nuova casa.
Quindi abbiamo quattro elementi del processo. Ora analizziamoli partendo dal primo.
I parametri urbanistici
Per un non addetto ai lavori questo forse è il concetto più tosto da comprendere di tutto l’articolo.
Tra l’altro un collega che leggesse quello che sto per scriverti potrebbe tirarmi un mezzo sputo in faccia, perché faremo molte semplificazioni. I veri parametri urbanistici in realtà sono differenti, ben più complessi, e sono quelli su cui si costruiscono i piani regolatori delle città.
Ma per il nostro scopo va più che bene la semplificazione.
Ad ogni modo voglio tranquillizzarti prima di spiegarti cosa sono: nella maggior parte delle ristrutturazioni non modifichi nessun parametro urbanistico, quindi anche se non cogli tutto quello che diremo va bene lo stesso.
Partiamo dall’elenco dei parametri urbanistici che ci interessano ai fini della determinazione della categoria di intervento:
Accorpamento di unità immobiliari
Frazionamento di unità immobiliari
Demolizione e ricostruzione di edifici
Ampliamento di edifici
Costruzione di nuovi edifici o strutture
Cambio di destinazione d’uso
Lo so che all’apparenza possono sembrare dei normali lavori, ma non è così.
Per capire bene il concetto prendiamo ad esempio la costruzione di un nuovo edificio. Lo so che non c’entra niente con una ristrutturazione, ma è l’esempio più chiaro che posso farti…se volessi spiegarti uno per uno i punti qui sopra non basterebbe un libro e probabilmente non ci capiresti molto. Quindi facciamo questo esempio.
Se costruisci un nuovo edificio significa che su un terreno dove prima non c’era nulla verrà realizzata una casa. Questa casa comporterà che lì ci andranno ad abitare delle persone che prima non c’erano. Queste persone comporteranno più macchine per strada, maggiore necessità di servizi (scuole, uffici pubblici, etc.), maggior utilizzo degli impianti “comunali” (fogne, acquedotto, elettricità).
Questi sono tutti parametri urbanistici che vengono considerati nei piani regolatori. E le amministrazioni vogliono essere informate se vengono modificati, perché servono per monitorare/aggiornare/modificare/implementare i piani regolatori.
Ecco perché per fare modifiche di questo tipo sono richieste pratiche edilizie: sostanzialmente servono per tenere sotto controllo lo sviluppo della città (non solo per questo eh…ma qui semplifichiamo).
Naturalmente non tutte le modifiche hanno lo stesso impatto…infatti vedremo come per alcune di queste variazioni siano sufficienti pratiche edilizie molto semplici, mentre per altre ben più complesse.
Tra l’altro molte non hanno proprio a che fare con la ristrutturazione…quindi non ti interesseranno proprio.
Sperando di aver chiarito almeno in via generale questo aspetto passiamo oltre.
Gli interventi-base
Questo è il secondo fattore che, sommato alla modifica dei parametri urbanistici, determina l’assegnazione di un intervento edilizio ad una categoria di intervento.
Cosa intendiamo per interventi-base?
Partiamo dal dire che stiamo parlando sostanzialmente di interventi edili e impiantistici.
Per definire gli interventi-base devi immaginare di scomporre la tua ristrutturazione nella parte più piccola che abbia una sua autonomia: pitturare le pareti, aggiungere una presa, spostare una o più pareti, sostituire gli infissi.
Ad esempio nel caso di sostituzione dell’impianto elettrico devi intendere tutto l’impianto compreso di opere accessorie (tracce nei muri, chiusura delle tracce, pitturazioni…).
Invece non va bene intendere come un unico lavoro la “ristrutturazione complessiva della casa”, che è composta da più interventi.
Come vedi stiamo parlando di intervento-base come combinazione di un pezzo di casa (p.e. impianto elettrico) abbinato ad un’azione (p.e. sostituzione).
Questa azione è quella che determina l’assegnazione della categoria di intervento. Sostanzialmente sono i lavori che è possibile fare.
Nel paragrafo dedicato al glossario ti spiegherò come esistano nove possibili lavori che è possibile eseguire. Non approfondiamo ulteriormente il concetto qui.
A questo punto possiamo passare all’aspetto più importante: cosa sono le categorie di intervento e come si fa ad abbinarle ai lavori.
Le Categorie di intervento
Una volta definite le eventuali modifiche urbanistiche e gli interventi-base da eseguire, bisogna assegnarli ad una delle categorie di intervento definite dal Testo Unico dell’Edilizia (d.pr. 380/2001).
La legge di riferimento (d.pr. 380/2001) individua 6 categorie di intervento all’interno delle quali rientrano tutte le opere edilizie ed urbanistiche:
Manutenzione ordinaria
Manutenzione straordinaria
Restauro e risanamento conservativo
Ristrutturazione edilizia
Nuova costruzione
Ristrutturazione urbanistica
Per ognuna viene fornita una descrizione sommaria. Ad esempio quella di manutenzione ordinaria è questa:
«a) “interventi di manutenzione ordinaria”, gli interventi edilizi che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti»
Come vedi in fondo è semplice (sebbene non sia banale). Ma man mano che saliamo di categoria di intervento le cose si complicano. Leggi ad esempio la definizione della categoria successiva, la manutenzione straordinaria:
«b) “interventi di manutenzione straordinaria”, le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino mutamenti urbanisticamente rilevanti delle destinazioni d’uso implicanti incremento del carico urbanistico. Nell’ambito degli interventi di manutenzione straordinaria sono ricompresi anche quelli consistenti nel frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico purché non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l’originaria destinazione d’uso. Nell’ambito degli interventi di manutenzione straordinaria sono comprese anche le modifiche ai prospetti degli edifici legittimamente realizzati necessarie per mantenere o acquisire l’agibilità dell’edificio ovvero per l’accesso allo stesso, che non pregiudichino il decoro architettonico dell’edificio, purché l’intervento risulti conforme alla vigente disciplina urbanistica ed edilizia e non abbia ad oggetto immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42;»
Le cose cominciano ad essere un po’ più complicate non è vero?
Qui ad esempio sono stati introdotti due dei parametri urbanistici di cui abbiamo parlato sopra: accorpamento e frazionamento di unità immobiliari.
Questo banalmente significa che se stai unendo due appartamenti parti direttamente dalla manutenzione straordinaria. Anche se ipoteticamente non dovessi eseguire nessuna opera edilizia.
In sostanza man mano che si sale di categoria di intervento si tratta di lavori sempre più incisivi e in cui le modifiche urbanistiche sono sempre più significative.
Solo tra “manutenzione straordinaria” e “restauro e risanamento conservativo” non c’è sostanzialmente differenza a livello di opere…sono due categorie differenziate perché il restauro e risanamento conservativo è destinata agli edifici vincolati, mentre la manutenzione straordianria è per gli edifici generici.
Ma non è ancora finita. perché in realtà alcune categorie di intervento sono state “splittate” in sotto-categorieper assegnarci in modo più preciso il relativo procedimento edilizio. Così all’atto pratico abbiamo queste categorie di intervento:
A. Manutenzione ordinaria
B1. Manutenzione straordinaria “leggera”
B2. Manutenzione straordinaria “pesante”
C1. Restauro e risanamento conservativo “leggero”
C2. Restauro e risanamento conservativo “pesante”
D1. Ristrutturazione edilizia “leggera”
D2. Ristrutturazione edilizia “pesante”
E. Nuova costruzione
F. Ristrutturazione urbanistica
Come vedi le categorie B, C e D sono state divise in due, “leggera” e “pesante”.
Per le categorie B e C la differenza tra “leggera” e “pesante” è la presenza o meno di lavori strutturali (leggera no, pesante sì).
La categoria D in genere è dedicata ad opere maggiormente significative da eseguire su edifici esistenti. PincipalmentedDemolizione e ricostruzione o cambio di destinazione d’uso. Essenzialmente si parla di ristrutturazione edilizia “pesante” quando si fa una demolizione e ricostruzione con variazione volumetrica.
Lo so che non sono concetti banali e che buttati così potrebbero non essere chiari…ma ti ricordo che qui non stiamo facendo un trattato di normativa edilizia.
Gerarchizzazione degli interventi
Adesso introduciamo un concetto abbastanza semplice da capire ma molto importante ai fini dell’assegnazione di un intervento edilizio alla corretta categoria di intervento: cioè la gerarchizzazione.
Ci sono alcune modifiche che hanno la precedenza su altre per la definizione della categoria di intervento.
La principale è che la modifica dei parametri urbanistici ha la precedenza sugli interventi-base.
Ma quella dei parametri urbanstici non è l’unica gerarchizzazione ai fini dell’individuazione della categoria di intervento. Vediamole tutte:
La modifica di un parametro urbanistico superiore assorbe gli inferiori
la modifica dei parametri urbanistici ha la precedenza sui lavori
un lavoro appartenente ad una categoria di intervento superiore assorbe tutti gli altri
Cioè:
se fai un cambio di destinazione d’uso da magazzino a casa (cat. D ristrutturazione edilizia) con contestuale ristrutturazione interna (cat. B manutenzione straordinaria), la categoria di intervento dei lavori è determinato dal cambio di destinazione d’uso;
se fai un ampliamento (E. nuova costruzione) tutti i lavori correlati all’ampliamento rientrano nella categoria di intervento della nuova costruzione, anche quelli che normalmente potrebbero essere di manutenzione ordinaria come la pitturazione delle pareti;
se fai un lavoro che rientra nella categoria di intervento della manutenzione straordinaria, come ad esempio costruire un nuovo muro in una casa (esistente), anche tutti gli altri lavori sono assorbiti in quella categoria di intervento (come la pitturazione di cui sopra…)
Quindi, riassumendo tutto quello che abbiamo detto finora:
Parametri urbanistici + interventi-base = categoria di intervento
Mi hai seguito finora?
Lo so che non è semplice ma ci siamo quasi.
Prima di fare l’ultimo passaggio, cioè come abbinare la categoria di intervento alla pratica edilizia, voglio chiarire un’ultima cosa: mica è detto che la categoria di intervento che hai individuato sia applicabile.
Cioè: un ampliamento (categoria E. nuova costruzione) in centro città magari non è possibile farlo.
Per capirlo c’è bisogno di leggersi il piano regolatore. Lì trovi, o tra le tavole o tra le norme, quali categorie di intervento sono ammesse per ogni zona della città.
In linea di principio dalla A alla C sono sempre ammesse…quelle successive invece…
Il regime edilizio
Eccoci all’ultima parte di questo viaggio nella burocrazia edilizia italica: in base alla categoria di intervento determini se i lavori rientrano o meno in un regime autorizzativo e in base a quali lavori devi fare determini quale sia il regime autorizzativo corretto.
Provo a spiegarmi: un intervento di manutenzione ordinaria non rientra in nessun regime autorizzativo, sono definite opere di edilizia libera.
Invece un intervento di demolizione e ricostruzione rientra in un regime autorizzativo il cui procedimento edilizio può essere di SCIA o Permesso di Costruire.
Comunque cerchiamo di non farla troppo complessa e associamo ad ogni categoria di intervento la sua pratica edilizia:
A. Manutenzione ordinaria: no pratica edilizia
B1. Manutenzione straordinaria “leggera”: CILA
B2. Manutenzione straordinaria “pesante”: SCIA
C1. Restauro e risanamento conservativo “leggero”: CILA
C2. Restauro e risanamento conservativo “pesante”: SCIA
D1. Ristrutturazione edilizia “leggera”: SCIA
D2. Ristrutturazione edilizia “pesante”: Permesso di Costruire
E. Nuova costruzione: Permesso di Costruire
F. Ristrutturazione urbanistica: PUA
Questo vale in linea di principio, poi ci possono essere piccole varianti procedurali in relazione a casi particolari. Ma è inutile qui entrare troppo nel dettaglio.
Bòn, basta. Siamo arrivati alla fine di questo lungo e tosto paragrafo. Ho detto pure troppo e non voglio spendere nessun’altra parola su come individuare il corretto procedimento edilizio.
Anche perché l’articolo è ancora lungo.
In fondo tutto questo è demandato al glossario della ristrutturazione e questo paragrafo era solo per farti capire come funziona la legge in Italia.
Quindi il procedimento logico con cui la legge determina il procedimento edilizio di un intervento edilizio è il seguente:
Parametri urbanistici + lavori previsti ➔ categoria di intervento ➔ regime edilizio
Possiamo passare alla parte principale dell’articolo.
IL GLOSSARIO DELLA RISTRUTTURAZIONE
Pensi che in questo paragrafo ti darò il glossario e basta?
Mi spiace…ma devo spiegarti com’è strutturato e come utilizzarlo. Anche perché come ti sarai accorto tutti i concetti espressi finora sono teorici. A noi serve la pratica.
Quindi preparati ad un altro paragrafo tosto.
Per farlo partiamo dallo scopo del glossario della ristrutturazione: farti capire velocemente se devi o meno fare una pratica edilizia per la tua ristrutturazione e quale sia tale pratica.
Questa volta non ho creato uno strumento automatico come ho fatto con il simulatore dei costi dell’impianto elettrico (se vuoi sapere cos’è te lo spiego in questo articolo), che trovi in regalo nell’area riservata del sito (come accedervi te lo spiego alla fine), o il simulatore del budget che trovi tra i bonus del manuale “Ristruttura la tua casa in 7 passi”.
Quindi dovrai fare alcuni ragionamenti da solo.
In ogni caso sono semplici e seguono il flusso che abbiamo appena visto:
Parametri urbanistici + lavori previsti ➔ categoria di intervento ➔ regime edilizio
Naturalmente, e te lo sottolineo nuovamente, tutto ti serve per fare una prima valutazione in autonomia. Poi è indispensabile avere a che fare con un tecnico (competente).
Partiamo.
Dò per scontato che tu sappia che tipo di intervento vuoi fare in casa e a grandi linee quali sono i lavori che devi eseguire.
Come abbiamo visto il tutto si gioca nel determinare la corretta categoria di intervento. E come abbiamo visto il tutto si fa partendo da due elementi:
Parametri urbanistici
Interventi-base
Quindi ho diviso il glossario in due macro-sezioni corrispondenti a queste due aree.
In realtà la prima è molto corta mentre la seconda è più articolata.
Ma la prima ha bisogno di spiegazioni abbastanza approfondite. Eccole.
Parametri urbanistici
Abbiamo già detto prima di cosa parliamo.
In base a sè e quali parametri urbanistici modifichi i lavori che devi fare rientrano in una determinata categoria di intervento.
Li ri-elenchiamo, con alcuni chiarimenti, e per ognuno ti metto a quali categorie di intervento possono fare riferimento (alcuni a più di una).
Nessun parametro urbanistico
Non modifichi nessun parametro urbanistico se non fai niente di quanto riportato nei punti successivi.
Nella pratica se fai dei normali lavori di ristrutturazione non fai nessuna modifica urbanistica, quindi vale per la maggior parte dei casi.
Una nota: come hai letto prima tra i vari parametri urbanistici c’è la costruzione di nuove strutture. Attenzione ad un aspetto: la costruzione di strutture interne quali controsoffitti per la realizzazione di ripostigli o di strutture esterne quali pergolati di limitate dimensioni non vengono considerate nuove costruzioni.
Troverai questi casi, e i conseguenti regimi edilizi, nella sezione del glossario dedicata gli interventi-base. Quindi fai riferimento a quella parte se prevedi di farli.
CATEGORIE DI INTERVENTO ASSOCIATE: A. manutenzione ordinaria, B. manutenzione straordinaria “leggera” e “pesante”, C. restauro e risanamento conservativo “leggero” e “pesante”
Accorpamento e frazionamento di unità immobiliari
Se unisci due appartamenti o dividi un appartamento in due stai facendo una modifica urbanistica.
Attenzione ad una cosa però: devi unire o frazionare le due (o più) unità immobiliari mantenendo la stessa destinazione d’uso.
Cioè se accorpi un magazzino ad una casa e trasformi tutto in casa stai facendo un cambio di destinazione d’uso e non un semplice accorpamento (vedi più avanti).
Ti ricordi il principio secondo cui un intervento superiore assorbe uno inferiore?
CATEGORIE DI INTERVENTO ASSOCIATE: B. manutenzione straordinaria “leggera” e “pesante”, C. restauro e risanamento conservativo “leggero” e “pesante”
Demolizione e ricostruzione di edifici
Anche qui non ci vogliono molti chiarimenti perché il tipo di intervento dice già tutto.
Fai attenzione al fatto che la demolizione e ricostruzione fino a qualche anno fa doveva essere fedele come volume e forma per non ricadere nella costruzione di nuovi edifici. Ora invece si considera demolizione e ricostruzione anche quella fatta con forma differente rispetto all’originaria e in alcuni casi anche con volumetria maggiore.
Ma per questo ultimo caso devi controllare anche se ci sono norme regionali e/o è scritto qualcosa sui piani regolatori comunali.
CATEGORIADI INTERVENTO ASSOCIATE: D. ristrutturazione edilizia
Ampliamento di edifici
Anche questa modifica urbanistica è abbastanza chiara…o no?
Si considera ampliamento di un edificio ogni qual volta si aggiunge uno spazio abitabile all’edificio (stiamo quindi parlando di volumetrie aggiuntive).
Per la cronaca: anche le verande sono un ampliamento, anche se spesso non viene percepito come tale (anche a causa di pubblicità ingannevoli che trovi in rete). Ci ho scritto un articolo che trovi qui.
Invece, ad esempio, la realizzazione di una tettoia o di un pergolato (che devono essere aperti ai lati) non lo sono (o meglio: non sempre).
CATEGORIE DI INTERVENTO ASSOCIATE: D. ristrutturazione edilizia (in casi limitati), E. nuova costruzione (prevalente)
Costruzione di nuovi edifici o strutture
Beh qui c’è poco da dire: ti fai una casa nuova e quindi fai una nuova costruzione.
Però visto che non parliamo solo di nuovi edifici ma di nuove strutture in generale, è il caso di fare qualche chiarimento. E mi riferisco sempre ai pergolati/gazebi o assimilabili (scusami se sono insistente).
Questi non sono spazi dove puoi viverci, quindi non sono edifici, ma sono a tutti gli effetti delle nuove strutture edilizie.
Abbiamo già accennato al fatto che non sempre rientrano all’interno delle modifiche urbanistiche di cui stiamo parlando in questo punto, e infatti sono riportate anche nel glossario dell’edilizia libera pubblicato nel 2018 dal governo.
Per capire se pergolati/gazebi/tettoie etc. rientrino nella nuova costruzione bisogna considerarne la dimensione oltre a varie altre altre caratteristiche, come ad esempio il fatto che abbiano fondazioni o meno.
Le risposte te le possono dare i regolamenti edilizi locali. E quando anche lì non ci sono, una chiacchierata con l’ufficio tecnico comunale non guasta.
Il cambio di destinazione d’uso è un argomento ostico per chi non mastica urbanistica.
Solitamente una persona pensa che la destinazione d’uso sia quella scritta nella visura catastale.
La risposta è NI.
Nel senso che le categorie catastali e le categorie urbanistiche sono due cose distinte e separate. Ma bene o male coincidono.
Il motivo è che il catasto è un ente fiscale e il Comune è un ente urbanistico (è una semplificazione…però passamela).
Per capirci: se il permesso di costruire con cui è stato realizzato un edificio dice che la sua destinazione d’uso è magazzino e tu lo hai trasformato in una casa senza fare nessuna pratica edilizia ma solo la variazione catastale, quella casa è abusiva e continua ad essere un magazzino.
Detto ciò, qui parliamo di cambi di destinazione d’uso urbanistici.
E la norma non è banale a tal proposito. Il riferimento è sempre il d.pr. 380/2001 che individua cinque categorie funzionali di destinazione d’uso per gli edifici:
a) residenziale; a-bis) turistico-ricettiva; b) produttiva e direzionale; c) commerciale; d) rurale.
E ci dice che se il cambio di destinazione d’uso avviene tra due categorie funzionali diverse è urbanisticamente rilevante.
Se invece avviene all’interno della stessa categoria funzionale non è urbanisticamente rilevante.
Il primo caso rientra nella categoria funzionale della ristrutturazione edilizia leggera o pensante (SCIA o Permesso di Costruire), il secondo in quella della manutenzione straordinaria leggera o pesante a seconda delle opere correlate (CILA o SCIA). (Ed entrambi potrebbero rientrare nella categoria del restauro e risanamento conservativo per gli edifici vincolati.)
Complicato eh?
Ti assicuro che a volte non è semplice nemmeno per i tecnici capirci qualcosa…
Ma facciamo un paio di esempi per essere più chiari.
Se trasformi il tuo appartamento in un ufficio si tratta di un cambio di destinazione d’uso non urbanisticamente rilevante. Il motivo è che gli uffici che si trovano all’interno di edifici prevalentemente residenziali sono considerati assimilabili ad immobili residenziali. Quindi rientri nella categoria della manutenzione straordinaria.
Se invece trasformi il tuo appartamento in un salone da parrucchiere (ti faccio questo esempio perché l’ho fatto…) si tratta di un cambio di destinazione d’uso rilevante. Infatti in questo caso non importa se la maggior parte dell’edificio è residenziale. Quindi rientri nella categoria della ristrutturazione edilizia.
Se infine vuoi recuperare il tuo sottotetto classificato come magazzino (per intenderci ha categoria catastale D2) e trasformarlo in appartamento, stai facendo un cambio di destinazione d’uso rilevante. E quindi rientri nella categoria della ristrutturazione edilizia.
Naturalmente il cambio di destinazione d’uso, così come tutti gli interventi, devono rispettare specifici parametri edilizi (altezze, illuminazione, impianti, servizi, etc.). Cosa di cui non ci stiamo occupando in questo articolo.
CATEGORIE DI INTERVENTO ASSOCIATE: B. Manutenzione straordinaria “leggera” o “pesante”, C. Restauro e risanamento conservativo “leggero” o “pesante”, D. Ristrutturazione edilizia “pesante”
Bene, questa era la spiegazione della prima parte del glossario della ristrutturazione.
Definito l’intervento urbanistico che farai (o non farai) hai fatto una prima macro classificazione. Ora devi passare alla classificazione di fino.
Quindi vediamo cosa troverai nella seconda parte del glossario della ristrutturazione.
Interventi-base
Questa seconda parte abbinata alla prima ti consente di definire precisamente a quale categoria di intervento appartiene la ristrutturazione che vuoi fare e quindi il procedimento edilizio da intraprendere.
Infatti come hai visto i parametri urbanistici ti danno una prima scrematura, ma quando hai più opzioni è proprio l’intervento edilizio specifico (il lavoro che verrà fatto cioè – nb: vedi come lo abbiamo definito all’inizio dell’articolo) che ti darà la definizione finale della categoria di intervento.
In questa seconda parte del glossario della ristrutturazione, basandomi anche sul glossario dell’edilizia libera, ho diviso le opere in cinque macro-categorie:
Opere edili interne
Opere edili esterne (sull’edificio)
Lavori impiantistici
Sistemazioni esterne (spazi aperti)
Superamento delle barriere architettoniche
Ti ricordi come abbiamo detto che si determina la categoria di intervento degli interventi-base?
Intervento-base + lavorazione specifica = categoria di intervento
In ognuna delle cinque macro-categorie troverai un elenco di interventi-base possibili, come li abbiamo definiti qualche paragrafo sopra. Ad esempio nelle opere edili interne troverai “pavimentazioni”, “murature”, “intonaci”, “pitturazioni”, etc.
Oppure nei lavori impiantistici “impianto elettrico”, “impianto di riscaldamento”, etc.
La logica dell’individuazione dell’intervento è quella che abbiamo detto prima: si tratta di interventi completi con una loro autonomia.
La maggior parte sono derivati dal glossario dell’edilizia libera a cui ne ho aggiunti alcuni che, secondo me, mancavano. Penso di aver inserito tutti quelli realmente importanti, ad ogni modo se vedrai che ne manca qualcuno fammelo presente.
A fianco di ognuno di questi interventi troverai un elenco di 9 possibili lavorazioni.
In base alla specifica lavorazione viene definita la categoria di intervento.
Un chiarimento in merito alla categoria di intervento associata alle lavorazioni: troverai sempre la minima categoria di intervento associabile.
Cioè all’intervento-base di tinteggiatura ad esempio, troverai abbinate alcune specifiche lavorazioni la cui categoria di intervento è “manutenzione ordinaria”. (E nel caso della tinteggiatura tutte le lavorazioni possibili rientrano solo nella “manutenzione ordinaria”).
Invece all’intervento-base di “muratura” troverai abbinata, tra le altre, la lavorazione di “realizzazione” a cui viene associata la categoria di intervento della manutenzione straordinaria (categoria minima associabile) e non della nuova costruzione. Altrimenti ci vorrebbe un permesso di costruire per spostare un muro in casa 😉
Come ti accorgerai leggendo il glossario della ristrutturazione, per quasi tutti gli interventi-base individuati, le lavorazioni che è possibile fare sono classificabili tra la “manutenzione ordinaria” e la “manutenzione straordinaria”.
Ma ricordati che vale il principio secondo cui categoria superiore assorbe categoria inferiore, con riferimento anche ai parametri urbanistici di cui abbiamo parlato nel paragrafo precedente.
Quindi, se insieme alla pitturazione sposti dei muri in casa (opera di manutenzione straordinaria), anche la pitturazione viene assorbita dentro la categoria superiore.
Allo stesso modo se fai una fusione di due appartamenti (manutenzione straordinaria) e l’unico lavoro edilizio che compi in questa fusione è pitturare le pareti, questa pitturazione rientra nella manutenzione straordinaria.
E il nuovo muro di cui sopra se lo fai insieme all’ampliamento della casa è nuova costruzione.
Questo è un concetto importante perché si riversa sulla necessità o meno di una pratica edilizia (e di quale). Ma è anche una cosa importante in funzione delle detrazioni fiscali.
Le detrazioni non sono argomento di questo articolo (leggi qui una guida che ho scritto, anche se ha qualche anno è comunque ancora valida) ma penso sia importante richiamare un concetto: cioè che se in casa fai lavori di manutenzione ordinaria non hai diritto alle detrazioni fiscali, mentre se fai lavori di manutenzione straordinaria sì.
Così se ritinteggi casa (manutenzione ordinaria) e basta non hai diritto alle detrazioni fiscali.
Ma se sposti dei muri (manutenzione straordinaria) e pitturi casa (assorbita in manutenzione straordinaria) hai diritto alle detrazioni fiscali…anche sulla pitturazione.
In realtà le cose sono un po’ più complesse di così, soprattutto in relazione all’ecobonus, ma per quanto ci interessa in questo articolo è sufficiente quanto abbiamo detto.
Chiarito questo punto voglio spiegarti rapidamente quali sono le nove lavorazioni possibili perché è proprio la loro corretta individuazione che ti consente la definizione di fino della categoria di intervento.
Le lavorazioni che è possibile eseguire e che determinano le categorie di intervento
Come prima cosa elenchiamole:
Riparazione
Integrazione
Efficientamento
Rinnovamento
Rifacimento
Messa a norma
Sostituzione
Installazione
Realizzazione
Tutte queste lavorazioni sono prese dal glossario dell’edilizia libera che abbiamo già citato.
Ma non è che ognuna di esse è applicabile ad ogni intervento-base. Ad esempio la “messa a norma” o l’”efficientamento” sono lavorazioni specifiche degli impianti. Non metti a norma la pitturazione di una stanza, metti a norma un impianto.
Quindi nel glossario della ristrutturazione non troverai per ogni intervento minimo tutte le nove lavorazioni che abbiamo elencato qui sopra, ma solo quelle effettivamente applicabili.
Però capiamo cosa significa ogni lavorazione. Perché sebbene i termini siano già abbastanza esplicativi comunque spesso ci sono interpretazioni discordanti, soprattutto tra i non addetti ai lavori (cioè i proprietari di casa) che rischiano di confondere i termini. Purtroppo per definire correttamente le categorie di intervento si gioca su dettagli semantici, quindi è meglio essere chiari, anche a costo di dire cose banali.
Riparazione
Qui si tratta di riparare una cosa esistente che si è rotta.
Ad esempio un tubo, una presa elettrica, una parte di intonaco che si è staccata, una piastrella saltata, una caldaia, un condizionatore.
Integrazione
Lavorazione riferita principalmente agli impianti, si parla di integrazione quando aggiungi qualcosa ad un impianto esistente.
Ad esempio una nuova presa elettrica, un lavandino aggiuntivo in un bagno esistente, un nuovo punto luce, un nuovo termosifone…
Efficientamento
Ancora una volta parliamo di interventi da eseguire su impianti esistenti.
Per esempio cambi tutti gli apparecchi illuminanti e li metti a led. Oppure inserisci un riduttore di flusso nell’impianto idrico. Oppure cambi una caldaia esistente con una a condensazione di ultima generazione. Stai rendendo l’impianto più efficiente.
Rinnovamento
Questa lavorazione invece è riferita principalmente alle opere edili.
Rinnovi un pavimento (lo lucidi?), rinnovi un mobile o un infisso in legno (lo pitturi).
Ma parzialmente possiamo riferirci anche gli impianti: ad esempio rinnovi un impianto elettrico sostituendo i frutti e le placchette (nb: questa non è messa a norma di cui parleremo tra un paio di paragrafi).
Rifacimento
Anche il rifacimento è riferito alle opere edili. Come vedrai ha un uso limitato all’interno del glossario perché sostanzialmente si sovrappone ad altre lavorazioni.
Chiaramente si rifà qualcosa che esiste. Ad esempio quando ripitturi casa stai eseguendo un “rifacimento delle tinteggiature”.
Abbastanza semplice.
Messa a norma
Questa lavorazione riguarda quasi esclusivamente gli impianti. Ed è il caso di approfondirlo perché spesso viene confuso con la sostituzione.
Mettere a norma un impianto esistente significa fare tutte quelle operazioni necessarie affinché l’impianto venga aggiornato alle norme attuali. Ma senza sostituirlo.
Quindi alcuni elementi dell’impianto non devono essere cambiati. E solitamente sono tutti i sistemi distributivi interni.
Per intenderci: in un impianto elettrico questi sistemi sono le canalizzazioni dentro il muro, per un impianto di riscaldamento le tubazioni, per un impianto idrico lo stesso…
Mettiamola così: se in un impianto cambi tutto lo stai sostituendo (lo vedremo nel prossimo paragrafo), se sostituisci gli elementi necessari per aggiornarlo alle leggi attuali lo stai mettendo a norma.
Tra i due estremi però c’è di tutto…(e su questo giocano in molti per mascherare da “messa a norma” una “sostituzione”).
Facciamo un esempio: mettere a norma un impianto elettrico significa cambiare tutti i cavi, i frutti, i collegamenti e implementare gli interruttori necessari nel quadro elettrico.
Il concetto è che nella messa a norma la base dell’impianto deve in sostanza rimanere invariata.
(NB: per esperienza ti dico che spesso è quasi impossibile mettere a norma un impianto esistente, in particolare quelli elettrici. Su questo argomento ho scritto un articolo che trovi qui)
Sostituzione
Questa lavorazione, che riguarda ancora una volta soprattutto gli impianti, è lo step successivo alla messa a norma.
Ed è importante perché per gli impianti determina anche il cambio di categoria di intervento con conseguenze sulla necessità o meno di fare una pratica edilizia.
Si parla di sostituzione di impianto quando quello esistente viene completamente rimosso o dismesso e se ne installa uno nuovo in tutte (o nella maggior parte) delle componenti.
Questo vale anche se si interviene su una parte significativa dell’impianto.
Ad esempio se stai rifacendo il bagno e non ti limiti a sostituire piastrelle e sanitari ma rifai anche tutte le tubazioni, stai facendo una sostituzione di impianto (di una parte di impianto).
Un caso più banale è la sostituzione dell’impianto elettrico, cosa molto frequente nelle ristrutturazioni: se dismetti completamente il vecchio impianto e lo realizzi ex-novo, allora stai facendo una sostituzione.
Altro esempio: impianto di riscaldamento. Se sostituisci la caldaia e i termosifoni non stai facendo la sostituzione dell’impianto di riscaldamento ma un semplice efficientamento/rinnovamento. Se invece cambi caldaia, termosifoni, tubazioni, collettori, etc., stai facendo una sostituzione dell’impianto.
Installazione
Installazione significa mettere qualcosa che prima non c’era. Ed è di solito riferito agli impianti.
In linea di principio attiene alla categoria della nuova edificazione. Ma la realtà è che anche in edifici esistenti si possono installare cose che prima non c’erano. E non per questo parliamo di nuova costruzione.
Ad esempio nel sud Italia spesso si trovano case senza impianto di riscaldamento. Non è che mettendone uno nuovo passi automaticamente alla categoria della nuova costruzione. Anzi.
Va sempre valutato il contesto in cui una lavorazione viene fatta. E come abbiamo già detto ha la precedenza la categoria determinata dall’intervento urbanistico che fai. Per questo troverai l’installazione principalmente come manutenzione straordinaria (per alcuni interventi-base anche come manutenzione ordinaria…)
Realizzazione
A livello semantico siamo molto vicino all’installazione.
Solo che mentre un impianto o un infisso li installi, un muro lo realizzi, un pergolato lo realizzi, un isolamento lo realizzi.
In sostanza la realizzazione è dedicata principalmente ad opere edili e strutturali.
E naturalmente stiamo parlando di nuova realizzazione: metti un muro dove prima non c’era.
Anche in questo caso, in linea di principio, la lavorazione attiene alla categoria della nuova edificazione. Ma la realtà è che anche in edifici esistenti si possono installare cose che prima non c’erano. E non per questo parliamo di nuova costruzione.
Quando ristrutturi casa puoi abbattere e ricostruire muri in posizioni diverse…non stai facendo una nuova costruzione. Va sempre valutato il contesto in cui una lavorazione viene fatta.
Siamo arrivati alla fine, questa era l’ultima lavorazione. E l’ultima spiegazione che dovevo darti.
Questo articolo che doveva essere semplicemente di accompagnamento al glossario dell’edilizia è diventato qualcosa di mostruoso. Immagino che richiederà più di una lettura a chi vuole capirlo bene.
Ad ogni modo mel prossimo paragrafo finalmente trovi:
Il glossario della ristrutturazione
Qui sotto puoi vedere uno screenshot del glossario.
Siccome è un documento abbastanza ingombrante che non ci stava nell’impaginazione, l’ho trasformato in un file pdf che puoi trovare nell’area gratuita del sito.
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Ti chiedo infine un favore (in particolare se sei un tecnico): si tratta di un work in progress, nel senso che alcune cose potrei essermele scordate o averle sbagliate. Se hai qualche osservazione da fare o ritieni che manchi qualcosa di importante fammelo sapere con un commento qui sotto o con un messaggio attraverso il modulo di contatto che trovi qui.
Migliorare la qualità di un’abitazione è possibile, anche perché sono diversi gli aspetti su cui poter intervenire. Tra i principali interventi c’è quello del rinnovo degli infissi di casa, un lavoro del quale spesso ci si occupa quasi esclusivamente in termini energetici. Infissi di qualità riducono gli sprechi e offrono un confort termoacustico fenomenale. La stessa cosa si può dire per quel che riguarda l’installazione delle persiane che hanno l’obiettivo di aumentare ulteriormente il benessere climatico all’interno dell’abitazione e di riparare gli infissi dagli agenti atmosferici, assicurandogli longevità.
Tra tutte le tipologie di serramenti e persiane presenti sul mercato, ce n’è una in particolare che sta riscontrando sempre più successo nelle nostre case ossia: i meccanismi scorrevoli sia semplici con apertura filo muro che quelli a scomparsa.
I vantaggi
Partiamo da una domanda fondamentale: perché dovremmo scegliere degli infissi e delle persiane con un meccanismo scorrevole? Dare una sola risposta sarebbe molto riduttivo, essendo diversi i vantaggi di questo tipo di dispositivi. Scegliere degli infissi e delle persiane scorrevoli, infatti, assicura innanzitutto un minor ingombro, considerando come le ante non si aprono verso l’interno (o l’esterno), ma occupano il medesimo spazio di quando sono chiuse. Questo significa una maggiore potenzialità progettuale e un minor rischio di incidenti domestici quantificati in 3,2 milioni secondo le statistiche Istat del 2019.
Il secondo vantaggio è quello di una maggiore luminosità. Questo è possibile perché si apre tutto il vano degli infissi e delle persiane scorrevoli, dando all’ambiente interno della casa un confort visivo (anche in termini di ricircolo dell’aria) impareggiabile. L’illuminazione naturale è un valore da custodire e i serramenti scorrevoli permettono di farlo in maniera estremamente comoda ed elegante.
I sistemi di apertura e chiusura degli infissi e delle persiane scorrevoli sono estremamente comodi, anche per le strutture di grandi dimensioni. Questo è un elemento da non sottovalutare, considerando che parliamo di dispositivi che vengono utilizzati più volte al giorno.
Infine, ma non meno importante, l’aspetto legato al design, all’eleganza e alla maggiore visibilità donata da infissi di questo tipo. Una porta, una finestra o una persiana scorrevole, infatti, libera lo sguardo e restituisce un orizzonte pulito e libero dagli ostacoli delle ante degli infissi tradizionali. In questo modo si ha una maggiore sensazione di ampiezza degli spazi e la possibilità di godere al meglio, anche con gli infissi chiusi, del panorama circostante.
Come scegliere i migliori infissi e persiane scorrevoli
Arrivati a questo punto è lecito desiderare di avere degli infissi e delle persiane scorrevoli per la propria casa. Ma prima di acquistarli è doveroso conoscerli più da vicino, scoprendo le diverse tipologie e materiali esistenti per poterne apprezzare ancora di più le caratteristiche e fare una scelta vincente.
Le tipologie e le applicazioni
La principale distinzione tra gli infissi e le persiane scorrevoli è quella relativa al tipo di scorrimento. Possono infatti essere in linea, alzante o traslante. I serramenti scorrevoli in linea sono quelli tradizionali, la prima versione di questa tecnologia, per i quali le ante corrono su dei binari, consentendo l’apertura e la chiusura dell’infisso. Un infisso scorrevole traslante, invece, è quello per cui scorre solamente una delle due ante, riducendo il carico dei carrelli. Questa soluzione è anche migliore di quella tradizionale in termini di isolamento termoacustico. Gli infissi e le persiane alzanti, invece, sono quelle che scorrono quasi come quelle traslanti ma oltre allo scorrimento c’è anche uno “scatto”, un movimento in avanti, che allinea le due ante. Questa soluzione, oltre ad assicurare un isolamento termoacustico ancora migliore, è ideale per gli infissi di grandi dimensioni e perché consente anche aperture parziali, oltre a facilitarne l’apertura e la chiusura.
Queste diverse tipologie trovano poi differenti applicazioni. Una delle più diffuse è quella degli infissi scorrevoli classici esterno muro. In questo caso l’infisso scorre parallelamente al muro, grazie ad appositi binari fissati a esso (o al soffitto), consentendo, tra gli altri, un costo minore di installazione, non necessitando interventi murari complessi e invasivi.
Troviamo poi gli infissi scorrevoli filo muro che rappresentano una soluzione ideale per il design moderno. Infissi di questo tipo, infatti, si mimetizzano con la parete sulla quale scorrono ma senza perdere la loro capacità d’arredo. Ci sono poi i serramenti scorrevoli a scomparsa (interno muro) per le quali, come indica il nome stesso, scompaiono, riducendo l’ingombro, ampliando gli spazi e risultano una soluzione sobria e molto elegante. Leggi questa guida se vuoi farti un’idea sulle persiane scorrevoli in termini di prezzi e modelli.
Infine, ci sono anche i serramenti scorrevoli a libro, ovvero quelli a impacchettamento per cui le ante si sovrappongono tra loro. Sono ideali per le grandi strutture e per la possibilità di realizzare aperture e chiusure parziali, a seconda delle esigenze.
I materiali
L’altro aspetto decisivo nella scelta degli infissi e delle persiane scorrevoli riguarda i materiali con i quali sono realizzati. È possibile trovare infissi in PVC, in legno e in alluminio. Quelli in PVC sono la soluzione migliore in termini di rapporto qualità-prezzo, minor necessità di manutenzione e grande resistenza e capacità di isolamento termico. Gli infissi scorrevoli in legno sono invece quelli che puntano maggiormente sull’eleganza di un materiale inimitabile e sempre estremamente affascinante. L’alluminio, invece, è il materiale indicato in termini di longevità, indeformabilità e resistenza agli agenti atmosferici.
Riprendiamo la storia dell’evoluzione del mobile inglese, partendo dal”inizio dell’Ottocento. Dallo stile Regency all’Art Nouveau, passando per l’età Vittoriana.
William Morris e Philip Webb, The Red House, Londra 1860
Nella prima parte dell’articolo dedicato all’evoluzione del mobile inglese e ai primi designer della storia, abbiamo cavalcato i secoli che portano dal Seicento alla fine del Settecento. Abbiamo visto la nascita di uno stile caratteristico e indipendente sviluppato dai primi designer della storia, come Thomas Chippendale, i fratelli Adam o Thomas Sheraton e George Hepplewhite. Ora percorriamo l’Ottocento, epoca di passaggio verso l’architettura e il design moderni.
Lo stile Regency o Reggenza Inglese
Nei primi anni dell’Ottocento, in Inghilterra si impone lo stile Regency (1810-1830), ispirato allo stile stile Impero francese e che coincise all’incirca con la reggenza del futuro re Giorgio IV. Siamo nel periodo di Jane Austen e delle bellissime dimore patrizie con le colonne bianche in facciata, le ampie finestre e gli interni luminosi, costruiti dall’architetto John Nash (1752-1835).
Admiration, olio su tela, Vittorio Reggianini (1858-1938)
I mobili Regency rappresentano, in un certo senso, l’evoluzione dello stile antico neoclassico visto nei lavori di Robert Adam e dei suoi discendenti, con l’aggiunte di decorazioni eterogenee ispirate alla Cina, all’India e all’Egitto. I mobili in stile Regency hanno linee semplici, snelle ed eleganti, con superfici piane, legno delicatamente dipinto e/o impiallacciato, intarsi di metallo e motivi classici come rosette, maschere di leoni e piedi a zampa di metallo. I materiali privilegiati sono il palissandro, il mogano e una varietà di legno esotico dalle venature zebrate. Le sedute della Reggenza presentavano imbottiture rivestite con tessuti stampati, in particolare di chintz.
Il designer più influente in questo periodo fu Thomas Hope (1769–1831), banchiere scozzese appassionato di antichità. Nel 1807 pubblicò il suo “Household Furniture and Decoration” che, con la decorazione della sua casa di Duchess Street a Londra, gettano le basi dello stile Regency. Hope tentò di fare copie dirette o adattamenti di mobili classici e antichi usando legno e bronzo, e i suoi bei mobili erano austeri e di dimensioni generose. Oggi i suoi mobili vengono riprodotti con la dicitura “style Thomas Hope”.
Tocca allora a George Smith (1786-1826), designer e prolifico divulgatore, rendere accessibili a tutti i mobili Regency, studiando soluzioni funzionali e dalle dimensioni più contenute.
“La bellezza e l’eleganza che si vedono negli interni delle case moderne non possono essere limitate ai palazzi signorili della nostra nobiltà”.
George Smith, 1812
Nella sua “A Collection of Designs for Household Furniture and Interior Decoration” (1808), e nella guida “The cabinet-maker and upholsterer’s guide”(1826), contribuí a diffondere lo stile Regency, pur cominciando a produrre mobili in stile neo gotico.
La prima età Vittoriana, il Gothic Revival e la decadenza
Nel 1837 la giovane Vittoria sale al trono, inaugurando quella che viene definita l’età Vittoriana, che durerà fino al 1901. Si tratta di un periodo caratterizzato da profonde contraddizioni. Da un lato il Regno Unito conosce la supremazia mondiale, l’industrializzazione massiccia, la stabilità politica, dall’altro si allarga il divario tra le classi ricche e quelle povere. Per quanto riguarda le arti applicate e l’architettura, la meccanizzazione dei processi produttivi porta ad un generale calo della qualità dei manufatti, che si accompagna ad un gusto sempre più decadente. Le correnti si sovrappongono, si susseguono i revival, per poi sfociare nell’eclettismo ridondante di fine secolo. In questi anni l’unico movimento degno di nota è rappresentato dal Gothic Revival. Nella prima parte ho già accennato allo sviluppo della corrente artistica Neogotica, che si manifesta già a partire dalla metà del Settecento. Considerato lo stile architettonico nazionale, il Gotico viene preso a modello da quegli artisti ed intellettuali che si oppongono al dilagante neoclassicismo.
Con il Romanticismo (1795-1870) lo sguardo malinconico verso il passato si traduce nell’affermarsi del Gothic Revival come stile dominante, che sfocerà nella costruzione del Palazzo del Parlamento a Londra (1836-1860), ad opera dell’architetto Augustus Pugin. Teorici come John Ruskin, pittori come William Turner, architetti come Gilbert Scott, artisti e riformatori sociali come William Morris, sono da considerarsi i maggiori sostenitori del movimento, che si diluisce solo agli inizi del Novecento. I mobili in stile neogotico realizzati nell’Ottocento sono caratterizzati da ogive, cuspidi, colonne polistili e rosoni intagliati e traforati. Gli interni vittoriani sono generalmente sovraccarichi di mobili, tappeti, oggetti da collezione. Le pareti sono dipinte con colori saturi o ricoperti da boiserie in legno scuro, e le finestre sono drappeggiate da pesanti tendaggi. Vi è un proliferare di orpelli e decorazioni che rendono gli ambienti piuttosto soffocanti e ostentatori della ricchezza dei proprietari.
I movimenti pre-moderni. Arts and Crafts, il Movimento Estetico e la Scuola di Glasgow
L’esigenza di produrre arredi in quantità sempre più crescenti porta ad un generale decadimento della qualità. Inoltre, non c’è più uno stile di riferimento, essendo prodotto tutto e il contrario di tutto. I produttori attingono ad una moltitudine di stili da periodi precedenti: il Tudor, l’elisabettiano, il rinascimentale, il rococò inglese, lo stile Chippendale. “Ci sembra che i produttori d’arte di tutta l’Europa siano completamente demoralizzati”: così il “The Times” nel 1851, commentando i mobili e altre decorazioni interne esposte alla Grande Esposizione di Londra. Questa decadenza porta alla nascita dei cosiddetti movimenti pre-moderni, che promuovono la riqualificazione dell’artigianato e del mestiere dell’ebanista. Nel 1861, insieme ai pittori Dante Gabriel Rossetti e Edward Burne-Jones, William Morris fonda l’azienda Morris, Marshall, Faulkner & Co, nella quale produce arredi, complementi ed accessori disegnati e fatti a mano da ebanisti-designer. Il successo dell’impresa porta alla fondazione del movimento Arts and Crafts (1888-1910), che avrà un’influenza capitale sulla nascita dell’architettura e del design Moderni. Proponendo un modello di abitazione dallo stile semplificato, arredato con mobili realizzati in quercia, semplici, eleganti e funzionali, si pone in antitesi rispetto ai pomposi e sovraccarichi interni della prima età vittoriana. La casa-simbolo del movimento fu le Red House, progettata da Morris e Philip Webb nel 1859.
William Morris design, le famose tappezzerie, ancora oggi prodotte dalla Sanderson Design Group.
Contemporaneamente, si sviluppa il Movimento Estetico, che tende a rielaborare la bellezza naturale ispirandosi ai migliori prodotti realizzati da diverse culture. Ne fecero parte gli architetti e designer Owen John, Christopher Dresser, Edward William Godwin e lo scrittore Oscar Wilde. Il movimento diede vita allo stile Anglo-Giapponese, caratterizzato da mobili neri con pannelli giapponesi dipinti a traforo e imitazione di braccia e gambe di bambù.
Dobbiamo andare in Scozia per trovare il terzo movimento innovatore sorto nella tarda età Vittoriana. Si tratta della Scuola di Glasgow, termine che designa una cerchia di artisti e designer, studenti della Glasgow School of Art e attivi dagli anni Settanta dell’Ottocento fino al 1910, gravitanti attorno. La cerchia era formata da dai collettivi Glasgow Boys, Glasgow Girls e The Four, di cui facevano parte Charles Rennie Mackintosh (Glasgow 1868- Londra 1928) e la moglie Margaret Macdonald.
Il gruppo più influente nel campo del design fu soprattutto quest’ultimo, grazie al lavoro di Mackintosh, architetto e designer. Il suo lavoro si ispira all’Art and Craft e allo stile Anglo-Giapponese, con suggestioni tratte dal gotico scozzese. L’influenza di Mackintosh si estende oltre il l’età Vittoriana, inaugurando i fasti della Belle Epoque del periodo edoardiano e traghettando il Regno Unito nel movimento pre-moderno dell’Art Nouveau. Ma di questo vi parlerò nella prossima puntata.
Ricapitolando, ecco i principali stili e movimenti che caratterizzano l’evoluzione del mobile inglese, a partire dal Cinquecento:
Una casa domotica e intelligente è il sogno di tutti, ormai. Perché la tecnologia è entrata nelle nostre case nel giro di poco tempo e ci ha assicurato maggiori comfort. Tra praticità e funzionalità, la domotica è uno dei temi più importanti al momento, perché garantisce un certo tenore di vita, ma non solo: rappresenta una valida scelta per risparmiare sull’energia e sulle bollette.
Che cosa occorre per una domotica fai da te? È obbligatorio installare un impianto, oppure è possibile anche fare da soli? Sì, si possono eventualmente acquistare in commercio dei prodotti per migliorare la risposta tecnologica degli ambienti, dagli elettrodomestici agli assistenti vocali. Per chi vorrebbe fare acquisti tech per la casa, ecco dove trovare coupon Unieuro, utili per risparmiare e dare un tocco speciale agli ambienti.
Come avere una casa domotica e intelligente?
Come si realizza un impianto domotico? Che cosa occorre per avere una casa smart? Si dice che la tecnologia abbia concesso “un’anima” alla casa, e in effetti è proprio così. Smart home significa semplificare numerosi aspetti della vita casalinga, perché permette di controllare numerose funzioni, dal sistema di illuminazione fino agli allarmi, ma anche l’apertura o la chiusura delle porte e delle finestre. E non è affatto poco.
I sistemi domotici per la casa sono incredibili, perché c’è una vasta scelta: possiamo valutare gli interruttori clapper, la gestione del riscaldamento e della climatizzazione persino in remoto. Molto interessanti sono le serrature biometriche, ma anche l’integrazione di smart speaker e assistenti vocali. Che dire poi degli elettrodomestici smart e delle tapparelle automatizzate?
Al momento possiamo scegliere tra vari dispositivi o impianti, ma non solo: anche la domotica fai da te è possibile (oltre che essere vantaggiosa). Ovviamente, abbiamo anche la possibilità di affidarci alla domotica standard e integrata: in questo caso si va a realizzare un vero e proprio impianto, con interventi di muratura, qualora fossero necessari.
Vantaggi
Tra risparmio energetico ed efficienza energetica, una casa domotica e intelligente consente di far quadrare il budget, mettendo in comunicazione gli elettrodomestici e qualsiasi oggetto tecnologico mediante l’utilizzo di un impianto domotico. Uno dei primi vantaggi che lascia davvero super soddisfatti è l’incredibile aumento di sicurezza della casa smart.
Dire che la protezione è essenziale è quasi banale, tuttavia sono tante le persone che non hanno reso sicura la propria casa come si deve. Con la domotica, è possibile implementare uno spioncino digitale, una serratura biometrica e smart: per esempio, invece di usare la chiave, si va a sfruttare la propria impronta digitale.
Una menzione speciale nel complesso però va al risparmio energetico, che è davvero senza eguali. Non solo la domotica permette di dimezzare i costi in bolletta, ma aiuta anche nella gestione dello spreco, prevenendolo e sostenendo l’ambiente.
Tra tecnologia e comfort
Tra design e tecnologia (e ovviamente un livello di comfort imbattibile), la domotica è quel che occorre per agevolare alcune azioni. Oltre ai classici di cui ti abbiamo parlato, è impossibile non citare le lampadine smart o gli interruttori smart: il sistema domotico è talmente ampio da essere connesso a molti degli impianti presenti nella nostra casa.
Un dispositivo super valido è la presa smart: gestiscono l’erogazione della corrente proprio come un interruttore. Molto carina è anche l’idea di installare tapparelle e tenda smart, perché possiamo anche impostare una sorta di routine: un orario in cui metterle o meno in funzione.
La casa moderna ormai è un must impossibile da non adottare, soprattutto per gli interessanti risvolti green. Ed è proprio la tecnologia che potrebbe dare una spinta importante per far cambiare il nostro stile di vita, abbracciando una filosofia più orientata sul risparmio e sul sostentamento del pianeta.
Queste cantinette da incasso sono classe A, silenziose e con bassissime vibrazioni al fine di creare l’ambiente ideale dove far riposare le vostre bottiglie di vino. I modelli da incasso possono contenere fino a 40 bottiglie e sono tutte dotate di una doppia zona di temperatura in modo che possano essere conservati insieme sia vini rossi che bianchi, perché grazie alla ventola attiva al suo interno, ogni zona mantiene una temperatura sempre costante.
La porta realizzata in vetro isolante con filtro UV protegge i tuoi vini evitando la perdita di aroma, e al tempo stesso permette una visione ottimale delle tue bottiglie più pregiate, valorizzando al meglio. La maniglia in acciaio inox inossidabile dona infine un tocco moderno e raffinato.
Il marchio BODEGA43 è un esclusivo marchio di lusso ed ora è lieta di presentare e vendere le sue cantinette vino da incasso anche on line. Il loro design è moderno e ricercato, la porta interamente in vetro è dotata di un display a LED blu e di un pannello touch screen così da poter regolare con estrema facilità la temperatura dei tuoi vini in ciascuna sezione, in modo indipendente, dai 5 ai 20 gradi. Difatti, potrai impostare la temperatura della zona superiore per il vino bianco e quella inferiore per il vino rosso. Il resto del lavoro lo farà per te la cantinetta vino BODEGA43!
Inoltre, al suo interno i ripiani in legno di faggio naturale sono progettati per evitare la condensa e sono facilmente estraibili per un comodo utilizzo.
Vi presentiamo una piccola cantinetta elegante e raffinata, realizzata per i veri amanti del vino che però hanno poco spazio a disposizione. La cantinetta vino piccola B4312C è una raffinata cantinetta per vini, piccola ma potente, ha spazio per contenere fino a 12 bottiglie di vino, tutte conservabili alla stessa temperatura. Il sistema di raffreddamento a compressore ti darà la possibilità di servire le tue bottiglie di vino sempre alla temperatura desiderata tra i 5 e i 20 C, anche in estate. Questo ti darà la libertà di consumare le tue bottiglie quando più lo desideri, in qualsiasi momento della giornata. Può essere anche usata per conservare il vino per lunghi periodi di tempo. Presenta delle rifiniture di alta qualità, è dotata di una porta in triplo vetro, di ripiani in legno di faggio e di un’ illuminazione a LED blu per un look sorprendente!
Questa cantinetta vino di lusso compatta è ideale per i collezionisti di vino, per poter mantenere sempre una piccola fornitura di bottiglie di vino in casa. Le sue dimensioni piccole e compatte rendono la sua adattabilità facile e agevole, in casa come in ufficio. L’elegante porta realizzata completamente in vetro è resistente ai raggi UV e il filtro UV assicura che i tuoi vini conservino il loro massimo gusto e aroma. L’illuminazione interna può essere attivata e disattivata tramite il pannello touchscreen. Un piccolo paradiso per i veri amanti del vino!
Decorativi e in grado di donare agli ambienti un’atmosfera accogliente, i termocamini di ultima generazione con le loro nuove performance sono diventati validi elementi per garantire calore a tutta la casa. Leggi la guida per avere utili consigli su come scegliere il termocamino a legna adatto alle tue esigenze accedendo agli incentivi.
Nell’aspetto, ma soprattutto nella tecnologia, i termocamini sono molto differenti rispetto ai camini tradizionali: assicurano un rendimento di combustione elevato, mantenendo allo stesso tempo dei consumi molto contenuti. A seconda delle necessità e delle caratteristiche di ogni modello, il termocamino può sostituire in tutto o in parte il sistema di riscaldamento esistente, offrendo notevoli vantaggi dal punto di vista della resa energetica.
In commercio è possibile trovare termocamini con funzionamenti diversi pur presentando la medesima struttura monoblocco, costituita da una canna fumaria per lo sfiato dei fumi e da un focolare protetto da un vetro, nel quale va introdotto il combustibile utile per l’alimentazione. Questi innovativi sistemi di riscaldamento sono quindi chiusi attraverso uno sportello di vetro termico, che essendo trasparente irradia calore e allo stesso tempo permette di godere del fascino di un fuoco scoppiettante in casa, senza ridurre l’efficienza.
Funzionamento dei termocamini: ad aria o ad acqua
La maggior parte dei termocamini riscalda ad aria: il calore prodotto nel focolare fuoriesce da bocchette poste sul corpo dell’apparecchio e si propaga per convenzione naturale. Oppure forzata, se l’apparecchio prevede un ventilatore che fa sì che l’aria calda si diffonda a maggiore distanza e in modo uniforme. Alcuni modelli si possono collegare a un impianto di canalizzazione che distribuisce il calore anche in altre stanze, talvolta anche su più livelli.
Esiste poi il termocamino per riscaldare tutta l’abitazione tramite l’impianto termosanitario, proprio come una caldaia. In questo caso il calore viene diffuso dai radiatori o dai pannelli radianti.
I vantaggi dei termocamini a legna
Quando si acquista un termocamino è importante valutare la tipologia di alimentazione: a legna o pellet. I termocamini a legna sono indubbiamente i più richiesti in quanto offrono una resa termica davvero efficace. Nello specifico, la tipologia di legno più adatta al riscaldamento domestico è il legno stagionato, caratterizzato da una maggiore densità e da una combustione più lenta e duratura, nonché da una maggiore facilità di accensione dovuta al ridotto quantitativo di umidità.
Rispetto ai camini a pellet, che richiedono una manutenzione periodica e sono dotati di centraline elettroniche e organi in movimento inclini all’usura, i modelli alimentati a legna richiedono poca manutenzione e difficilmente subiscono guasti. Inoltre, dobbiamo considerare il risparmio, infatti riscaldare a legna costa molto meno rispetto al pellet.
L’offerta dei termocamini a legna è molto ampia e spesso può risultare difficile orientarsi nella scelta, ma se ciò che desideri è una soluzione efficiente e di qualità i termocaminiVulcano sono il top. L’azienda Vulcano, infatti, è specializzata nella produzione di termocamini a legna e da oltre 20 anni crea prodotti 100% Made in Italy, impiegando i migliori materiali prodotti da fornitori locali e nazionali. Ciò che differenzia i sistemi Vulcano dagli altri termocamini a legna è la tecnologia, che permette di sfruttare i principi naturali del tiraggio e della combustione. Inoltre, contengono una grande quantità d’acqua che sommata alla massa refrattaria, a quella delle superfici di scambio e alla potenza dello scambiatore creano le condizioni ideali per garantire una fornitura di acqua calda costante anche dopo diverse ore dallo spegnimento del fuoco.
Termocamini a legna Vulcano StarGold
I termocamini Vulcano della nuova linea StarGold nascono con l’obiettivo ambizioso di rivoluzionare il mondo del riscaldamento attraverso soluzioni efficienti in grado di soddisfare totalmente e autonomamente tutte le necessità dei consumatori. Dopo l’accensione dall’alto, la possibilità di riscaldare anche grandi abitazioni, la consistente erogazione di acqua calda, i consumi ridotti e la particolare autonomia che hanno caratterizzato i termocamini della linea Classic, con Vulcano StarGold l’azienda propone un prodotto ancora più innovativo: un camino, che funge anche da caldaia dall’efficienza unica.
Ma vediamo nel dettaglio quali innovazioni sono state implementate:
Zero bollitori: permette di fare a meno di masse d’acqua aggiuntive;
Zero meccanismi: permette di evitare scambiatori, doppie pompe e kit di separazione;
Zero prese d’aria: il brevetto permette di collegare l’aria esterna all’intercapedine che si crea tra termocamino e rivestimento senza necessità di prese d’aria a vista;
Zero condensa: elimina il fenomeno della condensa, proteggendo il termocamino; • Protezione Galvanica: è un sistema che protegge il termocamino dalla corrosione galvanica, eliminandone il principale elemento di usura;
Combustione Totale: gli permette di raggiungere un rendimento superiore all’88% e emissioni ridotte del 70%;
Regolazione Millimetrica: permette di regolare la fiamma, per ridurre o aumentare la combustione e, quindi, la temperatura;
Effetto refrattario: le lamiere che rivestono la camera di combustione emulano il colore dei classici caminetti, ma restano pulite più a lungo.
Vulcano StarGold propone quattro diversi modelli: Baby, Medi, Maxi e Super. Ciascun modello è caratterizzato dalla stessa estetica e dalla stessa qualità, a cambiare sono la potenza, le misure di ingombro, il peso e il contenuto d’acqua. La scelta del modello va fatta in base alla grandezza dell’ambiente da riscaldare, alla classe energetica dell’abitazione e alla zona climatica in cui si trova.
Indipendentemente dalla dimensione, tutti i modelli StarGold hanno le medesime funzioni e sono sviluppati in 3 diverse versioni: 1 per il solo riscaldamento; versione 2 per riscaldamento e acqua calda o per riscaldamento in tandem con altre caldaie; versione 3 riscaldamento e acqua calda in tandem con altre caldaie.
In tutti i casi, a seconda del modello di termocamino Vulcano StarGold scelto, sarà fornita la giusta centralina per gestire il riscaldamento, l’acqua calda oppure le alternanze con altri sistemi di riscaldamento.
Termocamini a legna e incentivi fiscali
Rispetto alla certificazione ambientale, i termocamini della nuova linea Vulcano StarGold hanno ottenuto la certificazione quattro stelle e possono pertanto essere installati ovunque.
A livello fiscale, tutti i modelli presentano le caratteristiche richieste per accedere ai diversi incentivi, come il conto termico, il Superbonus 110, il Bonus Casa e l’Ecobonus.
Considerando tutti i vantaggi offerti dai termocamini di ultima generazione e la possibilità di acquistarli sfruttando le agevolazioni, è sicuramente conveniente sostituire un normale caminetto a focolare aperto o il vecchio impianto con un a termocamino a legna Vulcano StarGold.