Le principali certificazioni ambientali definiscono non solo la qualità del prodotto da costruzione ma anche la valutazione del ciclo vita e l’impatto ambientale in termini di produzione, trasporto, uso, riuso o riciclo e smaltimento. Ma quali sono le differenze?
Il sistema di valutazione attualmente in vigore in Italia e descritto nel Decreto Criteri Ambientali Minimi (CAM) per l’Affidamento di servizi di progettazione e lavori per la nuova costruzione, ristrutturazione e manutenzione di edifici pubblici (approvato con DM 11 ottobre 2017, in G.U. Serie Generale n. 259 del 6 novembre 2017) (1) suddivide le certificazioni i tre tipologie principali:
- Tipo I – Etichette ambientali (UNI EN ISO 14024) come Ecolabel, Blauer Engel, Nordic Swan, Natureplus, FSC, PEFC assegnate da organismi terzi indipendenti dal produttore;
- Tipo II – Asserzioni ambientali autodichiarate (UNI EN ISO 14021) realizzate dai produttori solitamente relative al contenuto di riciclato, assenza di sostanze tossiche o dannose, biodegradabilità;
- Tipo III – Dichiarazioni ambientali (UNI EN ISO 14025) come la certificazione EPD che descrive l’impatto ambientale del prodotto nell’intero ciclo vita.
Oltre a quelle singole di prodotto, esistono certificazioni ambientali che qualificano l’intero edificio come unico organismo (contesto-edificio-impianti) e ne valutano l’impronta ambientale e la sostenibilità globale quali ad esempio Certificazione LEED, BREEAM, ITACA. Queste pongono livelli minimi prestazionali energetico ambientali, sia in merito agli aspetti progettuali che realizzativi. La scelta di prodotti certificati è però parte integrante di questi sistemi di valutazione, che considerano Life Cycle Assessment nella sua interezza. La sostenibilità non è infatti valutabile attraverso soluzioni puntuali: dall’insieme al dettaglio, tutto entra in gioco.
La progettazione integrata e multidisciplinare diventa elemento centrale; l’ottimizzazione del progetto passa attraverso una miriade di scelte e soluzioni tecniche passate al vaglio da professionisti specializzati in vari ambiti. L’architettura diventa organismo e come tale si relaziona all’ambiente che la circonda. Carbon Footprint è infatti il nome dato al parametro di riferimento utilizzato per stimare le emissioni di gas serra causate da un prodotto, un servizio, un edificio. La progettazione circolare investe sia la nuova costruzione che il recupero, il restauro e la ristrutturazione.
Il BIM ancora una volta dimostra le sue potenzialità attraverso l’impostazione parametrica che ne determina la flessibilità d’uso all’interno di un ambito segnato da scelte complesse. Software specialistici, simulazioni energetiche, acustiche, illuminotecniche, trovano la loro sintesi in questa tecnologia, che permette l’integrazione delle informazioni fino al massimo dettaglio del singolo elemento inserito, della singola vite o bullone. La scheda tecnica, il certificato, non restano fogli allegati a bolle di trasporto, ma contenuto all’interno del modello BIM. Questo si fa smart, user friendly con i suoi visualizzatori, sintetico e completo. L’uso stesso di questi applicativi software è certificabile, certificato. La competenza, acquisita con esperienza e studio è suddivisa per livelli e per ruoli: il BIM Modeler, il BIM Coordinator, il BIM Manager sono definizioni ormai parte integrante di realtà che testimoniano il salto generazionale nel mondo della progettazione.
Il progetto sostenibile è il punto di unione tra un committente responsabile e un progettista competente e capace di dominare realtà poliedriche come quelle descritte. Atiproject ha realizzato per la Forti Holding Spa il primo Green Building a Pisa certificato LEED Gold e vincitore del Bim Award, portando un contributo concreto al cambiamento necessario nell’architettura per un domani diverso.
(1) https://www.minambiente.it/pagina/i-criteri-ambientali-minimi